Dopo la ricorrenza della festa di Ognissanti e la rimembranza dei Defunti ogni cacciatore sente l’odore pieno dell’autunno. Il tempo ormai ha portato freddo e umidità e le campagne sono pronte. Boschi umidi e prati morbidi da coltivare si prestano all’albergo delle nostre Beccacce. Queste condizioni sono estremamente necessarie per non fare viaggi a vuoto. Però bisogna anche avere delle nozioni ed esperienze dei posti più idonei, sia nei luoghi sia nel passare della stagione.
Le Beccacce all’arrivo si comportano con molta ingenuità e sono confidenti. Ne ho involato accanto alle vie asfaltate, durante la marcia di trasferimento, ai bordi dei viottoli o degli stradelli in mezzo al bosco. Spesso in posti anche “puliti” cioé privi di vegetazione alta o boscaglie folte. In genere si tratta di Beccacce arrivate durante la notte che, dopo il lungo viaggio di trasferimento, si riposano all’occhio del sole nascente. L’involo casuale, che non si conclude con l’abbattimento, le fa diventare subito furbe, specie se vengono inseguite da una veloce ma mal diretta fucilata. La prossima volta saranno più caute e si metteranno in luoghi meno ovvii e scoperti.
Dopo qualche giorno di residenza acquistano ottima conoscenza dei luoghi. Conoscono almeno tre quattro riposte sicure in cui rifugiarsi se verranno molestate. Ovviamente i molestatori potranno essere a due piedi, uomini armati e disarmati, uccelli da preda diurni o notturni o a quattro, volpi, cani randagi, gatti domestici, selvatici o anche inselvatichiti. Ho trovato qualche volta spiumate che non facevano risalire la morte di una beccaccia ad un singolo episodio. Forse alcune erano state colpite non mortalmente, poi erano rimaste in convalescenza ed erano incappate nell’occasionale passante in cerca di cibo e di preda.
Cercare dunque le Beccacce é un’arte. Sapere quali terreni battere nelle singole giornata di caccia è una sensazione che si traduce in successo solo avendo molta esperienza. Caso contrario il cappotto è assicurato.
Col mio compagno di caccia dr. Luigi Giglio di Cirò Marina mi sono trovato spesso a fare i vaticini. Lui mi lasciava sempre l’iniziativa della battuta seguendomi senza sollevare alcuna critica. Aveva fiducia in me o era semplicemente un gran signore? Non saprei.
Fatto sta che spesso ci spostavamo dai colli per andare in montagna a seguito di istintive reazioni o di ragionato pensiero. Una volta, ricordo bene, eravamo alla Serra di “Cozzo del morto”. Molte ferme in bianco e una sola beccaccia levata. Ci guardammo in faccia chiedendoci il perché di questo mistero. Dov’erano andate le beccacce? La notte erano lì e la mattina non più.
Mi dissi e gli dissi: “Stanotte ha fatto molto freddo e sono scese in pastura fra le querce; stamattina hanno sentito il bel tempo e sono tornate nelle pinete”. In effetti c’era una bellissima e chiara giornata di sole novembrina.
Lui mi chiese se sapevo dove andare a cercarle; risposi di si. Ma era un posto lontano però conoscevo una scorciatoia. Uno stradello con una sbarra che chiudeva l’accesso, sapevo che il lucchetto era difettoso e, se non lo avevano cambiato, saremmo passati. Acconsentì senza discutere come fanno gli amici veri e i gran signori. ” Fai la via avanti”; queste erano le sue parole. Salimmo verso i 1400 metri d’altezza a S. Salvatore. Sciogliemmo i cani e cominciò la festa. Bruciammo tutte le cartucce che avevamo portato. Fu una vera fantastica giornata di caccia. Per noi, meno per le beccacce che incontrammo.
Ovviamente i cani erano superbi, scaltri, allenati, composti e intelligenti e lavoravano in tre come se fossero uno solo. Ognuno per se nella cerca e tutti assieme per i consensi fantastici. Purtroppo non ho foto di quel “Druso del Brembo” o “Recca del Brembo o “Here del Feltrino” che io chiamavo semplicemente “Gyp. Non portavo macchine fotografica a quei tempi. Quindi non ho foto fatte nella macchia. In seguito ne ebbi altri non meno bravi e mi godetti le mie solitarie cacciate sulle colline della Luna e sui monti neri di pini e abeti dove ora c’è il Parco nazionale. .
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