3_new“Un bel giorno, di tanti anni fa, vidi cercare e fermare più di un beccaccino da due magnifici e superbi spinoni, condotti da due cacciatori. Uscii dall’appostamento e andai loro incontro. Li salutai, presentandomi. Erano due fratelli, che si dichiararono spinonisti e braccofili, fino all’inverosimile. E cercatori di beccaccini e beccacce e niente altro. Quelle beccacce che io dipartivo alla posta mattutina e serale. Fu l’incontro che segnò la mia futura vita di cacciatore. Una sera, anch’essa lontana, squillò il telefono di casa. Era uno dei due fratelli: Peppino, per dirmi che all’indomani sarebbero andati a cacciare nella Sila catanzarese, perché avevano avuto avvisaglie che le prime beccacce erano arrivate. E se volevo andare con loro, perché la mia presenza sarebbe stata gradita.

Accettai di buon grado. Fu un’esperienza meritevole di essere scolpita nella credenza della mia memoria. Assaporai l’adrenalina dell’incontro con una preda vera, con un uccello che mi fece fremere e vibrare i polsi a ogni pla-pla-pla. E il cuore, più volte, mi andò “a mille all’ora”, perché lo sentii pulsare alle tempie. Rientrai a casa appagato come non mai. E dissi, fra me: questa sarà la mia caccia con tutte le sue regole. Basta con le stampate agli anatidi, alle pavoncelle, ai pivieri e a tanto di altro. Basta anche con le mattinate ad aspettare gli schizzi dei tordi. E, soprattutto, basta con l’abbattimento di beccacce all’aspetto mattutino o serale..”
” Quando si fa una scelta, tutte le altre non interessano: vengono tralasciate. Una beccaccia, abbattuta a ferma di cane, vale più di venti altri pennuti. La sua caccia è un’eccezione, una storia che vale la pena di essere vissuta fino in fondo. Quando ti entra nel pensiero e nel sangue, è come una droga sottile, che s’impadronisce di tutti i tuoi sensi. Il più salutare degli antidepressivi. E ti prende una febbre, che nessuno ti può guarire, se non lei. Una febbre delirante che ti fa dimenticare le precedenti, perché più accattivante, più totalizzante. Che s’impossessa del tuo corpo e della tua mente diventando esigenza, bisogno, necessità fino a creare totale dipendenza. Così incominciai a organizzarmi per questo tipo di caccia, verso la quale mi sono felicemente convertito con le regole e con i modi dei fratelli Costanzo. Me ne sono impossessato talmente che sono diventati anche miei, fino ad ammalarmi di naturalità, di beccaccite, di spinonite e di bracchite. Non nego che le prime volte che uscivo con loro ero un po’ in soggezione. Ma poi li ho scoperti bravi, prudenti, teneri e forti del loro modo di essere cacciatori e che uno spirito buono mi ha fatto incontrare e che ho avuto il privilegio di tenerli come amici prima e maestri dopo. Mentori ai quali sono rimasto assai e sempre grato per avermi fatto apprezzare sia i cani italici sia la beccaccia e i suoi dintorni. Tant’è che i loro cuori continuano a pulsare….”