alesio-mascia

Setter di Alessio Mascia

Arriva cavalcando i venti del nord nel tempo fatato delle brume e delle nebbie. Ottobre l’annuncia, il tordo e il pettirosso ne sono araldi, poi novembre la posa sui boschi come vivido fiore dai colori di terra, foglie morte e di corteccia. In una campagna stuprata spesso, dove scomparsa la quaglia più non alberga selvatico degno di tal nome dietro la quale sganciare il cane e i nostri sogni, lei ogni anno – quanto più, quanto meno – rinnova il rito con senso vero, compiuto, facendoci giurare che la bella caccia con il cane, mai non morirà!

Molti i chiamati oggi, pochi gli eletti. Che dal si vuole, si dice e poi si scrive, ne corre con il si fa infine per davvero! È infatti lei, selvaggina umbratile e volubile, sempre uguale e differente da sé stessa, in grado di mettere in campo contro i suoi persecutori, una serie così vasta di strategie difensive da renderla sempre o quasi sempre, inafferrabile chimera per gli sprovveduti in tutti senso, siccome fata sempre possibile per chi sa i recessi suoi segreti e possiede a sé tutti i controincantesimi e i vari talismani per vincerne malie e ritrosie.

Uccisa a tradimento vale nulla, oro dei gonzi rubato alla sagacia di un gran cane per il gusto effimero di una bugia a cui nessuno crede tratteggiata qui e là nello squallore di bar e armeria, trasforma in monumento all’idiozia il protagonista idiota di cotanta infamità! C’è solo un modo infatti, per farla propria. Uno ed uno solo. Ed è quello a tutti conosciuto (no, “noto” è un’altra cosa!), che vede sempre l’azione al sincrono di un grande, grandissimo cacciatore -un po’ scienziato, un po’ naturalista e un po’ filosofo – che è riuscito nella sua vita ad ottenere un qualcosa che è un dono grande punto e basta: quello di riuscire a carpire i misteri più segreti delle dinamiche naturali, grazie all’ausilio di un ancor più grande cane da caccia. La si consideri una specie di magia, giacché c’è un pizzico di sciamano in ogni grande beccacciaio… È in effetti necessario riuscire ad entrare in simbiosi e assai perfetta unità d’intenti col nostro cane, in modo che lui sia un po’ noi (e quel sappiamo e poi “sentiamo”) almeno quanto noi, si sappia diventare un poco lui: innescando un livello quasi sovrannaturale di comunicazione che ci fa andare ed agire come un solo essere teso tutto ad uno scopo e solo quello. Ma senza patemi. Con sola gioia pura ed istintiva in cuore, come sempre deve in mezzo alla natura. Ci si nasce o si diventa? Si diventa, ma con una predisposizione come sia inscritta nei codici dell’anima, sia che si parli di cristiani ché ancor di più, di cani.

Nessuna razza infatti di quelle che conosciamo oggi, tranne una, nasce a monte come specialistica da beccacce. E questo senza se e senza ma: o a voi magari è capitato di vedere cucciolate che vengono alla luce con al collo campani oppure beeper “incorporati”? Via non scherziamo.

La beccacciomania è cosa dell’altro ieri, infatti: i cani da ferma nacquero per altro, poi li abbiamo adattati al bosco perché altrimenti non si poteva fare. Or’ bene, tutte le razze o quasi così come producono brocchi assoluti, altrettanto possono dare cani dalla validità assoluta. No, cose “medie” qui non servono che non siamo a quaglie dove in ogni caso con cani che non van troppo lontano, anche sen non fermano solidissimo due o tre fucilate in croce alla fine te le fai.

Qui siamo nel bosco, a beccacce, dove o il cane c’è, e sa trovarle dove sono e negoziarle, o te sei solo un povero cretino che porta a spasso un deficiente facendo prendere aria a un pezzo di ferro e legno che ti si arrugginisce fra le mani invece che sulla rastrelliera. E le cartucce sempre quelle. Le cartucce che se le cambi è solo perché non le puoi più vedere, o manco capisci cosa sono ormai con quei bossoli sbiaditi a furia di far avanti e indietro dalla cartucciera… Qui parliamo infatti di soggetti grandi già loro, e poi specializzati. Cani cacciatori furibondi, con un cuore grande così in senso lato, che poi a un certo punto bisogna saper far innamorare di boschi, uccelli tosti e rovi, anziché campi aperti, uccelli gentili e campagnoli fra le fresche frasche! Uno specialista di una razza, non vale quello di un’altra se il confronto lo facciamo calcolando i parametri di: a) raggio d’azione, b) velocità della medesima, c) conseguente quoziente di numero d’incontri per tempo impiegato, che giocoforza farà pendere l’asta della bilancia a favore della razza che copre più terreno e con maggior celerità, in termini di numero d’incontri. Dico, perché altrimenti esisterebbero le prove per inglesi, continentali esteri, continentali italiani? Per determinare il beccacciaio tuttavia, serve pure altro: la capacità di lavorare nel fitto e sporco dei boschi d’autunno/ inverno, in strettissimo regime d’indipendente collaborazione con “il capo”! Sì, quello armato e vestito alla pellegrina con un sorriso fra l’ebete e il beato ogni volta che vaga per le foreste: voi, probabilmente!