CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

CANI INCONTRISTI E CANI ROBOTdi Cesare Bonasegale

Pittura (272) La maturazione di una buona esperienza venatoria come premessa di un’alta positività dei risultati nelle prove

Cinquant’anni fa si diceva che se un cacciatore era una schiappa …diventava cinofilo. Ed era in parte vero perché molti cinofili a caccia erano effettivamente degli incapaci che – per nascondere la loro inettitudine – delegavano ai loro cani la reputazione che loro non sapevano meritarsi nel trovare la selvaggina e nell’utilizzo del fucile.

E siccome per fare un buon cane ci vuole un buon cacciatore, “le schiappe” affidavano i loro cani a degli addestratori professionisti che creavano e conducevano i loro cani nelle prove, del cui esito “le schiappe” si vantavano (anche se il loro unico merito era di pagare le salate parcelle dei dresseurs). Oggi la situazione è cambiata…in peggio! Perché – ad eccezione di beccacce e beccaccini, la cui caccia è praticata da una minoranza di specialisti – la selvaggina consiste in pollastri che un inserviente ha estratto da un sacco e quindi molla in un cespuglio mezz’ora prima che il cacciatore gli spari. Quindi forgiare un buon cane in simili condizioni è quasi impossibile. E chi vuol farlo deve effettuare due o tre trasferte all’anno in Paesi in cui le starne sono ancora presenti e selvatiche per iniziare così alla caccia un buon cucciolone. Fatto ciò – ed avuta conferma sul terreno delle buone qualità naturali del giovane cane – il buon cacciatore passerà all’addestramento del giovane allievo per affinare le prestazioni necessarie al successo nei field trials, addestramento che potrà essere fatto dal cacciatore medesimo o da un professionista allo scopo incaricato. E le schiappe? Loro si limitano ad affidare i cuccioloni al dresseur che – dopo un periodo di iniziazione – dovrà emettere il verdetto se il soggetto è o meno meritevole di continuare una carriera di prove; ed i soggetti meritevoli proseguono presso un dresseur la loro attività, che consiste in sistematici turni di pochi minuti, senza (quasi) mai abbattere un capo di selvaggina. A questo punto però si può verificare un potenziale problema, per comprendere il quale è necessaria una breve digressione. Il cane da ferma è stimolato nella cerca dal suo naturale istinto predatorio, il cui appagamento consiste nell’abboccare la selvaggina con tanto impegno localizzata; se però la ricompensa viene sistematicamente meno perché la selvaggina non viene abbattuta, la cerca diventa la semplice esecuzione di quanto gli è stato insegnato …spesso anche con metodi punitivi. Succede quindi che il cane esegue meccanicamente i lacet che l’addestratore gli ha insegnato, per quindi fermare la selvaggina che occasionalmente trova sul suo percorso. In altre parole la cerca non è più l’esplorazione delle zone dove – in virtù dell’esperienza maturata – il cane ritiene più probabile l’incontro, bensì una corsa di pochi minuti fatta secondo gli schemi che il dresseur gli ha inculcato. Si ha quindi l’esibizione di un esercizio meccanico che non è l’ottimizzazione delle opportunità venatorie, ma ottiene il plauso dei cosiddetti “esperti” che magnificano nelle loro relazioni la regolarità del percorso… soprattutto in campo aperto. Il risultato però è che gli incontri della selvaggina da parte di questi cani sono sporadici. Tutt’altro quadro invece offrono i cani che hanno maturato una notevole esperienza di caccia, che hanno una percentuale di positività nella loro cerca nettamente superiore e che (con grande sorpresa degli appassionati) vanno in classifica in quasi tutte le gare. Ed il merito è sicuramente delle grandi qualità di cui son dotati…ma anche e soprattutto del loro padrone (o del loro addestratore) che li hanno utilizzati sistematicamente a caccia, quella vera, col fucile in spalla, e che hanno inculcato in loro che l’esercizio della caccia ha lo scopo di far prendere in bocca al cane la selvaggina oggetto della sua grande passione.

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2 Comments

  1. ferri nicola

    Analisi perfetta dott. Bonasegale . Ho un solo rammarico non aver posseduto un bracco targato del Boscaccio .Le auguro ogni bene.

  2. sono molto d’accordo con quanto hai scritto , per esempio PERCHE’ NON VIETIAMO LE QUALIFICHE NELLE PROVE SU SELVAGGINA IMMESSA , forse potrebbe cambiare qualche cosa……cosa dici?

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