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Il primo giorno di Matteo al fronte.

L’apertura della stagione di caccia alla selvaggina stanziale rappresenta uno dei momenti più attesi dell’anno per il cacciatore ed il suo ausiliare. E’ un giorno particolare, fatto di speranze, ricordi e tradizione, ma tornare a casa a mani vuote può far mettere in discussione le proprie abilità venatorie!

Quello che segue, è l’episodio per il quale da quattro anni a questa parte, la terza domenica di settembre, scelgo una remota area sottratta alla caccia, dove andare a fotografare i cervi nel pieno periodo degli amori…

17 settembre 2006, diluvia da due giorni.

La notte il sonno tormentato, è una storia vecchia come il mondo. Si spareranno forse uno-due pollastri di voliera, ma l’apertura della caccia nasconde sempre un piccolo ed impagabile brivido, oltre che una grande e nuova speranza. L’attrezzatura è pronta, i cani eccitati non vedono l’ora di saltare nel baule. Accendere il fornello sotto il caffè, nella cucina ancora buia resta sempre un momento magico. L’appuntamento con Giuggi (“l’ingegnere”) è sempre davanti alla chiesetta: lo stesso dalla prima licenza. Quest’anno c’è anche Matteo con il suo bracco italiano: dopo un annetto di esami e burocrazia è finalmente alla sua prima vera giornata di caccia. Sicuramente caricherà il fucile a centocinquanta metri esatti dalla strada…con quello che se l’è sudata! Non gli sfugge una norma e la Legge 157 ce l’ha ancora sul comodino!

C’è da dire che andare a caccia di penna all’alba, con il diluvio, non è sicuramente il massimo, penso tra me e me, che se invece di far impazzire inutilmente cacciatori, agricoltori ed ambientalisti, aprendo e chiudendo come un sipario la caccia a storni, tortore, cinghiali, nutrie e cormorani, potrebbero tutti darsi da fare per tutelare questi quattro fagiani bagnati e far aprire la stagione venatoria, per esempio a mezzogiorno del primo giorno di sole! Se poi ci fosse la possibilità di gestirsi delle micro particelle di territorio, potendosi curare il posto e la selvaggina, si eviterebbe il tipico e ridicolo “match race” dell’apertura…(avete presente le barche da regata che devono tagliarsi la strada prima della partenza, prevedendo ed anticipando le mosse dell’avversario!?), l’unico giorno in cui, si dice, si riesca a portare a casa qualcosa…

Chiacchiere da bar a parte, ci piazziamo distanziati, sul bordo di un grande campo di erba medica, che scende a valle a perdita d’occhio e, con le macchine parcheggiate ben in vista ed i cani seduti al guinzaglio, aspettiamo l’ora X per poter caricare le doppiette e slegare i quadrupedi ansimanti.

Noto in Matteo la felicità di un bambino, per l’emozione ha preso due scatole di cartucce da piattello, ma poco male: ci pensa l’ingegnere ad allungargli un paio delle sue “Gigante” in cartone, per ogni evenienza. Nel frattempo passa qualche classica Fiat Regata col carrellino imbottito di cani, ma vedendoci lì spianati ed impassibili, rallentano un attimo e proseguono subito la corsa, cercando qualche altro varco per l’ambìto Vallone Roncrìo.

Giuggi ieri ha fatto la sua classica “perlustrazione pre-apertura” e di codalunga dice che ce ne sono abbastanza per divertirsi.

In quel momento, quando ormai stavamo per partire tranquilli, arrivano a tutto gas due bei Mercedes argento, stile jeeppone pellato da serata in riviera, e cominciano a far manovre a dieci cilindri e ottomila giri per parcheggiare “al tocco” con le nostre macchine.

Scendono giù, come in un blitz degli “incursori paracadutisti”, un team di ponci da pioggia mimetici che neanche i marines nella missione desert eagle! Tempo che, fra urla e madonne, si infilano gli stivali, i loro cani, già sciolti e con campanacci a dir poco bovini, ci sfilano davanti, cominciando a galoppare indemoniati nella nostra zona, senza curarsi di noi, e nemmeno il benché-minimo collegamento verso gli incuranti padroni. In un attimo ci siam trovati catapultati dalla pace dei sensi alla guerra! Osserviamo increduli, piccoli e furibondi setter “coda riccia” che ci stanno mandando per aria la selvaggina, la giornata e pure i nervi!

Tra le urla “RAMBOOO VIEN QUEE DIO BONO!” e “ROOOOKY CERRCAA BELO!” restiamo letteralmente senza parole, interdetti, quasi ubriacati.

I gentleman intanto, ancora con le suole sulla mezzeria asfaltata della provinciale, caricano a fondo i loro Benelli, passandoci beati sui piedi senza nemmeno uno scrupolo, un saluto o uno sguardo……tra l’altro il primo (per non dire il “comandante”), scivolando goffamente sull’argilla, mi sventola sotto il naso la canna dell’automatico pronto al fuoco!

Ai nostri sguardi impietriti, soprattutto perché non è ancora l’orario di apertura, uno dei due più vicini replica prontamente, che forse è meglio che NOI impariamo le regole…

Mi trattengo a fatica. E’ proprio questa diffusa arroganza a far sì che tante persone, non a torto, ce l’abbiano con i cacciatori, con la loro supponenza e con la maleducazione, che oggi più che mai li contraddistingue. Ascoltando i nostri inevitabili commenti, si spostano scocciati, un po’ più sulla destra. La cosa è perfettamente inutile, visto che il loro branco di cani, totalmente allo sbando, ha già fatto “la frittata” per almeno cinquanta ettari!

Una fitta mi stringe lo stomaco, un pò per il nervoso improvviso, ma ancora di più per il dispiacere che Matteo trascorra, in questo modo, la sua tanto attesa prima giornata.

Mentre le prime fucilate piovono come in trincea tutt’attorno, io passo la prima mezz’ora a darmela a gambe da uno sciame di vespe impazzite, uscite da un nido a terra. Una mattinata demenziale!

Ad un certo punto gli amici dal poncio mimetico, non sicuramente per merito dei loro ausiliari, già da tempo alle costole di tre caprioli oltre l’orizzonte… praticamente pestandolo, alzano un fagiano maschio, in un’esplosione di acqua, erba e piume bagnate! Sulla prima fucilata, data a brucia-pelo (dal botto direi o una super-magnum 56 grammi o due colpi sparati contemporaneamente!) il povero uccello, inzuppato com’è…e che nell’involo sembra trattenuto da un elastico, in un attimo è già, inutilmente, stecchito!

E’ ancora per aria, in una nuvola di goccioline sospese, quando gli arrivano

altre tre o quattro fucilate di copertura dall’amico Fritz, che non vedeva l’ora di vuotare il caricatore! “Non si sa mai che vada via ferito”, avrà pensato! Intanto il mio gordon fissa con gli occhi sgranati il punto esatto dove è cascato – quel che resta – del fagiano. Altri cani in giro non se ne vedono, tanto che vorrei sussurargli “Porta dai!”, ma desisto e lo tengo lì, fermo e nervoso! Non si sa mai che prenda anche lui una meteora long range tra le costole, a questo punto! Oppure che figuraccia, se andasse fino a là per poi non riportarmelo! Con le quattro cannonate, intanto gli altri cani accorrono molto meglio che con il fischietto e la scena che ci godiamo, senza aver ancora mosso un passo, è quella del “riporto a più bocche”: uno per un’ala, uno per una zampa, uno che tira, uno che ringhia ed il pollastro, crivellato di suo, che va in mille brandelli di penne e carne.

“Lasa ster Bull, da bravo, qui, qui, quiiiiiiiii!”…risuona intanto, inutilmente, l’ultimo amico del gruppo dall’altro versante della collina!

Deluso e bagnato, ma più deluso che bagnato, guardo per aria…cercando inutilmente un conforto. Di smetter di piovere non se ne parla, faccio un gesto di rassegnazione ai miei amici, i quali hanno già deciso di cambiare zona, scuotendo la testa.

Imbusto la doppietta e me ne torno a casa.

I cani mi guardano perplessi: perché gli altri potevano andare e noi no?

“Dai Pelè salta in macchina, prenderemo un fagiano in meno e una beccaccia in più!”

Garcia sbadiglia in segno di approvazione, si torna sotto il piumone con la pioggia che scroscia.

Andandomene via, mi permetto di lasciare un biglietto sul vetro del Mercedessone:

“CHE VERGOGNA!” firmato Stefano Franceschetti, cacciatore.

Ma non è finita qui! Nei mesi a seguire, altri gravi-gravissimi fatti hanno contribuito a farmi ritirare le truppe dalla “Guerra al fagiano d’apertura”:

www.StefanoFranceschetti.com