Archivio (179)

Astro di Mirco Peli 1999

“Costruire” l’educazione di un cane significa creare un grande mosaico a cui si aggiungono tessere giorno dopo giorno avendo ben chiaro il risultato finale di ottenere un grande cane.

Andatura – Attenzione però a non cadere nell’errore di trascurare come l’allievo reperisce il selvatico, cioè in che modo esegue la cerca. L’andatura infatti ha un’importanza fondamentale e il cane deve subito capire di doverla necessariamente adeguare al terreno ed alle proprie forze. Ed è questo un segno d’intelligenza. Occorre favorire il galoppo come standard impone.

Non si commetta l’errore di far galoppare un giovane accanto ad un adulto perché…lo imiti. L’allievo proprio perché spinto dal desiderio di competere o comunque seguire l’adulto non sarà capace di dosare le proprie forze e quindi si ostinerà a cacciare con ardore anche quando la stanchezza gli suggerirebbe un minor ritmo”. I  lacets (la parola significa stringa da scarpa ed indica proprio il percorso che deve fare) non devono essere disegnati sulla carta e percorsi poi dal cane come fossero un sentiero. Ampi, se vento e terreno lo consentono, più stretti qualora vi siano difficoltà. Si distanzia dall’arma nelle pianure e in località aperte, resta invece più vicino nel bosco dove l’uomo è costretto a procedere lentamente e gli occorre più tempo per trovare un’idonea posizione al tiro. Questo intendono dire i tecnici meglio preparati quando affermano che un cane “deve essere sempre in mano”. 

La distanza utile quindi non è quella fra il cane e il fucile ma lo spazio che l’armato deve percorrere in tempo utile per giungere a tiro il cane non può non saperlo perché gli deve esser stato assolutamente insegnato. “Poichè la cinotecnia è al servizio dell’attività venatoria appare chiaro che per cerca idonea si deve intendere, nell’ambito delle razze da ferma, solo quella che, in relazione al terreno ed alla solerzia nel procedere del cacciatore si estenda il più possibile oltre il raggio di portata del fucile” (Enrico Oddo).

Ammaestra Laverack “Ho sempre notato che i cani che cercano più da lontano diventano i migliori. Non è vero però che quando abbia la cerca larga non sia capace di cercare dappresso”.  

Le situazioni in caccia sono sempre differenti: ci sono i giorni in cui la selvaggina “regge” tantoché diresti che per farla balzar via bisogna quasi calpestarla ed altri invece che ricorre alle ali al primo accenno di pericolo. E considera tale anche l’avvicinarsi del cane. Ecco perché sono convinto che occorrono i cosiddetti cani di cervello “Ho sempre notato che i soggetti più intelligenti sono quelli che più facilmente, anzi naturalmente, si inquadrano nel vento senza necessità di perentori comandi e che sono disposti a tutto fuorché di rientrare alla fine di un lacet” di Vincenzo Rago.

Le differenti emanazioni hanno importanza notevole: sulle starne l’azione dev’essere ampia, i fagiani la riducono specialmente quando hanno pasturato nei prati, le quaglie paiono addirittura ridicolizzare la cerca costringendo non raramente il cane su un fazzoletto di terreno. Non si dimentichi mai che l’ausiliare da ferma ha come scopo di consentire al cacciatore di far preda risparmiandogli anche fatica.

A vento buono.

Già gli antichi ammonivano di “fare lavorare il cane a vento buono, ordinandogli di incrociare sottovento“. E Felice Steffenino “mezzo per mantenere costantemente il cane nel vento, veicolo indispensabile dell’emanazione per il fermatore, la cerca incrociata permette olfazione panoramica, abituandolo ad impostazione di cerca efficace”.

Pochi i richiami ed uno, sempre, perentorio per bloccarlo se si avvia a cercare su terreni dove non potrebbe mai essere: zone libere persino d’erba, lisce come tavole.

Si scelgano però terreni scoperti, privi di ostacoli alla vista confermando in questo quanto ebbe a scrivere Ernest Bellecroix: “Penso, d’accordo in questo con gli eminentissimi pratici, che un esemplare di nobile razza che possiede un grande odorato e grandi facoltà naturali debba essere di preferenza esercitato nel terreno scoperto, dove l’impetuosità del suo lavoro ha bisogno di essere temperata da una grande prudenza. Nelle zone coperte la selvaggina si lascia sempre fermare più agevolmente e accostare più da vicino che nelle stoppie e nei terreni lavorati”.