Sul problema dei cinghiali: le colpe dei cacciatori e degli anticaccia.
Si sta per chiudere la stagione venatoria, ma i cacciatori l’hanno di fatto già chiusa per evitare di uccidere troppe femmine di cinghiali, molte già incinte in dicembre (il che la dice lunga sulla purezza di questi animali!). Può sembrare una scelta etica agli animalisti, ma è un etica molto ma molto pelosa!
Non cacciando più si evita di ridurre la possibilità di fare grossi carnieri il prossimo anno! Purtroppo, a scapito dei contadini e di tutti i danni che un eccesso di cinghiali crea anche all’ambiente e ad altre specie di fauna (es. l’orso in centro Italia o le covate di uccelli terricoli) e di flora (es. tante specie di orchidee, anche rarissime). Ma la cosa assurda è il fatto che le associazioni animaliste pur addossando la responsabilità dei troppi cinghiali al fatto che siano stati gli uffici e le organizzazioni venatorie a liberare animali più o meno ibridi e molto prolifici, facendo loro una colpa, poi si rifiutano di far risolvere ai cacciatori il problema che, appunto, loro hanno creato. E l’altro assurdo è che i cacciatori sono ben lieti di questo veto! In pratica, si stanno comportando male entrambe le categorie, una per ingordigia di carniere, l’altra per animalismo estremo. E chi ci rimette sono i contadini e le specie rare di fauna e flora che dal cinghiale ricevono solo danni. Eppure sarebbe semplice risolvere il problema. Autorizzare maggiori abbattimenti, ma anche autorizzare i contadini a farlo in vece dei cacciatori, con o senza permesso di caccia, fino a che il numero dei cinghiali non sia rientrato nella misura stabilita Provincia per Provincia dalle autorità preposte al controllo venatorio. Per fare un esempio, in Provincia di Savona a fine stagione venatoria erano stati abbattuti solo meno della metà dei cinghiali autorizzati: 28.000 previsti. I cacciatori non possono considerare l’ambiente naturale come un loro allevamento di cinghiali per assicurarsi una produzione annuale di carne! La caccia al cinghiale è, o dovrebbe essere, anche uno sport, ed uno sport si misura anche dalla sua qualità etica. E uno dei principi di una caccia etica deve essere la soddisfazione emotiva di chi la pratica e non già la quantità delle prede incarnierate (come purtroppo invece è quasi sempre per la stragrande maggioranza dei cacciatori)! Per concludere, la smettano gli animalisti anticaccia di proporre soluzioni teoriche, costose e spesso inapplicabili o non funzionali per ridurre la presenza dei cinghiali e lascino che siano i cacciatori a risolvere il problema da loro creato. I cacciatori la smettano di pensare solo ad ingrossare il loro carniere, e comincino a pensare ad una caccia etica dove non la quantità delle prede deve essere il successo o il piace di un “uscita”, ma il piacere e le emozioni della stessa, e ad una sana e vera gestione del patrimonio faunistico. E le autorità trovino il modo di autorizzare i contadini a difendere i loro prodotti con autorizzazioni speciali ma anche regole da rispettare per far sì che il numero dei cinghiali da abbattere in una Provincia durante la stagione venatoria si possa completare, magari anche con deroghe al periodo di caccia come già si fa per il capriolo, e così per le aree protette (assurdi serbatoi di animali la cui riduzione numerica è necessaria anche nei loro confini, anziché essere considerate off limits ad interventi equilibratrici anche per il bene della Natura in esse protetta).
Murialdo, 13 Gennaio 2019 Franco Zunino
Segretario Generale AIW
Silvio Spanò
Caro Zunino, sono d’accordo sull’impostazione di massima, ma dissento su qualche punto.
-Prima di tutto ritengo inesatto e strumentale l’affermazione che le molte femmine incinte “già a dicembre la dica lunga sulla purezza di questi animali”. Il periodo degli accoppiamenti del cinghiale è molto lungo e il picco si estende per tutto novembre e dicembre: pertanto già a novembre ci sono scrofe incinte e ancor più a dicembre e non dice proprio nulla sulla purezza del ceppo. Inoltre in annate ricche di produzione di frutti del bosco anche la fertilità delle femmine aumenta investendo le loro energie nella riproduzione. E’ ovvio che i cacciatori non sparino volentieri a femmine che risultano poi gravide e questo non solo per avere chissà quali mattanze la stagione successiva, ma anche per una sorta di “immagine”!
-Il fatto che quest’anno non sia stato raggiunto il prelievo previsto dalla autorità preposte, ma sia sotto circa della metà è evidente che, conoscendo i cacciatori, non sia legato alla non volontà di fare ricchi tableaux – e il non abbattimento delle femmine perchè incinta è solo legato ad una parte della stagione – ma alla discrasia tra la disponibilità reale di capi e un piano ufficiale infuenzato verso l’alto dalle pressioni di parte del mondo agricolo e della cittadinanza in genere. Probabilmente quanto successo emerge dalla concomitanze dei due atteggiamenti.
-Dare “licenza di uccidere” agli abitanti delle campagne (agricoltori) non mi sembra civile e neanche prudente. Potrebbe semmai essere allungato il periodo degli abbattimenti sui maschi e sui giovani “rossi” , non in braccata, ma in caccia di selezione o, in casi particolari, in girata, ovvero dove si possa fare una scelta a priori del capo da abbattere.
– Infine ripeto come un disco la mia convinzione: cinghiale e altri ungulati sono una ricchezza con la loro spontanea produzione di proteine pregiate e sane e si dovrà pur giungere , come già succede altrove, ad una regolamentazione ufficiale del suo sfruttamento, con ricadute economiche e virtuose evidenti sul territorio, con conseguente automatica-credo- diminuzione dell’attuale atmosfera stupidamente accidiosa che tende ad emergere.
Silvio Spanò