Celano

Inizio il discorso da Perri solamente perché è un cucciolone moderno. Meglio: contemporaneo. Voglio dire: l’ultimo allievo che, nato al principio dell’anno nel «canile» delle Vallate da Raimond’s Zoll e da Raimond’s Net, vorrei (nonostante i tempi) fare cane da beccacce.

Quando il 19 ottobre (come fai a dimenticare certe date?!) l’ho visto fermare e rifermare, col collo a cannello di pipa di coccio, l’unica beccaccia presente nel circondario, il mio pensiero è corso al Giancarlo Mancini dell’Addestramento del cane da ferma per le prove di lavoro: «Forse quel cane che ferma espressivo una solitaria beccaccia, chiusa tra due quercioli mentre il cielo intristisce sempre più promettendo la pioggia (a chi scrive n’era venuta già sulle spalle mista a nebbia appiccicosa quel 19 ottobre), proviene da quei cani che vinsero le Prove su starne…» Certo, non disponendo di ceppo sicuramente beccacciaio, mi vanno benone (come nel caso di Perri) i soggetti discendenti dai trionfatori a starne.

Alla condizione, però, che abbiano caratteristiche di lavoro per la grande cerca su starne. Con ben rilevata dose di coraggio per vincere poi i non pochi ostacoli del bosco. Non è il candidato «onestissimo cane da caccia» che cerco. Datemi il potenziale trialer, ne farò un superbo cane da bosco. Ho sempre pensato alle prove di lavoro su beccaccia anche e soprattutto come possibilità di identificare linee di sangue che più delle altre abbiano il «tarlo». Sì, perché in definitiva tra giovani soggetti con mezzi naturali eccellenti, il superdotato si distingue in quanto «arceropatico» ( = malato di beccaccite…). Ed io che faccio questo discorso mi accorgo ora di aver lasciato disperdere una corrente di sangue che nella prima, seconda e terza generazione (capitata in mano mia) aveva dato beccaccisti di cartello.

Nicola Kira Diana e le beccacce

Nicola, Kira, Diana e le beccacce

Perri, che pensava a dieci mesi di poter fare tutto lui dopo aver fermato «la prima» come colui che ha praticato da sempre il mestiere (ma è anche da dire che la «bella» era paciosa), nelle uscite successive puntualmente sfrullò perché nel posto ci arrivava come un missile sparato. Alla terza o quarta uscita ne fece partire, alla stessa maniera, quattro che erano concentrate in cento metri quadrati di spalla. Una dietro l’altra. Per il cucciolone fu una specie di choc. L’atteggiamento suo era quello del povero diavolo che fa e non sa cosa gli succede intorno. Quello stesso giorno, subito dopo, mi parve calare d’andatura. Invece no (non potevo crederlo di così gran talento), s’era fatto solo più accorto per riuscire a fermare le altre beccacce, ricordandosi di avere (oltre alle gambe) un naso da far funzionare. Succede così, che si ridesta, quasi improvvisa folgora-zione, l’atavico istinto dell’agguato, la ferma, trepida, sostenuta. E ‘sti cuccioli ti fermano poi la beccaccia anche quando s’è abbattuta al suolo presa dai piombi, fino a che l’odore del sangue non svela l’altro messaggio, che suona «riporto».