Nuova cartella 2668

Cortese lettore, in queste brevi note su di un soggetto che per essere degnamente svolto richiederebbe un volume, io non ho punto la pretesa di insegnarti cose nuove o di svelarti scoperte peregrine. So benissimo che molti amici, egregi cinologi, italiani e stranieri, sorrideranno alle mie conclusioni, a loro ben note, e praticate da lunga data. Ritengo tuttavia che a parecchi possa giovare il mio scritto, non fosse che quale chiarificatore d’una opinione nebulosa, se non errata. Le citazioni frammentarie, che costituiscono la prima parte dello studio, sono fatalmente scucite, forse noiose. Vuoi un consiglio?

Leggi subito le conclusioni, e, se queste rispecchiano le tue idee, tralascia il resto; se invece ti troverai da esse contrariato, chi lo sa che tu non tragga dal disappunto la forza per sopportare meglio la gravosa lettura del rimanente?….Pointer = to point (indicare) = pointing dog = bracco da punta. Setter = to set (coricarsi) = setting dog = epagneul = chein couchant = chien d’oysel.

Arkwright, parlando del pointer inglese e studiandone la sua origine e la introduzione in Inghilterra, conclude ch’esso non è altro che il bracco da punta italiano o perro de punta spagnolo, importato in piccola parte dal duca di Kingston dai canili della corte di Francia, la quale aveva i suoi cani dall’Italia, mentre in grande fu introdotto dopo la pace di Utrecht (1713) dagli ufficiali inglesi, reduci da un soggiorno di quasi nove anni in Ispagna.

Purtroppo è provato ormai che Arkwright fu tratto in inganno da documenti errati, quelli secondo i quali credette di poter concludere che i cani da punta della corte di Francia venivano dall’Italia.
E così la famosa bracca italiana Baude, la progenitrice di tutti i bracchi (pointers) reali, non era bianca, ma…..rossa, ed era una……cagna da seguito di Bretagna (Leggere: “La chasse du grand sènècal” del Barone Pichon).

Di conseguenza la spiegazione del mantello bianco o bianco arancio dei cani da punta di Luigi XIV e XV è completamente errata. Come mai quelli del Duca di Kingston sono bianchi e marrone?….!
E’ pure poco attendibile l’importazione degli 80 cani da caccia da parte di Francesco I, di ritorno dalla captività in Lombardia.

Infatti, da Pavia egli passò prigioniero a Madrid, per via di mare, ove subì altre avversità tali da non lasciargli l’opportunità di pensare ai cani. Dopo la battaglia di Pavia (1525) la sera stessa (24 febbraio) egli scriveva alla madre la famosa lettera: “Tutto è perduto fuorché l’onore”. E se partì da Genova verso la Spagna con venti Galee, queste non furono scorte d’onore, ma scorta di stretta, rigorosa sorveglianza.

Arkwright dice di aver letta questa notizia, ma di non averla potuta controllare. Se Francesco I importò cani dalla Lombardia, è probabile che lo abbia fatto in occasione della sua prima calata vittoriosa di dieci anni prima, eccetto che li abbia inviati (e non portati) in Francia anteriormente alla disfatta di Pavia.

Che in Italia ci fossero cani del tipo pointer almeno fin dal 1500, ce lo prova il de Canibus di Biondo, citato anche da Arkwright, là dove, parlando dei “cani che avventano e che stanno fermi fin quando arriva il padrone”, dice che “sono a preferirsi quelli con la canna nasale rivolta in alto”. Seguono doti di armonica costruzione, poi “dorso a groppa un po’ lunghi ed orizzontali fino alla coda” e tra i difetti nota “la coda tagliata che si muove frequentemente”. Dunque: canna nasale rivolta in alto, coda lunga (non tagliata) portata immobile (e certo non tagliata per questa ragione) facendo linea con l’arco renale e la groppa, detta orizzontale per escludere la sfuggente. Come vedremo in seguito, non si può desiderare di più per scorgervi il pointer.

Si noti anche l’errore strano nel quale è incappato Arkwright facendo derivare il nome chien d’arrét dal nostro cane da rete del rinascimento. Il documento Comand de Marolles ha dimostrato ampiamente le assurdità etimologiche di questa proposta derivazione, e conchiude che arrét deriva semplicemente dal fermarsi.

De Narolles dichiara che il nome chien d’arrét è apparso in Francia poco prima del 1725, mentre Arkwright era stato più vago, limitando il comparire di questo nome al XVII secolo.
In una lettera di Lorenzo Lagalotti morto il1712 si legge: “bracco da fermo è quello che in veggendo la starna o simile si ferma” (quel veggendo vale vederla con…..il naso). Ma nel libro di Arkwright stesso si legge la citazione della Uccelleria di Oliva 1622, ove si parla del Cane da ferma e del “La caccia dello schioppo di Spadoni 1673” dove è detto: “I bracchi da ferma debbono essere moschettati o macchiettati di fulvo vivo, avere grandi orecchie, un muso lungo, il naso scuro, i piedi con speroni, ecc.”. Evidentemente qui si tratta del vero tipo bracco secondo la nomenclatura moderna.

E’ quindi certo che “chien d’arrét” non è che la traduzione di un nome già corrente in Italia, e la svista di Arkwright, che tanto acume ci ha rivelato nella sua splendida opera, non è spiegabile se non con il fatto che si trattava di questione etimologica tra due lingue a lui straniere. In questi casi sovente si deve dipendere da terze persone dotte ma … ignoranti di cinologia.
Così il De Marolles riporta senza correggerle, le parole di un tale che riferisce “come ancora oggi in Italia le “chien courant et le lévrier” si chiamano bracchi da seguito, e “le chien d’arrét et le limier” bracchi da ferma!”. Tutti sanno che “chien courant” è il nostro cane da seguito o segugio; “le lèvrier”, cane da corsa o levriero; “le chien d’arrét” cane da ferma (ivi compresi tutti i cani che fermano e quindi anche il bracco); e “le limier” il limiere. (L’origine dei diversi errori dal De Marolles riportati, deriva certo dalla denominazione di bracco estesa al solo segugio in qualche sotto dialetto).

De Marolles nel suo dottissimo libriccino non mi persuade quando per contraddire Arkwright il quale scrive che “i tipi più pesanti di bracchi navarresi (i bracchi francesi ne sarebbero i discendenti) erano stati del tutto eclissati dai superbi cani italiani dei quali Luigi XIV e XV riempirono i loro canili”, scrive a sua volta: “Essi non erano punto eclissati, poiché Thou, contemporaneo di Luigi XIV, ci informa che questo re preferiva gli epagnuels (!) “.
Qui c’è errore sicuro da parte di Marolles il quale confonde gli epagnuels di Luigi XIV che erano tra l’altro già dei veri setter, con i bracchi spagnoli (di Navarra). I primi sono cani a pelo lungo dei quali Gaston Phoebus così ne scrive: “… che si chiamano “chien d’Oysel o espaignolz, perché provengono dalla Spagna, quantunque ce ne siano anche altrove …non deve essere troppo peloso, …il loro vero mestiere è di scovare pernici e quaglie…quando loro si insegna ad essere “couchants” (a coricarsi) servono per prendere quaglie e pernici alla rete….amano l’acqua”.
Arkwright nel citare questo autore (Conte de Foix) del 1387 lo fa precedere da queste parole: “E’ dunque probabile che il bracco a pelo raso, o cane puntante, sia originario dell’Italia, ma è quasi certo che l’epagnuel a lungo pelo o “chien couchant” provenga dalla Spagna.

Nel libro di Arkwright (edizione comune) è ritratto un cane a pelo raso, bianco arancio, che l’autore dice essere “un cane da pernici di Navarra”.

E’ quindi indubbio l’errore sopra segnalato, errore tanto più inspiegabile inquantoché è proprio il De Marolles a confermare che da oltre quattro secoli gli “epagneuls” sono … scomparsi dalla Spagna. Persino il nome ne fu dimenticato; ora questi cani si chiamano “perros inglesi”! E questo trova perfetto riscontro in quel che avvenne da noi per il pointer, il cane che gli inglesi ebbero, per via Francia, dai nostri antenati, e che dopo qualche secolo noi riportammo tale e quale persuasi che si trattasse di una razza creata in Inghilterra. Ho scritto tale e quale perché se il Duca di Kensington fu uno degli importatori nel suo paese di questo nostro sangue, mi sento di poter affermare che i suoi dieci pointers non avevano nulla da invidiare quali doti morali ai migliori odierni, per conchiuderne che l’unico servizio reso dagli inglesi agli appassionati di tutto il mondo, è quello di aver conservato questo insuperabile dominatore tra i cani da ferma. Per dovere di sincerità debbo anche contestare ad Arkwright il solo merito ch’egli dichiara incontestabilmente degli inglesi: quello di aver inventata la ferma di consenso.

E’ ben strana questa dichiarazione quando proprio Arkwright ci comunica il quadro del Duca di Kingston, “l’importatore del pointer in Inghilterra”, ove certo parecchi dei dieci pointers sono in ferma di consenso. Dico parecchi senza definire quali, perché questo dipende dalla direzione del vento. D’altra parte come sarebbe concepibile la caccia esercitata con …. Dieci pointers contemporaneamente, senza un perfetto consenso?! Di conseguenza, eccetto che si voglia pretendere che l’inventore ne sia proprio il Duca stesso, la ferma di consenso esisteva prima di lui, e quindi prima che il pointer entrasse in Inghilterra.

Non vorrei tuttavia che durasse l’illusione circa l’origine prima del cane da ferma. Al Louvre esiste un frammento di mosaico, in cui si ammira una scena di caccia con il falco e con tanto di cane da ferma. E’ di epoca incerta ma almeno di qualche secolo avanti Cristo, poiché appartiene alla civiltà fenicia. Xenofonte (400 avanti la nostra età) scrive: “…cani da cerca fermantisi quando scoprono la selvaggina, e non lanciantisi addosso, se non quando parte”. Come non vedervi il cane da ferma?
De Marolles poi ci parla di questi cani nella civiltà egiziana ritrovabili già 40 secoli prima di Cristo e ne conchiude che sono sempre esistiti, da quando l’uomo si occupò di caccia. Sono i cataclismi politico sociali, quelli che segnarono la fine di tanti imperi e che allo splendore di uno quale il romano, fecero susseguire una “notte” quale quella del medio evo, che ebbero la virtù di cancellare anche le memorie di conquiste ben più importanti che non quelle zootecniche. Ed io ricorderò solo la rivoluzione francese e la nostra guerra la quale se avesse durato altri cinque anni, avrebbe fatto sparire del tutto molte razze canine.

Arkwright dichiara che in tutte le sue minuziose ricerche nei musei di Spagna trovò un solo epagnuel. Disgraziatamente esso è ritratto intanto che riporta un … pane a S. Rocco.
Dai “Dialogos de la Monteria” manoscritto del XVI secolo, abbiamo conferma di quanto sopra detto sulla scomparsa degli epagnuels in Ispagna. Ivi vediamo che due sole famiglie esistevano allora di cani per la caccia alle pernici: gli “agascados” ed i “navarros”. Che fossero entrambi a pelo raso e di famiglie affini lo prova il consiglio di incrociarli assieme per ottenere cani con le doti di entrambi. Anche Alonzo Martinez de Espinar 1644 ci dice che i cani hanno tre modi di fermare: gli uni puntano; gli altri girano di continuo attorno al selvatico (veramente questi non fermano se … camminavano sempre!); altri infine fanno l’una e l’altra cosa.

Non parla quindi di cani che si coricano.

E torniamo al “chien d’arrèt”, nome che è apparso in Francia sul principio del 1700, mentre da questa epoca via via è andato scomparendo quello di “chien couchant”. “Après Louis XVI le roi ne tirassa plus”. E con la proscrizione della rete (a striscio) dagli arnesi del cacciatore gentiluomo, il quale fu tutto conquiso dal tiro a volo, (l’archibugio per tiro a fermo già era in soffitta da un pezzo) cessò la ragion d’essere del “chien couchant” il cui dressaggio in questo senso fu via via abbandonato.

Se si vuol credere al dott. Cajus (il primo inglese che descrive il “chien couchant” di recente importazione dalla Francia 1570) l’addestramento di questi cani era al di sopra di tutto quanto si possa immaginare. Egli scrive: “quando incontra, si schiaccia con il ventre a terra, e striscia così avanti come un verme. Allorquando è vicino al luogo ove giace l’uccello, esso si corica (fermo) con un gesto della zampa indica l’ultimo rifugio del selvatico; è per questo, credo, che questa razza è chiamata “Index” ma più di tutto setter.

Non c’era che da insegnargli a … sparare ed il setter sarebbe stato … l’ideale dei cani da caccia. Ma anche Caius cita solo questo cane per le reti e conferma che è un epagnuel. Prima di passare oltre debbo segnalare che Pierre Mègnin nella sua dottissima opera “Le chien et ses reces” parlando dei cani di Luigi XIV e XV li chiama “chiens couchant a pelo lungo e pelo corto” anzi riporta, con la scritta “chiens couchant” il ritratto di Blanche di Oudry, proprio la stessa del libro di Arkwright, edizione comune, che è presentata come “pointer della più grande bellezza che diversifica dai nostri migliori attuali solo nella lunghezza delle orecchie!”. Essa ferma ben eretta, quantunque vicinissima ad un fagiano.

Questa, che io ritengo una svista del Mègnin, è spiegabile con il fatto che tra i quadri del Desportes al Louvre figurano cani a pelo raso in ferma a terra, mentre si vedono epagnuel in ferma eretta.
A parte l’eventuale errore di composizione del pittore, noto che in tutti questi quadri è in ferma a terra quel cane che più è a ridosso del selvatico.

Osservo inoltre che tutti questi cani, a pelo lungo o corto, hanno la coda rasata dalla radice alla punta, eccettuati gli ultimi centimetri, sui quali è lasciato un fiocco (forse per criterio estetico, certo per protezione della punta della coda). Ora se questo fiocco è spiegabile nei cani a pelo lungo, come lo si può spiegare in cani tipo pointer, di quel tipo che si è ammirato nel quadro del Duca di Kingston?! Thou ci insegna che Luigi XIV preferiva gli epagnuels. Perché dunque non pensare che egli avesse incrociato con questi i suoi pointers? Di qui sarebbe facile spiegare e il fiocco e la ferma a terra. Nel libro di Dunoyer de Noimont 1867 sulla storia della caccia si legge : “abbiamo ancora al museo i bei ritratti del “chiens couchants” tanto amati da Luigi XIV … ecc.”. Non è improbabile che Mègnin abbia tratta da questo la sua dicitura errata.
Ed ora proseguiamo ad indagare in tempi a noi più prossimi. Sir Lawerack, il creatore della famosa famiglia dei setters che porta il suo nome, ci informa di avere … nulla creato, né egli pretende nemmeno di aver migliorata questa famiglia di cani che “da oltre trentacinque anni erano conservati puri dal reverendo Harrison” . Fu questi che gli cedette il maschio e la femmina Ponto e Old-Moll che furono i capo stipiti di tutti i setters Lawerack. Ebbene nel suo libro il “setter” l’onestissimo allevatore inglese dichiara che il suo più perfetto setter della sua razza fu …Old-Moll, la capostipite. Ne emerge quale logica conseguenza ch’egli allevò tutti cani meno belli. Del resto egli scrive: “Ho passato la mia vita intera a conservare, a custodire questa razza perfetta”.
Questo solo per provare che la leggenda del “creatore” non è imputabile a quel puro gentleman che merita un posto eminente tra i migliori cinofili.

Nel suo libro egli ci informa pure che i suoi setters fermano in piedi: Egli scrive che “insegnava ai suoi cuccioli a coricarsi alla parola drop! Quando il cucciolone restava la prima volta in ferma lo avvicinava, gli passava una corda all’anello del collare, e quando il cane cercava di slanciarsi sul selvatico, penna o pelo, dava uno strappo alla corda gridando drop! e manteneva coricato il soggetto fino a che il selvatico fosse scomparso”.

Qui si potrebbe ancora credere che ordinasse non di coricarsi, ma di continuare a restare coricato.
Ma subito dopo aggiunge: “quando avete ridotto il cane a ben coricarsi al comando, sarà facile insegnargli a farlo ugualmente alla partenza del selvatico”. E’ ovvio che, per coricarsi al frullo o allo schizzare del lepre, è indispensabile non .. essere già coricati alla ferma.

In una stampa desunta dal libro di Mègnin si vede un setter del 1830 in ferma ben eretta.
Dal libro di Arkwright, edizione principe, rilevo poi che tre soli sono i cani in ferma a terra. Due sono dichiarati dall’autore setting-dogs (cani coricantisi, setters). Il terzo invece è un pointer, quello del noto quadro del Duca di Kingston. In questo quadro però sono dieci i pointers, dei quali sei almeno in ferma d’autorità e tre di consenso.

Ora questi nove tutti in piedi, smentiscono decisamente il solo pointer a terra. Si noti che anche in questo quadro il pittore, per un pregiudizio di quei tempi, ha voluto ritrarre cani e selvaggina.
Nel cespuglietto, avanti al naso del cane a terra, ci sono appiattate varie starne visibili nel quadro.
Osservo infine che nell’edizione principe su citata i pointers in ferma, od in consenso, sono oltre la quarantina, ma tutti decisamente in piedi.

De Marolles scrive: ” Il fatto che il cane si coricasse era un vantaggio nella caccia coll’archibugio, ma al tiro a volo non c’è più alcuna ragione perché il cane si corichi, se non a comando, cosicché lo si addestra a non più coricarsi che dietro ordine e non secondo l’addestramento di un tempo.
W. Taplin 1803-04 così descrive il pointer in ferma in “The Sportsman’s cabinet …” fin quando il fuoco dei suoi occhi, la dilatazione delle sue nari, l’erigersi superbo del suo corpo e l’apparenza quasi spasmodica di tutto il suo essere, ecc.”.

Ed ora ad altri argomenti. Bellecroix nel suo palpitante libro intitolato “Les chiens d’arrét francais et anglais” del 1881 ci presenta, tra gli altri, il pointer Don del Paul Caillard, altro appassionatissimo cinofilo francese. Don ebbe il 1° premio all’esposizione di Parigi del 1862.
Alcune date: la prima esposizione ebbe luogo a Newcastle (Inghilterra) nel1859. Nello stesso anno nacque la triste razza dei “grogneurs” i malcontenti protestanti contro i giudici..
Il primo “trial” (nato perché già si lamentavano laureati d’esposizione deficienti di lavoro) fu corso a Bedford nel 1865. E torniamo a Bellecroix, il quale ci informa che i pointers dell’epoca di Don erano i così detti pointers leggeri, velocissimi, in contrapposto al tipo pesante che il Bellecroix ha visto nascere, creato dagli inglesi, proprio per soddisfare la domanda di quei cacciatori che non se la sentivano di passare dai loro lenti cagnolini, bracchi bastardi, a quegli indemoniati tipo Don. Ma vediamo le stesse parole di Bellecroix: “Un pointer cercante à font de train in un deserto di stoppa e di prato, resta in ferma come un masso di pietra, il naso alto, sopra pernici distanti cento metri, ecc.”. ” Essi erano là come paralizzati, come ipnotizzati, come dei cani di marmo, i muscoli smisuratamente tesi, non viventi più che negli occhi: ma quali occhi!… quando l’esperienza era venuta essi guidavano a larghe strappate e sempre con il naso in aria”. “Cacciano sempre al galoppo, divorando il terreno con un ardore senza cessa rinascente, con una specie di furia, e sembrano trasportati da una passione divorante, servita da muscoli d’incomparabile potenza: è una questione di temperamento”. Al riposo il pointer porta soventissimo la coda come un cavallo inglese:… quando marcia, quando cerca il pointer tiene la coda tesa. Una osservazione che ho fatta da lunga data è che tutti (o quasi tutti) i pointers (leggeri) quando cercano al galoppo non battono la coda; il pointer non sferza o se lo fa tutt’al più quando incontra (un effluvio) “. Subito dopo spiega che, poiché il pointer non segue le piste, ma va diretto ad incontrare il selvatico, così non ha occasione di battere la coda. Alcuni pointers hanno una cerca così ardente, così rapida, che degli amatori seri di caccia hanno visto in ciò qualche inconveniente, ed hanno cercato di dare un po’ di calma a questo ardore divorante; si è dunque creato a lato dei pointers che chiamerò leggeri, dei quali ho indicato a grandi tratti le doti, un’altra famiglia meno focosa, più saggia. Non so troppo, per parte mia, se sia un bene od un male. Parlando di una sua famiglia di pointers eccezionali, dice: “Non ho mai visto battere la coda a questi cani”. La cerca di questi diavoli è a 200 a 300 metri dal padrone. E’ ancora in Inghilterra, si dice con una serie di selezioni, ma si dice anche in seguito ad incroci del pointer leggero con il grosso bracco spagnolo o francese, e qualcuno asserisce anche con quello tedesco, che si è riusciti a creare un nuovo pointer più pesante, ecc. (1860-70). La sua cerca, quantunque più ardente, più sostenuta di quella del bracco, è infinitamente meno rapida di quella del pointer leggero. Esso è più calmo, più freddo se volete. Si direbbe che ragiona di più l’affar suo e che in lui la passione cede ad una specie di calcolo che gli indica quel che conviene di fare, senza spendere dei mezzi in azioni eccezionali. Nell’altro pointer la passione, servita da incomparabile vigore, domina su tutto: esso sembra obbedire involontariamente a questa passione, come obbedisce involontariamente all’impressione che produce direttamente sui suoi muscoli l’emanazione del selvatico, il quale lo inchioda sul posto. La cerca del nuovo pointer è più corta e facile a dirigersi, e mentre è sempre difficile ridurre l’azione di un leggero, è sempre facile raccorciare la cerca del primo. Arkwright per contro così scrive: “Durante la cerca il pointer batte e sferza la coda senza interruzione”. Nei “Dialogos de la Monteria” l’anonimo scrittore del XIV secolo, quello che preferisce i navarros (tipo bracco moderno) così scrive: “Quando il cane cerca la pernice deve sempre muovere la coda in segno del piacere che prova, ecc.”.
L’incrocio del pointer con il fox-hound è avvenuto verso il 1800 e poco prima. Il colonnello Thornton pare ne sia stato l’ideatore. Il suo famoso imbattibile Dash era un figlio di madre pointer e padre fox-hound. Mi è quindi inspiegabile Arkwright quando scrive “ch’egli Thornton aveva usato del fox-houd a dosi infinitesimali” quando in Dash ce ne era il 50per cento. (Eccetto ch’egli abbia inteso dire che il colonnello limitò l’incrocio a pochi casi mentre altri ne usò più largamente).
Nelle mie peregrinazioni cinologiche all’estero ebbi la ventura d’imbattermi nel quadro di questo velocissimo vincitore. Se tutti i pointers con sangue fox-hound come lui, sarebbero di ben poco danno, perché facilmente riconoscibili, tralascio il resto bastandomi la coda che non trova riscontro se non con … la spazzolino per pulire i vetri della lampade a petrolio di buona memoria.
Non si deve confondere Dash, pointer incrociato, con Drake di Garts, il più veloce field-trialer che gli inglesi abbiano visto. Arkwright così ne riferisce (da una lettera di W. Brailsford): “Esso prendeva delle ferme subitanee di scatto ad una velocità di sessanta miglia all’ora. Velocità sbalorditiva, che mi lascia dei seri dubbi, quantunque Arkwright non accenni a smentirla o rettificarla (Equivale a circa 96 Km. all’ora). In ogni caso è certo ch’esso è velocissimo, e che nessuno gli vide in questa dote un difetto. Un pointer non è mai troppo veloce se ha buon naso.
Arkwright ancora riporta questo assioma di Thornhill 1806, e vi assente.
Alonzo Martinez 1644 così scrive, nel suo ancora freschissimo manuale del “perros de muestra” (pointer): “Le qualità che deve possedere un buon soggetto sono un olfatto d’una finezza eccessiva, una velocità essa pure eccessiva, obbedienza, ecc.”.., e poi ancora “quest’animale è il più accanito dei lavoratori, la sua respirazione e la sua attività sono così buone, che dal mattino alla sera egli non smetterà di galoppare, e certi soggetti sono così agili ch’essi sembrano volare al di sopra del suolo”. Lawerak così scrive dei suoi setter: “Essa (la sua famiglia) possiede tutte le qualità necessarie: grande velocità (è scritto nel testo con carattere diverso), naso, ecc. … e se questi cani sono superiori agli altri, è per la loro energia indomabile, la loro resistenza ed il loro ardore al lavoro”. E più avanti: In quanto sono sicuri di naso, essi non possono mai essere troppo rapidi.

Come si ricorderà egli dichiara spesso, con la sicurezza di onesto cinofilo, che “senza detrarre nulla a molte famiglie di pointers o setters del tutto eccellenti, i miei setters non sono inferiori ad alcuno come olfatto, velocità, resistenza e bellezza”. -Drake è del suo tempo ed egli lo cita nel suo libro.
Sul tema dell’incrocio Arkwright dichiara: “Per parte mia se fossi obbligato, ad incrociare i miei pointers (il cielo me ne preservi!) con un sangue straniero alla sua razza, sceglierei certamente il setter, come la sola razza che non produrrebbe il seguente risultato: diminuire di metà l’istinto della ferma nei piccoli”. Ma egli prosegue: “Quanto il passaggio seguente è più razionale che il consiglio di un incrocio eterogeneo: Un incrocio tra il pointer spagnolo ed il pointer inglese produce dei cani di prim’ordine, molto stimati per le loro qualità. Il pointer spagnolo non può sopportare le fatiche di una cerca estesa e non è né così resistente né così vigoroso quanto l’inglese ma ecc. .. (Shooting Directory Thornhill 1804) “. Faccio osservare che Thornhill qualifica di prim’ordine questi cani dal punto di vista caccia, poiché ai suoi tempi s’ignoravano i trials.
Ed Arkwright così commenta: “E’ evidente che l’incrocio omogeneo ha sempre posseduto la virtù indicata in questo passaggio, poiché si tratta di due razze (l’una originaria di Navarra, l’altra dell’Italia) che hanno prodotto il pointer inglese.

Ho presente il mio pointer puro Arkwright. La struttura del corpo ed i dettagli della testa erano molto …. spagnoleggianti (braccheggianti). Questo pointer cacciò sempre al galoppo (ma pesante) e fu un insuperabile cane da ferma a tutte le cacce. Dall’accoppiamento di questo cane con una femmina pura, certo molto più “pointer leggera” (secondo Bellecroix) di lui, ne nacquero dieci cuccioli, uno solo dei quali, ritratto vivente del padre tanto psichicamente, quanto fisicamente (benché meno massiccio) nacque con uno sperone rudimentale (quinto dito all’arto posteriore). So inoltre di altra cucciolata da due puri sangue Arkwright dove tutti i cuccioli nacquero speronati con base metatarsiana ad ambi gli arti.

Ho notato in molti cani inglesi, dell’Arkwright o di altri allevatori, la stessa fisionomia, anche se meglio attenuata che non nel mio. Tutti o quasi tutti gli altri eccellevano in caccia pratica.
Il mio, e quasi tutti gli altri , battevano quasi costantemente la coda, galoppando in cerca.
Da tutto quanto esposto credo di poterne dedurre che anche Arkwright deve avere infuso del sangue spagnolo (bracco) nei suoi pointers. Dal punto di vista cinegenetico momentaneo il grande allevatore ha certo fatto bene, ottenendo dei cani da caccia ottimi, di rara docilità. Può darsi che così abbia controbilanciato il danno del fox-hound in certe famiglie. Dal punto di vista puramente cinologico e cinotecnico credo abbia contribuito ad aumentare la confusione, perché questi tipi sono sempre degli incroci (checché se ne dica) e sono poco stabili, poco fissati tuttora, e nei prodotti è evidente la poca omogeneità, per chi sappia osservare. Ne consegue che gli allevatori devono studiare attentamente gli accoppiamenti (e questo è quasi impossibile se non si posseggono entrambi i riproduttori, anzi un buon assortimento di riproduttori) per correggere man mano gli squilibri che si manifestano. E questo per la caccia.
In quanto ai cani da “trials” è indubbio che si deve insistere a far emergerei veri pointers, gli “agascados”, i “leggeri” quelli insomma che dimostrano di avere la maggiore percentuale possibile di sangue antico che è così lucidamente tratteggiato dalle descrizioni su riportate.
Se dovessimo un giorno avere soltanto il tipo che chiamerò da “caccia”, ad un suo scadimento, molto più probabile, non avremmo più rimedio se non in lunghe, difficili selezioni (il nostro bracco insegni), mentre con delle buone bottiglie di “puro vin generoso” sarà sempre facile accontentare gli “annacquavino”.

CONCLUSIONI

1° – Il pointer “trialer” deve essere velocissimo, in giusto rapporto con il suo eccellentissimo olfatto.
2° – Deve cercare con il naso alto.

3° – La sua cerca deve essere metodica e molto estesa lateralmente al conduttore.

4° – Galoppando in cerca non deve battere la coda e deve tenerla immobile in ferma.

5° – deve fermare di scatto.

6° – Deve fermare in piedi

7° – In guida deve avanzare a strappi.

8° – Deve consentire spontaneamente, in piedi, restando immobile finché il compagno non rompe la ferma.

9° – La massime N. 2 e 3 valgono anche per il setter.

10° – Anche il setter è velocissimo, tenuto conto della stagione e del pelo.

11° – Esso può fermare coricato. meglio in piedi.

12° – Può fermare di scatto, se incontra all’improvviso l’effluvio diretto; se ne ha graduale conoscenza, di lontano, deve filare guardingo in ferma prudente.

13° – In guida deve gattonare, abbassarsi ed allungarsi con calma e sicurezza.

14° – Entrambi questi cani debbono essere ubbidienti e disciplinati.

15° – Entrambi devono possedere grande iniziativa e grande resistenza.

Ed ora cortese lettore, permettimi una breve dichiarazione, ad evitare equivoci.
Non vorrei che qualcuno credesse che in me fosse nata una vaghezza di “lanciar sassi in sugli altari”. Se in questo mio scritto ho dovuto rilevare qualche contraddizione o segnalare qualche errore di grandi e grandissimi cinologi, dei quali ammiro l’opera imperitura, ho ubbidito ad intima persuasione maturata in “meditate vigilie”. E’ il neo nelle gemme che non ne diminuisce lo splendore. E la dedica di questo modestissimo studio non è audacia di presuntuoso, ma prova della devota purezza della mia intenzione.

Se le mie idee poi avessero la ventura di essere generalmente accette, ai cinofili maggiori che, quali giudici di “trials” avessero l’incarico di applicarle, domando il permesso di poter aggiungere qualche parola ancora, a completa chiarificazione del mio pensiero. Dopo quanto ho riportato dagli illustri cinofili succitati, il velocissimo della conclusione 1° non lascia dubbi: deve essere “la foga divorante, senza cessa rinnovantesi”.

Il galoppo deve essere radente, e cioè il cane deve mantenere il profilo superiore del tronco secondo una linea immaginaria, parallela al profilo del terreno, in ogni fase del galoppo. Non deve cadere e risollevarsi sull’anteriore o sul posteriore (denoterebbe arti difettosi). Il porto di testa è poi condizionato alla direzione e velocità del vento. Anche l’altezza della vegetazione vi influisce. Ma, in condizioni medie favorevoli, il naso deve essere portato a livello o sopra la linea dorso-renale.

La cerca deve essere regolarmente incrociata e raggiungere i bordi del campo che si sta ispezionando. Eccetto che si batta a cattivo vento (ed è bene controllarla sovente la direzione del vento, soprattutto in ogni caso dubbio o sfavorevole al concorrente: flush, ferme corte, ecc.), il cane deve sempre voltarsi avanzando, e mai ritornando verso il conduttore (giro indietro).
Per la 4° conclusione s’intende che in una galoppata diretta, senza svolte o scarti, la coda deve solo oscillare dall’alto in basso, ritmicamente al galoppo, e non deve sferzare di continuo lateralmente, secondo la orizzontale, od in tondo. In ferma la coda che muove è poi un difetto che dà diritto al cane concorrente di rifiutare il consenso.

Che cosa si intenda per ferma di scatto è noto a tutti. Il pointer deve interrompere d’un tratto la sua andatura velocissima e restare come scolpito nel marmo. Il naso al vento, altissimo, in ogni caso più alto della groppa, la coda tesa sulla linea del rene o continuandone la curva verso il basso, mai al disopra. Nel solo caso in cui il cane disgraziatamente (per ostacolo o cattivo vento) venisse a trovarsi all’improvviso a ridosso del selvatico, potrà tollerarsi il naso rivolto al basso o la ferma a terra che sia frutto di immobilità dei piedi (per il fenomeno paralizzante ferma di scatto) e dell’istintivo ritrarsi del naso. Nei trials è soprattutto sulla quaglia che si possono avere di questi casi, quando si ritorna a cattivo vento. La ferma a terra del pointer così comune ai nostri giorni, quando non derivi da infusione di sangue estraneo, è certamente frutto di cattivo addestramento e conseguenza del così detto addestramento all’inglese, che comporta il terra al frullo.
Questo terra è un mezzo per impedire al cane di rincorrere. Quando è in ferma, prima del frullo, è un grave errore il paralizzarlo anticipatamente con un provvedimento che gli toglie il collegamento del senso olfattivo con il selvatico. E’ evidente che se il naso è portato alto, e se il cane si ferma al primo incontro dell’effluvio (il quale è normalmente tanto più alto quanto il selvatico è lontano, poiché si tratta di emanazione calda che nei nostri climi non può tendere che ad innalzarsi) con il terra si fa uscire il naso dall’effluvio, che gli passerà sopra, eccetto che il cane abbia troppo avanzato. Ho detto che questo difetto viene da cattivo dressage e mi spiego. Quando il cucciolone inesperto, non è ancora sicuro sulla ferma, certo viene comodo al conduttore di dargli un terra per impedirgli di forzare. Così lo si può avvicinare ed assistere. Ma con questo sistema, oltre all’inconveniente suaccennato, si riesce a far fermare anche un cane che non abbia punto l’istinto della ferma. Ho visto cani così bastardi da non presentare più alcuna parentela esterna con cani da ferma, nelle mani di cacciatori praticoni, rendere ugualmente mettendosi a … sedere in prossimità del selvatico. Ora la ferma ereditaria, istintiva, nel pointer è tale retaggio, che noi dobbiamo esserne gelosissimi custodi, richiedendo in quelli che dovranno essere dichiarati i migliori riproduttori la massima tipicità. E così il gran pointer non deve mai ritoccare la sua ferma se il selvatico non è in movimento, nel qual caso solo potrà rompere, per entrare in guida.

Questa nel vero pointer è altrettanto tipica quanto la ferma di scatto, anzi da essa prende la sua caratteristica. Il cane in ferma, fisso con il naso al vento, dimostra con un rialzare del suo organo olfattivo che il selvatico sta sgattaiolando. Compie una specie di rettifica del tiro di un’arma da fuoco in relazione all’allontanarsi del bersaglio. Quando s’accorge di essere ormai fuori del contatto diretto con il selvatico, balza in avanti a strappate, spesso con direzione a zigzag, sdegnoso di appoggiarsi alla pista, rapidissimo, testa altissima e posteriore abbassato, e conchiude presto in una nuova ferma di scatto. Il contatto è ripreso. E così via, sino al frullo. Questo tipo di fermatore, non provocherà mai il frullo compiacente al cacciatore che si è piazzato in un luogo adatto per lo sparo. E nelle prove non dovrebbe essere tollerato. Per il consenso si deve, prima di tutto, pretendere che il cane in ferma diretta sia tipico nella sua posa. Il trialer intraprendente, che non si lascia dominare dall’avversario, raramente si lascia indurre a consentire un cane che è, per lui, fermo, ma non in ferma. E’ per questo che in tutti i regolamenti esteri si raccomanda ai giudici di evitare di mettere un cane al terra per controllare il consenso del compagno di turno. Un battito di coda del cane in ferma è sufficiente per autorizzare la rottura del consenso. Per il setter non vedo opportunità di altri commenti, eccetto che per la filata e la guida, che sono caratterizzate più dalla prudenza che non dall’audacia. Preso contatto con il selvatico, il setter tende a non più uscirne, ed avanza quasi sincronicamente alla fuga del perseguitato. Osservo ancora che in tutti i regolamenti di prove sul terreno, c’è la tendenza ad attribuire maggior valore alle doti naturali che non a quelle conseguenti del dressage. Tra le doti trasmissibili vi sono certo l’intelligenza e la docilità. Ora mentre la prima richiede certamente una lunga convivenza per poterla valutare direttamente, la seconda, evidente anche nel breve turno di un trials, ci offre la possibilità di trarre dalla prima apprezzamenti indiretti. Ne consegue che mentre si può, si deve perdonare una qualche infrazione di dettaglio in una delle varie virtù che del dressage più specialmente ne sono il frutto, non si deve tollerare una trascuratezza generale in queste virtù, che chiamerò disciplinari, poiché si arrischierebbe di propagare la cocciutaggine irriducibile, che è una vera maledizione per l’utilizzazione in caccia, o peggio una intelligenza deficiente. Insomma si deve pretendere la prova, anche se non completa, che il cane è perfettamente dressabile. Per l’ultima conclusione osservo che l’iniziativa può variare moltissimo in un soggetto per causa anche negativa (esempio: gelosia) con un risultato di velocità momentanea eccessiva, a lungo andare, con i mezzi disponibili. Si noti che, per un breve tempo, la velocità d’un resistentissimo soggetto non può essere di molto superiore a quella di un debole soggetto che si sforzi. E’ facile, per l’iniziativa, sincerarsene con un turno di controllo, da solo o con un concorrente debole. In quanto alla resistenza non si dimentichi di verificare le condizioni (sintomi di esaurimento) del soggetto a turno finito.
Altra disposizione di tutti i regolamenti, molto difficile ad applicare, è quella che impone ai giudici di non tener conto del numero delle ferme, ma del complesso del lavoro esplicato dai concorrenti.
Sulla saggezza di questa disposizione non vi ha dubbio alcuno; è tuttavia difficilissimo il poterla applicare senza offendere la suscettibilità del concorrente e talvolta del pubblico. Né io me ne sento mondo. E’ indispensabile richiamarvi l’attenzione prima di formulare il giudizio, condizionandolo alle risposte che, in base al lavoro del cane, è possibile dare ad altrettante domande corrispondenti ai quindici punti che costituiscono la soprascritta conclusione. Della serena imparzialità dei giudici è stoltezza dubitarne; essi devono tuttavia in tutti i modi adoprarsi per infondere la persuasione assoluta anche negli sconfitti. Una rigorosa disciplina sul terreno delle prove; l’intransigenza per qualsiasi cerca che non sia metodicamente incrociata, la costante cura di rimettere sempre, dopo ogni ferma, i concorrenti nelle stesse condizioni di probabilità, obbligando i conduttori a riunire i cani prima di rilanciarli; evitando di interrompere il lavoro di una coppia, che è nella nota del concorso in quanto ai fattori desiderabili ante-ferma, finché almeno due incontri utili, o mancati, siano avvenuti ad opera dei cani; tutto questo verrà a diminuire enormemente gli scherzi della sorte a danno dei migliori ed a favore di mezze nullità, e le numerose ferme, di un cane da caccia, non trialer saranno quasi sempre evitate.
Cortese lettore, a questo punto mi pare di udirti esclamare: “Se questi sono i veri trialers, oggidì pochi pochissimi sono i cani che possono rispondere ai requisiti qui indicati. Si dovranno dunque negare, escludere, trattenere le ricompense a quelli che anche solo in qualche parte ne difettassero?”. Assolutamente no. Ecco la mia risposta. Il giudice, nella sua saggezza, deve ricordarsi che demolire è facile, ricostruire è molto difficile. E deve tener presente che al guinzaglio di ogni cane concorrente c’è … un appassionato, e sovente peggio un innamorato.
Guai se si offendesse brutalmente questo delicato sentimento indispensabile per il raggiungimento rapido d’un miglior domani! Quindi a gradi a gradi si dovrà procedere nello stringere i freni, dando la preferenza a chi più si avvicina al tipo ideale tra i presenti, e ricorrendo ad esclusioni solo quando si intenda dichiarare non essere il soggetto in esame, da prendersi in considerazione, nemmeno come scalino di transito, per giungere all’alta meta prefissa.
Insomma concedere il tempo necessario agli allevatori che devono essere istruiti, diffidati, ma non demoliti. Ecco la delicata missione che assolverà degnamente ne sono certo, il forte corpo dei giudici da trials.

Giovanni Pastrone