Foto di Michele Battorato

Foto di Michele Battorato

I cuccioli, specialmente se allevati in casa dai cacciatori (come ora è d’uso), sono autodidatti, non hanno più bisogno dell’addestramento preliminare alla caccia ma devono solo essere educati all’obbedienza, cosa che può fare chiunque abbia tempo, pazienza, e una certa conoscenza dei meccanismi mentali del cane, troppo spesso assimilati a quelli dell’uomo per un erroneo giudizio antropomorfico.

Occorre non dimenticare che il cucciolo non ha ancora sviluppato l’intelligenza né ha capacità di sentimento (nel senso proprio di questo termine), ma il motore delle sue azioni è l’istinto (ereditato dal suo predecessore ed in parte modificato dalla selezione), cioè un insieme di moduli di comportamento geneticamente fissati in funzione di sopravvivenza.

L’istinto di autoconservazione spinge il cane a fare ciò che gli procura una sensazione di benessere (alimentazione, sesso, dominanza, caccia) e paura e dolore sono il deterrente che lo dissuadono da azioni rischiose.

E’ dunque l’istinto che spinge il cucciolo all’opportunismo, alla capacità di adattamento, alla socialità, alla gregarietà.

Questo meccanismo che presiede al comportamento di tutti gli animali, nel cane si arricchisce di una peculiarità, “il riflesso condizionato”, ed è questo che consente al cane di acquisire la tecnica venatoria e al padrone di educarlo all’obbedienza.

Il riflesso condizionato è un meccanismo che rende automatica (cioè svincolata dalla volontà) la reazione (il comportamento) allo stimolo (il comando) quando il cane associa la reazione allo stimolo con un premio (come avviene con l’addestramento o, per esempio nella ferma, con l’estasi dell’emanazione del selvatico).

Questa associazione consegue da una sequenza ripetuta un certo numero di volte e quando si è consolidata non è più modificabile per effetto di una stabilizzazione sinaptica selettiva (un fenomeno cui il cucciolo è soggetto nel “periodo sensibile” che va dai 7/8 mesi ai 24/30 mesi).

Per stabilizzare il riflesso condizionato occorre iniziare con il “sistema premiale” (cioè premiare il cucciolo quando obbedisce al comando perchè questo sfrutta l’inclinazione del cucciolo al gioco e ad avere l’attenzione del padrone).

Solo quando il riflesso condizionato è stato interiorizzato, si può passare al “sistema punitivo”, utile per controllare il cane anche nei casi in cui è fortemente eccitato (si pensi all’inseguimento di una lepre).

In sostanza il sistema premiale ha lo scopo di indurre il cane ad obbedire per avere il premio, mentre il sistema punitivo lo induce a non disubbidire per evitare il castigo.

Nel sistema punitivo la prima regola che si deve avere cura di osservare è quella di punire il cane solo al momento in cui sbaglia, perchè se c’è un qualunque intervallo di tempo il cane non riesce a collegare la punizione con il malfatto.

La seconda sta nel non punire il cane che disubbidisce se non si è certi che il riflesso condizionato si è stabilizzato, e quindi il cane è in grado di collegare con sicurezza la punizione con l’errore.

Quanto l’osservanza di dette regole sia importante, dipende dal fatto che il cane non riesce a distinguere gli effetti dalle cause e non riesce a stabilire tra due fatti un collegamento razionale, perchè riesce ad associarli solo in base ad una stretta prossimità del loro accadimento (e quindi in modo arbitrario).

Se il riflesso condizionato non è stabilizzato e la punizione non segue immediatamente l’errore, quest’ultima ha solo l’effetto di mortificare il cane che perde la fiducia nel padrone e può diventare timoroso, insicuro, nevrotico con penalizzazione delle qualità (iniziativa, curiosità, fiducia in se stesso, avidità) necessarie per acquisire la tecnica venatoria.

L’uso di collari elettronici, da usare con cautela a causa della loro straordinaria efficacia, merita una apposita trattazione per evitare “effetti collaterali”.

L’iniziazione venatoria che avviene durante il “periodo sensibile” del cucciolone è il momento più importante per la formazione del cane da lavoro.

Infatti in questo periodo gli stimoli di un ambiente faunistico adatto sollecitano lo sviluppo della sinaptogenesi e del sistema neuronale del cucciolo, e da questi dipenderanno le sue capacità cognitive, necessarie per acquisire un’efficace tecnica venatoria.

Occorre considerare che mentre in natura i cuccioli dei predatori imparano la tecnica venatoria osservando in azione la madre o i membri esperti del branco, il cane non è in grado di apprendere la tecnica venatoria nè per insegnamento nè per imitazione.

In compenso, grazie anche alla selezione, l’apparato neuronale del cucciolo è in grado di automodellarsi in proporzione alla qualità e alla quantità degli stimoli dell’ambiente faunistico di iniziazione.

Questa facoltà consente al cucciolo di sviluppare tutte le potenzialità genetiche attraverso un processo individuale, regolato e diretto solo dal suo talento, il chè gli consente di registrare e metabolizzare le esperienze trovando le reazioni più congrue e così costruendo la sua tecnica venatoria.

I comportamenti elaborati durante l’iniziazione, per effetto di una stabilizzazione sinaptica selettiva diventano non più modificabili nell’età adulta (sia nel bene che nel male, si pensi alla paura dello sparo).

Dai postulati discendono alcuni corollari che ritengo utili per evitare pregiudizi al processo di apprendimento del cucciolone.

Poichè quest’ultimo dipende esclusivamente dalla sinergia tra il talento del cane e le esperienze dell’ambiente faunistico, occorre che l’uomo eviti ogni interferenza che possa garantire la concentrazione richiesta dall’apprendimento cognitivo.

L’opportunità di educare il cucciolo all’obbedienza prima dell’iniziazione venatoria, è dovuta al rischio che la coercizione (insita nel dressaggio) se esercitata durante l’attività venatoria possa interferire con l’apprendimento venatorio, cioè la punizione inflitta per la disubbidienza può essere imputata dal cucciolone ad un fatto del tutto diverso da quello che voleva il padrone.

Un esempio tra i tanti: un cucciolone punito dopo la ferma per renderlo corretto al frullo, poi rifiuta la ferma perchè attribuisce ad essa il castigo.

Inoltre le punizioni inflitte al cucciolone durante la caccia possono avere l’effetto di renderlo timoroso, insicuro, penalizzando l’istinto venatorio.

Il compito che deve svolgere il cane da caccia è il frutto di un difficile equilibrio tra la compressione dell’indipendenza che richiede la soggezione collaborativa con il padrone e l’autonoma e libera iniziativa necessaria per la tecnica venatoria.

Nessuna pressione didattica può insegnare al cucciolone come acquisire il senso del selvatico, la facilità di incontro o la distanza “giusta” alla quale fermare il selvatico (per fermarlo evitandone l’involo).

In questa ottica anche la generale convinzione che sia opportuno obbligare il cane ad incrociare in modo regolare la “cerca” sul terreno, può essere valida solo se il cacciatore conosce il terreno da esplorare e sa dove in genere stazionano i selvatici.

Ma il condizionamento all’incrocio diventa un “handicap” se si caccia in terreni ampi, con selvaggina rara e irregolarmente distribuita, perchè in quest’ultimo caso la resa venatoria sarà assicurata solo se il cane possiede il senso del selvatico, quel misterioso talento che gli fa concentrare l’esplorazione nelle zone più adatte a trovare il selvatico.