Negli anni della guerra eravamo sfollati da Milano a Luisago, in provincia di Como, dove i miei parenti avevano un’azienda agricola con relativa riserva di caccia. Io avevo dieci anni; papà era in guerra sul fronte jugoslavo. Io, in fondo, con gli altri ragazzi coetanei, mi divertivo e, data l’età, non avvertivo forse i drammi che ci circondavano. La campagna era tutta mia e già scorazzavo a caccia d’uccelletti col classico flobert, prima arma di tanti aspiranti nembrotte.

L’inverno del 1942, fu molto freddo e nel vasto parco alle spalle della canonica arrivarono molte viscarde (cesene). Subito con l’amico Pino trafugammo allora, di nascosto da mia madre, la doppietta di mio padre, e c’infilammo di soppiatto nel vasto parco alle spalle della chiesa.

Fatto un piccolo appostamento cominciammo subito a sparare e a raccogliere le prime vittime. ma dopo poco, apriti cielo; dalla canonica arrivò come una furia Don Achille, armato di un bastone e con intenti chiaramente minacciosi. Raccolte le nostre vittime, scappammo a gambe levate, scavalcammo la cinta in fondo al parco e tornammo lesti a casa.

La pace durò poco, perché Don Achille, arrivò poco dopo a casa mia, per denunciare a mia madre, quelle che secondo lui erano malefatte da meritare l’inferno. Bisogna sapere che io, già a dieci anni, anche per l’intransigenza e la cattiveria di questo prete, smisi di andare a messa e di confessarmi, con grande scandalo di tutti i benpensanti. Don Achille certo non mi amava e assicurava che ero la vergogna della mia famiglia che aveva per giunta un posto riservato con tanto di targa d’ottone sul pulpito.

Ricordo che un giorno gli risposi a brutto muso, quando sgridava una ragazza che portava i pantaloni, dicendogli che lui del resto portava le sottane.

Apriti cielo. Da quel giorno non ci fu più dialogo. Ero proprio una pecorella smarrita, ma non avevo nessuna voglia di tornare in quell’ovile.

Intanto dicembre era sempre più freddo e nel parco della canonica le viscarde erano sempre più numerose. Con Pino ci rodevamo e non sapevamo come fare per aggirare la guardia di Don Achille. Quando, pensa e ripensa, sotto la neve che cominciava a cadere, mi venne un’idea. Domani era Natale e quale miglior occasione avevamo per uccellare Don Achille che sarebbe sicuramente stato impegnato nella lunga messa natalizia?

Detto fatto, quatti quatti, scavalcammo la cinta, e ci appostammo vicino ad un kako che era la meta ambita di nugoli di viscarde. In breve ne pigliammo più di quaranta e con gran gioia sentivamo vicino il suono delle campane.

Mia madre, poi mi disse che, ad ogni sparo, Don Achille, si girava con uno sguardo infuriato. ma certo non poteva muoversi.

Non so se ho guadagnato l’inferno io per le mie marachelle, o Don Achille per le sue imprecazioni.

Giorgio Bracciani