Cedrone (70)

Il gallo cedrone ha una struttura fisica che varia dal maschio alla femmina. Il maschio ha una lunghezza di 75-95 cm e pesa tra 3,7 e 4,5 kg. La femmina, più piccola, misura 58-68cm e pesa tra 1,8 e 2,4 kg. Il maschio ha una colorazione scura con riflessi verdastri sul petto e due vistose macchie scapolari bianche; mentre la femmina ha un colore bruno-grigiastro con sfumature rosse sul petto. Coda con lunghe penne scure screziate di bianco che vengono aperte a ventaglio e zampe ricoperte da un fitto piumino.

L’aspetto, con il cambiamento delle stagioni, rimane invariato; la sua vita media è di circa nove anni. E’ un animale diurno.

Il gallo cedrone si può trovare nell’orizzonte montano(1000-1800m) nella foresta mista di conifere e latifoglie, estesa e poco disturbata, con alberi vecchi e rami robusti per facilitarne lo spostamento. Il gallo cedrone ha esigenze ambientali precise ed è quindi particolarmente sensibile alle modificazioni degli habitat e del paesaggio, sia naturali sia provocati dall’uomo. Le arene di canto, dove il gallo cedrone effettua la parata per attirare le femmine, sono porzioni di foresta aperte e ben definite. Il gallo cedrone in estate mangia vegetali verdi, formiche, bacche e frutti come lamponi, fragole e mirtilli; mentre in inverno mangia gemme, aghi di conifere e germogli del sottobosco.

Durante il periodo dell’accoppiamento maschio e femmina hanno comportamenti diversi. Il maschio effettua il rito amoroso che consiste in una danza detta “parata”, con la coda a ventaglio, il capo all’indietro, il tutto accompagnato da un canto spettacolare, intonato prima che sorga il sole, per attirare le femmine. Durante l’ultima fase del canto non sente e non vede e diventa una facile preda. La “danza amorosa” del Gallo cedrone, nella quale non trova rivali, almeno se ci si limita alla fauna alpina. Un drizzar di piume e un canto di tonalità crescente che spinge il Gallo cedrone sull’orlo della “pazzia”. Non è raro, in questa stagione, vederlo avvicinarsi all’uomo, incurante del pericolo, dimenticando per un attimo la propria natura timida e schiva tipica della maggior parte degli uccelli di questa famiglia…

Le femmine accorrono numerose e una volta fecondate, depongono le uova in una depressione del terreno al riparo. La madre per difendere le uova (ma anche i piccoli) esegue la “parata di distrazione”: si finge ferita e si trascina lontano facendosi inseguire, per distogliere l’attenzione del nemico dal nido. Il periodo dell’accoppiamento va da aprile a maggio; la durata della cova è di circa 25 giorni e quindi le nascite avvengono a giugno. Capercaillie Metso Tetrao urogallusIl numero dei piccoli varia da 5 a 14 e lo svezzamento avviene in autunno: i piccoli si dividono a seconda del sesso maschile o femminile. I canti d’amore dei maschi iniziano a primavera, per protrarsi fino alla fine di maggio. Tendenzialmente poligami, i maschi danno il meglio di sé durante la stagione degli amori, anche se è la femmina la più “agguerrita” quando si tratta di difendere le uova dai predatori, mettendo in atto complicate tecniche di fuga – spesso la femmina si finge ferita – per creare un diversivo e allontanare così il predatore dal nido.

Primavera 2007 201 In Italia, il Gallo cedrone è presente esclusivamente su Alpi e Prealpi, dalla provincia di Como a quella di Udine, con densità inferiori nella porzione occidentale dell’areale. Oltre all’Italia, la sottospecie abita gran parte dell’Europa, fino alla Siberia nord-occidentale. Particolari sottospecie abitano i Carpazi e la Russia meridionale, mentre una sottospecie è presente anche sui Pirenei e nella Spagna nord occidentale.

Tendenzialmente sedentario, il Gallo cedrone prepara il sito in cui costruire il nido con diversi mesi di anticipo. Già sul finire dell’inverno, quando la neve occupa ancora gran parte dei terreni, i maschi scelgono con cura i siti in cui nidificare, conquistando il territorio ideale – di solito piccole radure o praterie – in cui andare a eseguire la “danza amorosa” di primavera. Inconfondibile nel piumaggio, il maschio si presenta grigio scuro, con abbondanza di sfumature bruno-rossastre sul dorso, mentre la coda è punteggiata da rade macchie bianche. Difficile non notare l’occhio arcigno, su cui campeggia un sopracciglio rosso fuoco.

Il Gallo cedrone trascorre la maggior parte del proprio tempo a terra, alla ricerca di bacche – durante gli inverni più rigidi può ingoiare e digerire anche aghi di Abete e Pino, un fatto sorprendente che gli consente di sopravvivere anche in aree particolarmente inospitali – mentre per l’allevamento dei giovani sono necessari anche alimenti più “sostanziosi” quali insetti e altri piccoli invertebrati.

Gallo cedrone e gestione forestale.

Il parere dell’esperto

Il gallo cedrone può trarre vantaggio o svantaggio dagli interventi selvicolturali a seconda di come questi vengono condotti, a seconda del periodo in cui vengono effettuati e in funzione delle dimensioni degli interventi stessi.

Abbiamo chiesto al Dott. Rainer Ploner una interpretazione dei dati emersi negli ultimi censimenti ed un parere sul futuro del gallo cedrone in funzione della gestione forestale. Il Dott. Rainer Ploner, attualmente Viceispettore forestale in carico al Distretto di Bolzano I, ormai da 20 anni si occupa, per passione, di galliformi alpini. Proprio a causa della sua posizione professionale e competenze, ha potuto coniugare, in qualche caso nel suo piccolo, la gestione forestale con la tutela di questo schivo gallo dei boschi.

Come potresti interpretare i dati che emergono dagli ultimi anni di censimento?

Ploner: – “ Innanzitutto è necessaria una premessa: noi ci riferiamo sempre ad un lontano passato, all’inizio del ‘900 in particolare, in cui le condizioni dei nostri boschi erano diametralmente opposte a quelle attuali. A quel tempo il gallo cedrone era ampiamente diffuso, lo si poteva trovare anche sotto i 1000 metri di quota, ma vi è da considerare di come tale situazione fosse in parte innaturale.

I boschi venivano utilizzati in maniera molto maggiore, c’era grande necessità di legna e la povertà del mondo contadino spingeva ad utilizzare anche fonti di reddito minimo quali la vendita del legname. La raccolta delle ramaglie, preziosa fonte di energia, veniva sistematicamente praticata, così come la raccolta di strame e lettiera, togliendo in tal modo fertilità ai terreni boschivi riducendone la capacità di rinnovazione ed aumentandone l’acidità, aprendo il passo a specie acidofile come il mirtillo” -.

Quindi boschi più poveri, più aperti, favorivano la presenza del gallo cedrone?

Ploner: – “ Certamente. Vi è poi da considerare la situazione dei predatori naturali quale aquila, astore, volpe e martora che, essendo fino agli anni ’80 considerati come “nocivi”, venivano sistematicamente cacciati, avevano quindi basse o bassissime densità. Questa situazione era estremamente favorevole per il cedrone, si può dire che fosse però “innaturalmente favorevole” e tale mantenuta dall’intervento umano. Addirittura in qualche caso, verso la fine del 19° secolo, si ritrova in letteratura qualche riferimento a possibili “danni da cedrone” alla rinnovazione naturale, (danni comunque limitati), ma questo ci permette di capire come questa specie fosse comune” -.

Come si presenta attualmente il quadro generale rispetto a quel passato?

Ploner: – “ Da una situazione storica come quella, negli ultimi decenni si è gradualmente passati all’estremo opposto, con un’economia forestale relegata sempre più ad un ruolo marginale anche nella società contadina. Attualmente le riprese sono circa la metà dell’incremento annuale, ciò significa che si taglia molto meno, abbiamo il doppio della legna in piedi rispetto a 50 anni fa, la raccolta dei cascami di taglio non viene più effettuata, con un aumento della fertilità dei suoli.

Nelle fasce montane la rinnovazione e la crescita annua sono molto spinte e hanno determinato un forte aumento delle densità forestali. Le cure intermedie (diradamenti, ripuliture), regolarmente praticate in passato, non vengono effettuate, per cui aumenta la densità e omogeneità delle coperture, andando a perdere il carattere di disetaneità tanto utile per chi, come il cedrone, con un’ampia apertura alare e limitate abilità di volo, non riesce facilmente a destreggiarsi nei popolamenti fitti.

Vorrei citare, a questo riguardo, uno studio svizzero condotto a Davos (Kulakowski et al. 2011), che attesta come l’aumento del legno in piedi sia avvenuto fondamentalmente nella fascia compresa tra i 1600 ed i 1900 metri, proprio quella di maggior tensione per gli habitat del cedrone. Dal 1954 al 2000, riporta lo studio, le coperture arboree con densità comprese tra il 60 e l’80% sono aumentate dell’86%, mentre si è avuto un calo del 35% delle coperture più rade (tra il 40 ed il 60%, le migliori per il gallo cedrone). Una situazione analoga si può ragionevolmente affermare che si sia realizzata anche da noi.” –

Quali conseguenze per il gallo cedrone?

Ploner: – “ Ciò premesso, il problema attuale del gallo cedrone è che si possa arrivare ad un punto di non ritorno, ovvero ad una erosione degli habitat alpini talmente elevata da determinarne la frammentazione eccessiva, con conseguente isolamento geografico, senza scambi possibili tra popolazioni. Sono le tipiche premesse dei processi di impoverimento genetico di una specie che portano, nel corso del tempo, alla sua estinzione. Ricordiamo inoltre che l’habitat alpino del gallo cedrone è quello che alimenta la sopravvivenza dei popolamenti residuali dell’Europa centrale.

Quale ruolo potrebbe avere la gestione forestale nella conservazione?

Ploner: -“ Assolutamente centrale. Per fare un esempio, come regola per favorire l’aumento della biomassa, viene attualmente autorizzata all’abbattimento solamente la metà dell’incremento; quindi la selvicoltura attuale è orientata all’aumento del legno in piedi con aumento di densità delle coperture. I proprietari non hanno interessi ad investire nel settore forestale, le fonti di reddito sono altre, turismo in primis, (in altre aree dell’arco alpino l’abbandono della montagna ha sortito effetti analoghi) ed i diradamenti e le cure intermedie sono ormai pratiche desuete.

Per questo motivo si è registrato questo spostamento in quota del gallo cedrone: salendo verso l’alto la fascia forestale subalpina risulta più stabile da un punto di vista forestale, con densità minori, accrescimenti ridotti, maggior ricchezza di sottobosco acidofilo , condizioni in genere più vicine a quelle delle foreste boreali, ambienti di origine della specie. In questa fascia più alta il gallo cedrone trova quindi un habitat più idoneo, e maggiore tranquillità, ma anche condizioni climatiche più sfavorevoli che implicano in genere un minor successo riproduttivo. Questa risalita verso l’alto oltre a condizioni sub-ottimali, offre anche una riduzione delle superfici disponibili essendo le fasce boscate delle montagne assimilabili a delle forme tronco-coniche più ristrette verso l’alto.” –

Quindi sarebbe opportuno ripristinare le condizioni ottimali in basso. Quale tipo di gestione andrebbe praticata allo scopo?

Ploner: -“ Semplicemente tagliare di più nei boschi giovani e semimaturi e conservare il più a lungo possibile boschi maturi – radi. Il gallo cedrone non ha bisogno di tagli specifici, una selvicoltura speciale non è richiesta se si adottano alcuni piccoli accorgimenti. Innanzitutto è necessario avere una visione d’insieme su grande scala del paesaggio forestale, quindi andare a riaprire le coperture troppo omogenee, ripristinare le cure preliminari come diradamenti e ripuliture, creare corridoi tra ambienti già idonei intervenendo su particelle in fase di spessina, perticaia o adulti coetanei mai diradati. Bisognerebbe cercare di avere, sul lungo periodo, su una superficie di almeno 10.000ha, come minimo un terzo di superficie idonea alla specie e almeno il 10% di aperture/radure.

Infatti la frammentazione dell’habitat, anche su piccola scala, è negativa. Ambienti idonei che non siano di almeno 3-4 ettari sono a lungo andare sfavorevoli, ambienti troppo piccoli vanno collegati con dei tagli mirati.

I tagli finali devono avere margini più articolati, sinuosi e non dritti, rispettando piccoli nuclei di rinnovazione, magari intervenendo con ripuliture su aree vicine o creando corridoi di 7-8 metri di larghezza a unire due ambienti già idonei.

Altri piccoli accorgimenti possono essere, su un taglio finale, il rilascio di gruppi di piante intorno a zone umide o lungo torrenti, la raccolta o accumulo grossolano delle ramaglie. Queste possono essere alcune indicazioni di base da seguire, ma ripeto che l’importante è tagliare di più, creando boschi radi ricchi di sottobosco, chiaramente sempre evitando le tagliate su grandi estensioni.” –

Per quanto riguarda il momento dei lavori in bosco, è risaputo che durante il periodo del canto un disturbo può compromettere la riproduzione, quindi è meglio ritardare gli interventi programmati in primavera sulle zone sensibili…

Ploner: -“ Sicuramente il disturbo al canto è una cosa da evitare assolutamente. In quanto a definire le zone sensibili, è necessario affrontare però un discorso più ampio. Chiaramente le arene di canto sono delle aree sensibili, ma altrettanto importanti e strategiche saranno poi le aree dove le femmine preparano il nido e covano le uova per circa tre settimane. Il periodo di cova può andare circa da inizio maggio a fine giugno, quindi nei primi giorni di luglio vi potranno essere ancora pulcini in fase di grande vulnerabilità e poco capaci di spostarsi, sia anche covate di sostituzione (una femmina che perde la prima covata può deporre una seconda volta). Per tali motivi si preferisce indicare in genere un periodo di rispetto, di sospensione dei lavori in bosco, da metà marzo (inizio della fase di avvicinamento alle arene) fino alla metà di luglio (fine della fase di schiusa e di vulnerabilità dei pulli).

Il problema quindi è capire dove le femmine vanno a stare durante questa fase. Come si può accertare?

Ploner: -“ Sarebbe necessario avere conoscenze approfondite sulla distribuzione della specie da parte di chi gestisce il bosco. In mancanza di queste, si può pensare di evitare interventi nelle aree poste tra i 1400 ed i 2000 metri di quota dove i boschi abbiano un ricco sottobosco, (tipologie in genere preferite dalle femmine), limitandosi invece agli interventi su tipologie forestali disturbate, molto chiuse e senza sottobosco erbaceo o suffruticoso, agli stadi giovanili o adulti con coperture arboree oltre il 70%. Queste potrebbero essere delle proposte, è chiaro che vi debba essere a monte una volontà di pianificare adeguatamente i lavori, ed il miglioramento delle conoscenze non potrà che rendere più agevole una gestione compatibile.

Conclusioni

I recenti censimenti sul gallo cedrone hanno avuto una notevole importanza sotto diversi punti di vista. Da una parte si è cercato di colmare una carenza più che decennale nelle conoscenze distributive e sullo status del tetraonide in Alto Adige, permettendo di accertarne la tendenza rilevata già negli ultimi decenni, ovvero quella di un drastico calo dei popolamenti.

D’altra parte, ciò pone con maggior forza all’attenzione, la stringente necessità di fare un passo avanti nella conservazione della specie, attraverso una attiva gestione degli ambienti forestali in cui vive.

I censimenti organizzati e gestiti negli ultimi anni da parte degli Ispettorati e dal personale forestale risultano essere un segnale importante in quest’ottica, per una specie che, ricordiamo, è strettamente legata all’ambiente bosco e interagisce fortemente con le scelte gestionali praticate.

La tutela, come emerge nell’ultimo capitolo dedicato alla gestione, necessita in primo luogo di conoscenza. Quando questa viene promossa e arricchita da parte di chi gestisce direttamente il patrimonio forestale, potrà in futuro tradursi concretamente in buone pratiche per un corretto bilanciamento tra esigenze ecologiche del gallo cedrone, esigenze selvicolturali, economiche e produttive.