TETRAONIDI, coturnice
e lepre bianca per leggere l’originale aprire il link Tetraonidi e lepre bianca
IVANO ARTUSO
SANDRO FLAIM
Di sicuro tutto il mondo
che racchiude la vita
della fauna selvatica è,
in molti dei suoi aspetti,
sempre legato ad una
alea di mancanza
di conoscenze
Studi svolti da generazioni di ricercatori negli ultimi due secoli non sono riusciti a sondare fino in fondo il mistero della vita selvatica: questo è quello che facilmente la fa apparire sempre affascinante ai nostri occhi.
Tra le specie per le quali sicuramente ancora necessita di un approfondimento sostanziale delle conoscenze fin qui acquisite vi sono quelle che compongono l’avifauna alpina. Dal secondo dopoguerra ad oggi la situazione dell’avifauna alpina è mutata radicalmente con la conseguenza più tangibile di una riduzione progressiva delle presenze. Un ridimensionamento drastico dei contingenti, in certi casi, che tocca tutte le specie, anche se per alcune in maniera più sensibile che per altre e che sembra continuare a perdurare. Un fenomeno che ha toccato praticamente tutto l’arco alpino, con alcune circoscritte eccezioni pur a fronte di habitat, forme gestionali e pratiche venatorie simili agli altri contesti segnati dal problema. Parimenti, ad ulteriore riscontro della complessità di un fenomeno ancora molto poco capito, sono interessate da un calo numerico specie che occupano nicchie ecologiche e spazi altitudinali diversi, dal cedrone abitante del bosco, alle pernici bianche delle praterie d’alta quota.
Diverse sicuramente sono le cause che concorrono a determinare queste dinamiche, ma non vi è oggi certezza sui fattori coagenti e sui fenomeni che stanno concorrendo a questa perdita di patrimonio ecologico delle valli alpine. Un posto in prima fila spetta sicuramente al problema dell’abbandono dei territori montani da parte dell’uomo e la conseguente conquista da parte del bosco di quei territori a pascolo di origine antropica, indispensabili alla sopravvivenza di numerose specie faunistiche dell’habitat alpino, prima fra tutti la coturnice alpina. Altre cause possono essere state l’innalzamento del limite superiore del bosco che unito al progressivo aumento della temperatura abbiano modificato gli aspetti fitoecologici di questi ambienti. In alcuni casi, ma certamente non determinante, anche l’azione del prelievo venatorio.
Una serie di cause che comunque da sole non sembrano essere sufficienti a dar conto di questa situazione di sofferenza che sicuramente va più approfonditamente indagata e che ci obbliga, nel frattempo, ad una attenta salvaguardia delle popolazioni in essere.
UNCZA è da sempre attenta a queste problematiche con importanti lavori di studio portati avanti dalla propria “Commissione Tecnica Avifauna”. A partire ad esempio dal “Progetto Alpe “ pubblicato nel 1994 per arrivare alla più recente iniziativa di ricerca scientifica, promossa attraverso un apposito protocollo sottoscritto fra ISPRA, FEM e UNCZA che sta coinvolgendo molti cacciatori su tutto l’arco alpino per la raccolta di campioni e che ha in animo di produrre una banca dati per una mappatura genetica dei galliformi alpini; un nuovo e moderno filone di ricerca che sicuramente porterà ulteriori utili elementi di conoscenza del problema. I campioni organici raccolti vengono custoditi e analizzati presso l’ente di ricerca “Fondazione Edmund Mach” di San Michele all’Adige (TN). In tre anni sono stati raccolti più di 1.000 campioni.
Accanto a questa iniziativa la Commissione Avifauna UNCZA raccoglie ed elabora da anni dati di presenza e di gestione di questa specie aggiornando una mappa di conoscenze, unica nel suo genere, basilare ad ogni iniziativa di intervento. Di seguito vengono presentati alcuni dati relativi a questa indagine che UNCZA sta portando avanti dal 2006 e che comprende oltre ai galliformi alpini anche la lepre bianca. I dati disponibili ad oggi sono fino al 2014 (9 anni).
Silvio Spanò
come colpo d’occhio, d’insieme, è senz’altro positivo e informativo. Certamente sarebbe interessante approfondire , anno dopo anno, la variabilità nei singoli comparti, inquadrati nelle realtà ecologiche e geografiche locali, da cui potrebbe evidenziarsi anche la sensibilità, la preparazione e l’ambizione a migliorare l’approccio gestionale dei vari comitati di gestione.
Il dado è stratto, speriamo in una collaborazione ulteriore con UNCZA che bisogna comunque ringraziare.