401328_120818854704705_663329313_nAlla fine degli anni 50 non avevo ancora compiuto i fatidici 16 anni; per questa ragione debuttai nel ruolo di “guardone” seguendo ogni cacciatore che avessi l’avventura di incontrare. Guardare, per qualche anno, divenne la mia attività ricreativa orientata alla caccia e, col senno del poi, riconosco che fu decisiva nella formazione del mio futuro cinegetico. Infatti correvano gli anni in cui i cacciatori che frequentavo non guardavano tanto per il sottile razze, iscrizione all’ENCI e stile; cacciavano con il cane che si ritrovavano purché fosse bravo. Il concetto di bravo, però, era già il gradino più alto negli approcci selettivi e ricordo che questi cacciatori finivano con accoppiare solo cani bravi anche se di razze diverse! Nella mia formazione incominciai ad orientarmi in direzione dello studio della fenomenologia con la sua conseguente analisi: era necessario saper conoscere sul serio le innumerevoli caratteristiche alle basi del cane bravo e a prescindere dalla razza. Districarsi tra cani bastardi imponeva, a parer mio, molta attenzione ed attitudine alla osservazione. Di conseguenza guardando ogni volta ed a caccia insieme cani diversi, avendo come compito la sola osservazione, era facile imparare a guardare e maturare convincimenti.

Anche all’ora esistevano i “puristi”, coloro che ragionavano esclusivamente in termini di razze pure ed io, timido giovincello , potevo osservare il grado di coerenza tra ciò di cui discutevano animatamente al bar con ciò che si riscontrava sul terreno e nella pratica venatoria.

Ancor prima di prendere la licenza feci qualche esperienza infelice, ma quando si trattò di decidere l’idea di approccio era matura, tanto che il setter inglese mi sembrò l’anello di congiunzione tra la teoria, la pratica la duttilità orientata all’efficienza e la presa d’atto delle naturali differenze di ruolo tra uomo e cane orientate al rendimento da una parte ed al buon gusto dall’altra.
Nel 1960 la prima licenza ed una femmina di setter la mia prima compagna di caccia con lo schioppo a spalla. Si trattava di una femmina adulta brava ed esperta, non iscritta, ma della quale conoscevo bene le qualità e la coerenza con i suoi genitori ed i suoi nonni.

Secondo la mia testa di allora era già più pura di gran parte dei cani iscritti.

Quella femmina, insieme alla quantità delle starne di allora, la forza della mia giovinezza, il tempo libero e l’assenza di limitazione del carniere furono la mia rovina e quel ventennio fu impiegato per intero a perpetrare anno dopo anno i massimi sforzi al fine di far nascere cani, individuare paesi, frequentare territori ed occasioni coerenti con le mie abitudini di caccia e di cani.

Alla starna abbinai la beccaccia, a questa aggiunsi il cotorno , a questo il gallo ed infine ogni selvatico che fosse propedeutico alla selezione e alla formazione del setter inglese.

Naturalmente abbandonai velocemente i cani che conoscevo ed iniziai una peregrinazione in Europa alla caccia di allevatori famosi quali Crismani, Del Rovere sino a Delle Morene che fu l’iniziatore dei primi due. Gli Ammannati erano di casa insieme al “Del Tidone”.
Ritornai dalle mie peregrinazione piuttosto deluso e mi convinsi quanto fosse necessaria la prudenza nei confronti dei nomi altisonanti e, probabilmente, già in piena decadenza.

Oggi al lato del mio studio di casa è appeso un vecchio guinzaglio di cuoio che conservo con cura; a quel guinzaglio sono stati legati oltre 100 dei più bei nomi di setter inglesi che hanno fatto la storia della razza e che tutt’ora sono presenti nella maggior parte dei pedigree d’Europa e con i quali anche l’ Inghilterra ( patria decaduta) ha potuto vincere (su progetto altrui) Coppa Europa; lo ha fatto senza saperlo e attraverso il Protettorato Inglese di Gibilterra che suonava l’inno nazionale della Regina.

Il merito fu dei miei cani e soprattutto dell’amico Pepe Rechena , grande e purtroppo dimenticato amante del setter.

Mi basterebbe leggere uno ad uno i nomi dei setter incisi a lato di quel vecchio guinzaglio per convincermi che su ognuno di loro può essere scritto un libro, così come si potrebbero scrivere libri su ognuno dei soggetti sconosciuti, ma che hanno potuto indossare uno dei tre campani, diversi tra loro per suono e meriti conseguiti a beccacce .

Radentis nasce per selezionare setter inglesi campioni di lavoro e riproduttori per uso mio ed i miei più cari amici.

Nasce come auspicio e come progetto. Ho appena raccontato come in quel ventennio i cani iscritti erano ancora pochi e molti dei più forti non lo erano e, soprattutto, non sussisteva aderenza tra il tipo di setter usato con profitto a caccia e il tipo di quelli descritti e promossi dalla ufficialità.

Se a ciò si aggiungeva il fatto che in Inghilterra sembrava già in decadenza il setter, soprattutto quello impiegato a caccia, sia per l’involuzione degli originali gusti venatori, sia per la mole e l’energia che risultavano poco consone ai fabbisogni dei cacciatori italiani.

La mia idea temeraria era quella di privilegiare nel tipo la fluidità del galoppo, la leggerezza nelle forme, la scomparsa di ogni forma di resistenza alla facilità di movimento rendendo questo più semplice e sciolto e tale da trasmettere la sensazione di un duttile moto perpetuo e, attraverso elasticità e morbidezza, capace di gestire, anziché subire, le infinite difficoltà del terreno; quindi un felino vero, in ogni sua espressione attraverso la radenza naturale fatta non solo di pura meccanica, ma arricchita dalla sensibilità e dagli atteggiamenti.

Radentis mi sembrò una aperta dichiarazione di intenti in direzione di questi obiettivi.
Naturalmente l’obiettivo non è mai completamente raggiunto anche perché col succedersi delle generazioni ogni cucciolata è pietra miliare nella costruzione e nel mantenimento del progetto.

E’ importante sentirsi tranquilli sotto il profilo della coerenza tra obiettivo ed azioni che si compiono nella sua direzione.

Una cosa è sicura: ciò che chiamo e pubblicizzo provocatoriamente SETTER INGLERSE D’ITALIA non è più parente di quello di LAVERACK, costituisce quasi l’unico tipo presente e di successo in prove ed a caccia e che, partito dall’Italia, ha ormai pervaso l’Europa e non solo.

Meriterebbe passi per il suo riconoscimento internazionale; beninteso, non in sostituzione dell’inglese che ognuno è libero di promuovere ed amare, ma come fatto oggettivo ed indubitabile di grande splendore e diffusione.

E’ tanto diffuso da essere ormai composto da migliaia di famiglie ed è arduo nella selezione ragionare solo in termini di pedigree.

Quando si fa una cucciolata è perché esiste una femmina in calore ed è da questa che parte ogni forma di ragionamento; se questa è degna e coerente con l’obiettivo di cucciolata allora si può ragionare in termini di riproduzione; altrimenti si arreca danno alla comunità cinofila oltre che a se stessi.

Sino dalla giovane età ho sempre demandato ogni decisione in ordine alla fattibilità di una cucciolata solo ed esclusivamente alla femmina che in quel momento è in condizione di riprodurre. Ogni ragionamento è fondato sul’analisi fenomenologica di quella femmina e dovrà essere orientato alla scoperta delle ragioni genetiche per le quali essa è così. Questa analisi consente di individuare, con la migliore probabilità possibile, la fetta della torta genetica alla quale la riproduttrice appartiene; ciò fatto è necessario, attraverso la stessa analisi, individuare quale maschio appartenga alla stessa fetta della torta genetica e tale, quindi, da super valorizzare la redemption di cucciolata.

Il migliore degli allevamenti possibili può essere quello che ha solo femmine in canile, di indubitabile e ben individuate caratteristiche genofenomenologiche, per diverse generazioni.
Un maschio genofenomenologicamente compatibile con essa non dovrebbe essere difficile da trovare. L’incontrario finisce col ridurre la possibilità di successo.

Mi sento di raccomandare la selezione dei riproduttori in tenera età, quando cioè le osservazioni e le manifestazioni sono naturali, istintive, e prive di manomissioni umane.

In aggiunta alla caccia, che ho frequentato molto assiduamente, ho presentato in prove molti soggetti; con questi sto per festeggiare i 3000 risultati (138 solo quest’anno) nelle prove che frequento, quelle a starne; ma anche in montagna ed a beccacce che altri hanno frequentato i risultati sono molto numerosi.

Non conosco nella storia altri simili palmares.

Ritengo che la ragione più importante del successo sia il fatto di aver spostato la mia ottica di osservazione selettiva, per quasi mezzo secolo, dalla ricerca del vincitore in prove a quella del vincitore in riproduzione. In sostanza l’obiettivo di cucciolata è sempre stato “il riproduttore” ben sapendo che, considerate le caratteristiche che questo deve possedere in modo certo, centrare anche l’obiettivo del buon cane da caccia o da prova è quasi automatico; con la differenza che l’uno e l’altro indifferentemente garantiranno il proseguo ed il consolidamento delle caratteristiche poste alla base della selezione stessa.

Infine penso che tutti i soggetti posseduti come riproduttori possono abbondantemente fregiarsi del titolo di campione di lavoro e riproduttore.