Berry di Roberto Fiorona

Qualcuno ha detto che la sintesi è una spremuta di pensiero. Mica facile. E non è facile avere pensieri che meritano una spremuta. Ci provo.

Si parla tanto, da qualche tempo, della necessità di uniformare i criteri con cui si indicano, attraverso le prove, i potenziali riproduttori. Poichè di questo si tratta. Io credo che lo scopo possa esser raggiunto con la generale, scrupolosa osservanza dei regolamenti e con la valutazione del metodo di cerca a fondamento dei criteri di giudizio.

La cerca, prima di tutto. Non solo temporalmente. Si cerca per trovare. Si cerca con metodo o si trova per caso. Senza merito, perchè senza aver cercato.

Il cane da ferma cerca per fermare quel che trova, beninteso: non per trovarlo e basta. Con tutto quel che comporta. Il metodo. Se si cerca un prete in clergyman in un nevaio, ci si guarda intorno, alla larga, per quanto grande è il nevaio. Se si cerca un bottone caduto dalla cacciatora in una stoppia sporca, non lo si trova se non si ha la pazienza di cercar con cura. Sempre che ne valga la pena.

Per un cane da ferma, a determinare il metodo, sono, inequivocabilmente: vento, terreno e selvaggina. Non la razza: selvaggina, terreno e vento si strainfischiano degli standard che abbiamo inventato per i nostri beneamati. Ciascuna razza applicherà il metodo con il proprio stile, altro non essendo lo stile che il modo con cui ciascuna razza esercita rendimento.

Non la selvaggina da sola: non si cercano alla stessa maniera le starne in Appennino, in greto sporco o in vasti coltivi in piano. Non, alla stessa maniera, beccaccini in risaia, in prato a bagno o in paludastro. E sempre che di selvaggina si tratti. Se si tratta di pollastri da stia travestiti da starne, rosse o fagiani, il metodo più razionale per trovarli è farsi dire dove li hanno messi.

Non il terreno da solo, perchè dipende da quel che vi si cerca.

Nè, da solo, il vento, la cui presenza, intensità e qualità condiziona sempre e comunque la cerca di chi impiega l’olfatto, così come le condizioni di luce condizionano le ricerche di chi usa la vista. Elementare: di un cane da ferma non si può dir che cerca, per quanta gamba ci metta, se non lo fa in costanza di impegno olfattivo.

Con metodo. Senza, non val la pena di cercare.

A caccia ciascuno perda il tempo come gli pare e con il cane che gli pare: sono affari suoi. Alle prove, sono affari nostri e chi cerca senza o con poco metodo va stigmatizzato e, se necessario, messo alla porta. In tutte le prove.

A beccaccini, beccacce e in montagna, precipuamente. Ma anche in classiche. E c’è da chiedersi: se si mette alla porta (o, più spesso, si penalizza) un cane che si comporta a grande cerca come un cane da quaglie, perchè non si fa altrettanto con un cane che pratica, in classica, la grande cerca ?

E non vale il concetto secondo cui non sarebbe opportuno penalizzare chi ci mette di troppo: in classica si cercan quagliette messe a terra in erba bassa e van cercate con ordine, a lacets compatti, non foss’altro che per non arrivare a fondo campo in tre minuti. E, a grande cerca, si metta in chiaro che non si cercan con lo stesso metodo coppie e brigate. A non parlare di prove di caccia, dove spesso si assiste a prestazioni che poco hanno a che fare persino con la cerca, prima che con il metodo.

Nè si confonda giusto metodo con ordine geometrico della cerca, spesso, anzi, contrario a quel che dettano selvatico, terreno e vento.

Per contro, la cerca incrociata va pretesa quando e dove l’uniformità delle colture la rendono il più razionale dei metodi. E quando e dove non trovano giustificazione maldestre sfondate e fantasiose licenze senza senso, che a qualcuno fa comodo considerar dettate da senso del selvatico. Nemmeno se coronate da successo, non essendo lecito presumere, quando non ne sussista prova, l’insussistenza di trascuri e sorpassi.

Senza dimenticare che, senza collegamento, non c’è metodo che tenga.

Sempre: la caccia è l’ideale leggio sul quale idealmente poggiare i regolamenti da leggere, interpretare ed applicare. I nostri son cani da fucile e non c’è posto per chi intenda farlo in giacca, cravatta e scarpe di vernice. E nemmeno in tuta sportiva e scarpe da ginnastica. E sarà bene che, nelle relazioni degli esperti, non si legga soltanto di galoppi e di portamenti, ma di quel che ne fanno, i nostri cani, dei loro galoppi e dei loro portamenti. Con che metodo se ne servono, oltre che in qual modo. Senza stile non c’è razza, ma senza rendimento non c’è neanche il cane.