Nella foto: A.Neo LO1099443

Per un cinofilo il pedigree è il documento di tracciabilità di un cane. Attraverso la lettura attenta del documento possiamo inferire innumerevoli informazioni: ad esempio attraverso quali vie si è arrivati ad una cucciolata; nel caso di un allevatore decennale è facile seguire il percorso e nel tragitto si possono ravvisare gli intenti ed i progetti, ovviamente con un po’ di conoscenza dei soggetti che vi compaiono.

Questo è implicito che non sia garanzia di riuscita, ma sicuramente è segnale di un “progetto”. La capacità di “leggere” un pedigree rientra tra le competenze di un buon cinofilo.

E’ sottinteso anche che ciò che è raffigurato nella carta, cioè il disegno allevatoriale che traspare dagli accoppiamenti dei soggetti può non corrispondere alle aspettative. Questo è un discorso genetico nel quale non voglio assolutamente avventurarmi.

In questa circostanza sono stata “abbagliata” da qualcosa che in effetti, è sempre sotto i nostri occhi durante la nostra frequentazione dei Social ma talvolta, ci passiamo sopra senza soffermarci.

Torno indietro al concetto dei pedigree nei quali si identifica un percorso ben preciso; probabilmente non è un azzardo dire che nell’ambito “lavoro” questo elemento è molto più marcato, ma certamente non è bene generalizzare. Poi, invece, assistiamo ad una moltitudine di esempi in cui è evidente che il “progetto” non è sicuramente stato il faro che guida nelle scelte. Addirittura, mi è capitato un caso recente in cui si trovavano delle similitudini in soggetti con antenati completamente diversi (e quando dico completamente, lo dico nel senso pieno), soltanto perché appartenenti allo stesso affisso… Addirittura ho letto frasi del tipo “dopo anni di selezione” e non ho potuto fare a meno di andare a controllare. Dalla verifica infatti, appaiono pedigree con all’apice soggetti sui quali si era inizialmente costruito un progetto, ma tra l’apice e l’attualità ci si perde in un mare magnum di casualità e approssimazione. Si arriva quindi, all’attualità dopo tortuosi percorsi, nei quali vari passaggi di mano e cucciolate “inventate al momento” ci mettono di fronte ad un risultato che niente ha a che fare con le premesse iniziali. Mi rendo conto che per un cinofilo neofita oppure, con altri passatempi ben lontani dalla cinofilia, “leggere” un pedigree sia un atto sul quale investire del tempo e anche conoscenza, ma addirittura costruirci un paradigma sopra su eventuali omogeneità e tratti distintivi lo trovo non esagerato, ma che sfiora la corbelleria. Perché faccio questo esempio? Per diverse ragioni: la prima è che possiamo ritrovarci con soggetti promettenti nell’attualità indipendentemente dalle premesse iniziali dei trisavoli e viceversa; un avvenire promettente è garantito da tanti fattori in cui sicuramente la genetica ha il suo peso ma le cosiddette circostanze ambientali valgono altrettanto. La seconda motivazione è dettata da alcune considerazioni legate al cosiddetto “marketing delle vendite” (mi si passi l’espressione…), che niente hanno a che fare con considerazioni di tipo cinofilo.

Pedigree di Tibet du Buisson Au Cerf, LO0429107, nata il 19 maggio 2002, Campione It. di Lavoro, Campione It. di Bellezza, Campione It. Assoluto

La ciliegina sulla torta di questi casi in discussione, è rappresentata dall’assenza di controlli genetici tipici di una razza da effettuare sui soggetti che dovrebbero raccogliere l’eredità genetica dei “padri fondatori” di quel pedigree dopo un periodo di chiamiamola, dispersione. Salta all’occhio a leggere la narrazione che è “il progetto di rinascita” dei vecchi fasti a guidare le azioni e non si verifica neanche che i soggetti sui quali si investe siano sani? Eventuali patologie ereditarie e anche multifattoriali ma controllabili geneticamente attraverso test assidui sui riproduttori potrebbero far andare a monte “il progetto di rinascita” (mi è capitato di sentire anche questo), e non ci si preoccupa minimamente di questo, neanche che potrebbero nascere soggetti “malati”? La narrazione in cinofilia quando non è suffragata da azioni concrete è solo del marketing a buon mercato, che sicuramente può far presa su alcuni ma ne lascia interdetti altri.

Mi è venuta in mente una frase: “quod non fecerunt barbari, Barberini fecerunt”; in certi casi però, i barbari sono rappresentati dagli allevatori all’apice di quei pedigree e i Barberini sono gli ultimi arrivati dopo quel mare magnum in cui anche i geni, per quanto resistenti, talvolta, si possono disperdere… ops, affogare…

I Social, hanno il grande pregio di mettere in evidenza le storture, le improvvisazioni; il “Miles gloriosus” di turno è sempre all’opera.

Nella foto: A.Neo LO1099443