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Sulla caccia premetto che non è un campo tanto di mia competenza, quindi non posso dare un giudizio autonomo. Nè ho conoscenze tecniche sulla gestione della selvaggina nè so come funziona l’apparato organizzativo del mondo venatorio. Dato che ho sentito voci molto allarmate ho sollevato la questione. Avevo richiamato l’attenzione anche di Zunino proprio per saperne di più, affidandomi alle sue conoscenze.
 
Io mi occupo di escursionismo, alpinismo e sentieristica, di fotografia e di letteratura. Tuttavia anche la caccia fa parte della mia vita però. Essendo figlio di cacciatore ho imparato a non condannare la caccia come attività in sè, anche perchè se amo così tanto la natura selvaggia è proprio grazie al mio papà cacciatore. Sono comunque convinto che, sulla caccia, non ci debba essere esitazione nel contrastare i suoi (sempre potenziali) effetti negativi sulla distruzione di alcune specie faunistiche.
 

Il problema di fondo è che molti, la maggior parte, condannano tout court la caccia. Sul blog del WWF si fa proprio questo, per esempio. E’ ovvio che con queste premesse non si può per nessuna ragione dialogare con i cacciatori, e soprattutto con quelli più ambientalisti. Ecco che così si chiude un varco di possibile dialogo e collaborazione con quei cacciatori più sensibili alla tutela dell’ambiente. E quando non c’è dialogo nessuno ci guadagna! Leggevo i commenti sul blog Cacciatori Brava Gente del WWF e la mia impressione era che non si accettava per nessuna ragione un confronto dialettico con quelli che nei loro commenti dicevano di essere cacciatori orientati alla salvaguardia dell’ambiente naturale. Il problema è a mio avviso questo: non si capisce che un cacciatore può rispettare e amare gli animali anche praticando la caccia, e che non tutti sono dei macellai. Questa è la lezione di vita che ho ricevuto anche dal mio papà, con tutti gli errori (involontari) che egli abbia potuto commettere. Il gosso limite dell’animalismo del WWF è proprio questo. Leggendo quel blog mi sono sentito un po’ offeso, perchè il mio papà amava gli animali e capiva di ambiente molto più di tanti ambientalisti bamboccioni!
Faccio alcune considerazioni ispirate alla lettura dell’intervento di Vincenzo, che devono valere come semplici riflessioni di un “non addetto ai lavori”, un non cacciatore, che si sforza di dipanare la matassa.
 
1. Non sono d’accordo con Vincenzo Tarantino proprio su un punto che appare a me decisivo: l’attività di selezione della selvaggina, che è uno dei servigi più importanti che l’uomo possa dare ai cicli biologici della natura. Parlavo una volta dei cinghiali in sovrannumero sul Pollino… ecco in questi casi l’apertura controllata e selettiva della caccia potrebbe dare un grande servizio sia all’agricoltura che al bosco e al resto della fauna. Il cacciatore a differenza della guardia forestale conosce il territorio e almeno se uccide un cinghiale se lo conserva nel freezer, e poi se lo mangia.
2.Altro punto del discorso di Vincenzo che non mi quadra: considerare solo gli animali selvatici. A rigore, non sarebbe necessario nemmeno mangiare tanta carne d’allevamento. Anzi, i medici dicono che si fa abuso di carne. Quante povere bestie vengono fatte nascere solo per vivere in funzione della pancia umana, chiusi in allevamenti lager e maltrattati! Anche l’animale d’allevamento deve godere di rispetto. Io ad esempio mi considero animalista nella misura in cui sono per il rispetto e il non maltrattamento di un animale in vita. E qui si potrebbe aprire il discorso sull’industrializzazione dell’allevamento. Mia madre ha le galline per esempio, ma non vivono stipati in allevamenti lager; certo ai galli alla fine gli fa la festa ma almeno sono vissuti in maniera “dignitosa”, liberi di svolazzare nel mio ampio pollaio o di dormire al sole Inoltre: perchè non si parla mai dei pesci? Forse perchè non hanno gli occhi dolci come quelli dei caprioli… ma anche loro sono animali. Ed anche la selvaggina del mare dev’essere rispettata.
 
3. L’aspetto che a me pare rilevante dell’animalismo è che considera l’animale (ma solo quello selvatico) non in quanto specie, ma in quanto individuo che di fronte alle esigenze dell’uomo dovrebbe godere del diritto alla vita sempre e comunque. Questo è il punto della discordia ed è quello che ci distingue da altre associazioni ambientaliste. Questo discorso regge solo se, come dice la LAV, l’uomo diventerà una volta per tutte vegetariano. Certo è un discorso folle e che non tiene conto della biologia umana a mio avviso, ma quantomeno coerente dal loro punto di vista (non credo ad esempio che tutti quelli del wwf siano vegetariani!).
 
4. Nell’era primitiva l’uomo era parte del ciclo naturale, parte del gioco tra preda e predatore. Io penso che oggi dovremo ragionare come i pellerossa, preoccupati della sopravvivenza degli animali non come individui, ma come specie. Quando il pellerossa parlava del bisonte lo individuava precisamente in quanto specie, come concetto di insieme, che racchiudeva tutti gli individui in un unicum. Ciò non impediva al pellerossa di cacciare e venerare contemporaneamente l’animale, come simbolo di una cultura che ruotava alla sua esistenza (infatti si parla di “cultura del bisonte”). Oggi che l’uomo ha la capacità di stravolgere con la tecnologia i cicli naturali deve ragionare paradossalmente da primitivo, da pellerossa. Sembra una bella contraddizione, ma solo una mentalità del genere ci potrà salvare (anche per quanto riguarda il prelievo qualunque tipo di risorsa in natura). Ed ecco che ritorna il discorso della caccia, che anima il dibattito e scalda gli animi proprio per l’essere essa stessa attività fondamentalmente primitiva, tradizionale, che però sopravvive in una società tardomoderna come la nostra recando con sè una duplice contraddizione: a. se essa è incontrollata e si avvale della tecnologia moderna rischia di diventare distruttiva e anche innaturale; b. se completamente vietata rischierebbe paradossalmente di creare squilibri nella catena alimentare, contraddizioni relative al sovrappopolamento di alcune specie, e anche danni di queste stesse specie all’ambiente naturale(flora). Ciò che va afferrato è questo: l’uomo ha in realtà sempre cacciato e ciò gli ha assegnato comunque un ruolo quasi naturale nella selezione della selvaggina, da quando viveva a stretto contatto con la natura, come nelle comunità primitive, fino all’epoca dei computer e dei telefonini. Gli stessi ambientalisti entrano in contraddizione quando sono per l’abolizione della caccia ma poi magari a favore di un’innaturale fruizione della natura tramite strutture turistiche, strade, ecc, trasferendo l’artificiosità del mondo urbano nella stessa natura, con tutte le sue eccentricità tipicamente postmoderne (è la visione museale o sportivista della natura di cui abbiamo parlato a più riprese con Franco Zunino). Per questo ci vuole una via di mezzo. Ma questa via di mezzo si può trovare se c’è apertura mentale sia da parte degli ambientalisti che da parte dei cacciatori.
 
5 Sono comunque critico verso quelle leggi che dovessero permettere una caccia indiscriminata e senza regole sensate… Se critichiamo il turismo di massa e l’industria boschiva dobbiamo criticare anche la caccia, qualora dovesse svolgersi con regole fatte male… La questione si riduce a questa: l’uomo deve capire qual è il suo ruolo oggi nel mondo naturale, e soprattutto deve capire come può far conciliare le esigenze della salvaguardia della wilderness con il mondo artificioso e artificiale della società “postmoderna” di oggi, discorso che vale perla caccia ma vale anche, come si sforza di dimostrare, giustamente, anche Zunino, per lo sport, il turismo, o qualsiasi tipo di sfruttamento della natura.