Io amo i cani più di ogni altro animale e soprattutto i cani dei cacciatori. Li amo perché li ho visti lavorare per i loro padroni fino allo sfinimento, senza ricevere neppure una carezza o una crosta di formaggio. Li adoro perché li ho visti maltrattati, affamati, eternamente soli nei loro recinti, eppure con gli occhi solo per quei sciagurati padroni. Li adoro perché puzzano, non vengono mai lavati e sono pieni di zecche, tormenti, reumatismi, e muoiono soli o per mano dei loro aguzzini:”non andava più, cosa devo fare di lui…”…
Purtroppo, tra i cacciatori, ancora oggi, l’idea più diffusa del cane da caccia è la stessa di cento anni fa: i cani sono degli utensili, degli “ordigni”, “ordèns”, e niente più. E come ogni ordigno deve “funzionare” bene. Se non funziona non mangia, se non funziona non serve che viva.

Così come gli ordigni stanno in officina, così anche il cane non può, per nessun motivo al mondo, stare in casa, il cane deve vivere fuori, in un “gabbiotto” di pochi metri di rete elettrosaldata, con il fondo in cemento. In quella gabbia passa tutto l’anno, senza mai uscire, fino all’apertura della stagione di caccia.

In quella gabbia ritorna alla fine di ogni giornata di caccia, immediatamente, senza poter mai stare neanche pochi minuti con il padrone. E da li non esce più per un intero anno quando la stagione finisce…

Passano tutta la giornata aspettando di vedere il loro padrone per pochi istanti, quando gli porta da mangiare. Sono momenti strazianti perché vedi questi poveri cani che alla vista del proprio padrone cominciano ad abbaiare e saltare di gioia. Tentano in tutti i modi di dimostrare e ricevere affetto. Ricevono invece una manciata di mangime e una bestemmia perché smettano di abbaiare. Poi il padrone si allontana e ritornano nella loro solitudine di sempre…

Per mia fortuna tra i cacciatori ho visto anche splendidi esempi di civiltà, nei confronti dei loro cani. Ho amici cacciatori che li considerano componenti del nucleo familiare, che permettono loro di entrare in casa e condividere le gioie domestiche con la famiglia. Che vivono liberi, in ampi cortili dove possono scorazzare tutto il giorno. Che ricevono una carezza ogni volta che corrono in contro ai loro padroni. Che al termine della caccia non vengono rinchiusi immediatamente in macchina ma restano al piede dei padroni anche durante il dopo caccia, nelle taverne o nelle osterie e, sotto i tavoli, stancamente distesi sulle mantelle di loden o su uno straccio di lana, ricevono fette di formaggio e salame e un sacco di complimenti per come hanno cacciato. La giusta ricompensa per la fatica condivisa per boschi e prati… Se un cacciatore non è in grado di considerare un cane qualcosa di diverso da un semplice “ordigno”, da un semplice utensile da sostituire quando non funziona più, quel cacciatore non deve poter cacciare. 

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