CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

L’EVOLUZIONE DELLA CACCIA di David Stocchi

Riporto di Jena di Stocchi

E’ cambiato il motivo che ci spinge a cacciare, ma non può cambiare il rispetto nei confronti della natura e soprattutto nei confronti della selvaggina.

Tutti sappiamo che la caccia è un’attività nata prima dell’uomo e che fondamentalmente è stata l’unica, insieme alla pesca, a garantire la nostra sopravvivenza e quella delle altre specie animali.

Essa, è stata di vitale importanza per il prosperare dei popoli, è stata sempre tenuta in altissimo onore ed ha rappresentato per l’uomo stesso sicuramente l’attività a lui più congeniale con la sua natura.

A testimonianza di ciò troviamo una moltitudine di grafie rupestri, monumenti, sculture, dipinti ecc. ecc. da parte di tutte le civiltà antiche di ogni periodo e di ogni continente, ma è nell’arte e nella letteratura greca e latina che ne troviamo il collocamento più profondo, infatti, qui grazie alle innumerevoli opere di scrittori, filosofi, storici, politici e poeti riusciamo a capire come la caccia sia da sempre considerata attività moralissima, educatrice e formativa del corpo e dello spirito.

Come non ricordare l’ateniese Senofonte, discepolo di Socrate, il quale nella sua opera sulla caccia “Cinegeticon” scritta quattro secoli prima di Cristo traccia un panorama vivo sotto il profilo tecnico e addirittura moderno dell’attività venatoria mettendone in risalto il suo valore morale e educativo per i giovani.

Poi ancora la “Cunegheia” di Arriano due secoli dopo Cristo, trattato che già in quel tempo metteva in evidenza un’inquadramento giuridico e sociale della caccia considerandola altamente morale.

Virgilio che nelle “Georgiche” indica come la caccia porti di conseguenza ad amare i campi restituendo salubrità fisica e morale a chi la esercita.

E che dire di Orazio che con due soli versi centra e fa emergere in tutta evidenza le due forze motrici fondamentali della vita, che alternandosi regolano prima l’esistenza e poi la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi descrivendo quella irresistibile vocazione che porta il cacciatore a lasciare il tepore della tenera sposa per affrontare il freddo e rigido inverno solo per adempiere a quel rito magico della caccia spinto dal fuoco sacro che mette a tacere l’altrettanto istintuale impulso d’amore :

“Sta il cacciatore nel gelido inverno – Dimentico del tepore della tenera sposa!”

Sempre storicamente poi, dopo la caduta dell’Impero Romano e superato il medioevo, la caccia approda luminosa ai fasti rinascimentali dove venne praticata con fervore e immensa passione da Principi, Papi, Nobili e Condottieri, ma essa appassionava a tal guisa anche la gente della terra e del popolo rischiando di dilagare, così, vennero istituite le prime regole le quali dovevano servire a disciplinarla ma che inevitabilmente includevano limiti e divieti che toccavano soprattutto la gente comune, la quale praticandola ancora come fonte di sostentamento, non apprezzò molto ed in alcuni casi, come in Francia, i contadini ed il popolo in generale, resi furiosi diedero un decisivo apporto alla Rivoluzione. Tra l’altro proprio perché il popolo ancora praticava la caccia come sostentamento per le famiglie, queste nuove regole portarono al dilagare del bracconaggio in nome di una nuova giustizia sociale e spesso si varcavano i confini delle riserve per cacciare lepri, pernici , fagiani, cervi ecc. ecc.

Comunque, più in generale, negli ultimi cinquemila anni che rappresentano tra l’altro il periodo storico della nostra specie, abbiamo visto un cambiamento della motivazione che spinge l’uomo a cacciare, infatti, dapprima considerata attività principale di sostentamento, pian piano è divenuta attività ludica e ricreativa e oggi forse solo il popolo Inuit dell’artico ancora pratica la caccia e la pesca per vivere, gli altri compresi noi, vanno a caccia perché spinti da una forte passione e da quell’istinto predatorio latente nel nostro DNA che in alcuni di noi (attuali cacciatori) preme in modo più violento rispetto agli altri (non cacciatori). Certo, molte cose sono cambiate, abbiamo mezzi più moderni per arrivare nelle zone di caccia, attrezzi più precisi ed efficaci per predare la selvaggina, ausiliari selezionati per tutte le forme di caccia, ed alcuni (non cacciatori) la definiscono sport.

Ammesso che lo sia (per me non lo è), sicuramente è il primo sport in ordine cronologico esercitato dall’uomo, e, oltre a stimolare come succede negli altri sport l’attività fisica e morale, è la sola che riesce a ricondurci nella più completa immedesimazione con la natura facendoci recuperare la nostra animalità, e, come disse Lorenz Konrad “Il recupero della nostra animalità è il solo mezzo che ci resta per ritornare finalmente umani”.

E qui prendo spunto da Giorgio Gramignani che considero un faro nella caccia cacciata e nella recente letteratura venatoria :

“Il vero cacciatore è, infatti, un’entità biologica perfettamente inserita nel gioco della biosfera animale di cui esso è un elemento attivo che vive ed opera in quel tessuto, dove la caccia è una legge ed una concezione di vita che gli offre tra l’altro, quella pacata e serena filosofia che soli intendono quanti sappiano vivere nella semplicità schietta e sana dei ritmi della natura. La caccia pertanto, considerata quale diporto (e non sport) ha aspetti e valori che gli altri diporti non possono offrire, eccettuata la pesca e pochi altri diporti che ci permettono di vivere, almeno in parte, in prima persona la natura quale l’alpinismo, l’escursionismo , l’attività velistica specie se intesa come completamento della pesca e pochissimi altri tra cui la raccolta dei funghi che, quando è esercitata con continuo, passionale impegno culturale e fisico, ha tutti gli elementi per costituire un appassionante “de-vertemento” che ci porta a vivere intensamente nella natura”.

Oggi l’attività venatoria, è forse solo un fatto simbolico, ma ha conservato un’enorme valore che ci conferma la nostra appartenenza alla civiltà della natura e la continuità della nostra adesione ai suoi valori ed alle sue leggi biologiche, e quindi umane, tra cui la caccia è forse l’anello più efficace ed idoneo ad ancorarci tutt’ora alla filosofia del mondo animale. Purtroppo però l’evoluzione ed il passaggio tra caccia per sopravvivenza e caccia per passione ha fatto nascere anche la competizione, e, basta accendere il pc e entrare in un social network e ti accorgi subito che c’è una vera e propria corsa a chi mostra di più , non conta come, basta mostrare più prede e l’autore è il top………beh ragazzi proprio non ci siamo, la realtà è distante da questo mero esibizionismo e ricordiamoci sempre che :

“Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più, ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più bravo è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate………..magari in solitaria e nel più alto rispetto di chi e di cosa ci circonda.

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4 Comments

  1. Silvio Spanò

    Bravo David, hai detto buone cose e terminato meglio ancora….evidentemente invecchi (maturi?) anche tu, stai percorrendo lo stesso iter che oggi mi fa ragionare con maggior ponderazione.
    Certo il coro dei social network non mi dà molto da sperare…è uno strumento, ma se maneggiato male (come il gps) diventa dannosissimo!

  2. David

    Grazie Silvio, oltre all’età credo che se c’è stata una maturazione nel mio pensiero sia soprattutto grazie alla fortuna che ho avuto nel poter frequentare ed apprezzare i consigli che persone come te mi hanno dato……..con la solita stima ed amicizia ciao David

  3. sapnudin

    La tesi dell”autore è che l”uomo non è figlio di Dio, ma è solo un animale che appartiene alla natura tanto quanto gli altri; proprio in virtù di questo, non dovrebbe essere innalzato né a padrone della Terra, status datogli dall”antropocentrismo religioso, né a divinità benevola, status datogli inconsapevolmente dal veganismo, che non riesce ad accettare del tutto l”animalità dell”uomo, trattandolo come se dovesse essere l”angelo custode degli animali, piuttosto che egli stesso un animale con il diritto di fare una delle cose più naturali del mondo: mangiare altri animali.

  4. Oliviero

    Non sempre i social sono dannosi anzi, una volta educati all’uso è tutto un vantaggio come peraltro ritengo vantaggioso l’utilizzo dei nuovi strumenti di rilevazione GPS che ci consentono di approcciarci al selvatico con una maggior tranquillità pensata. La passione che ci anima deve indurci a controllare la nostra atavica “fame” per meglio interpretare in chiave moderna la ripartizione degli abbattimenti. Ciò non toglie che la vera tutela del patrimonio faunistico, la si esercita attraverso un oculato censimento del patrimonio e piani di abbattimento seri. Come in tutte le cose se si rispettano le regole, si è a metà strada tra l’utile e il dilettevole. Oggi l’uso sconsiderato dei network , pone i seguaci di Diana ingiustamente nelle fauci dei seguaci della Brambilla.

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