Stralci dal Libro “Io i miei cani” di Silvio Spanò (2009)

Ali’ e Drick

Nel corso dello scrivere ho cercato di inserire tutti i miei cani, sottofondo vivo di un’esistenza (la mia), ma ovviamente non ho dato a tutti lo stesso spazio e, diciamo semplicemente, la stessa importanza. Ci sono cani e cani, nella vita di ogni cacciatore.  Ma alcuni di essi rappresentano il filo conduttore, il viscerale legame con tutte le altre cose da ricordare, il metronomo dei nostri giorni. Altri solo brevi ricordi, fine a se stessi.

Pertanto nell’esistenza di un cacciatore possono esistere immagini indelebili di meno di dieci cani, che si “tengono per mano”, nell’arco di tempi che, normalmente, ricadono nel decennio che si ripete. Ognuno di essi si porta addosso un carico di ricordi notevolissimo, e noi riusciamo a riprenderne il filo e abbracciare così il grande tutto che lì converge. Si sovrappongono le immagini giocose ed esuberanti delle nuove leve, il piacere dello spiarne i progressi, a quelle  tristi e deprimenti dei vecchi cani amici , quasi parenti ormai, sulla via del tramonto, la cui evidente decadenza fisica è lacerante nel ricordo degli splendidi momenti della loro maturità: conflitto atroce della figura del cane “pet-terapeuta” a fronte di un  “memento” dell’inesorabile disfacimento.

Per questo sarà oltremodo difficile dipanare esaurientemente questa matassa bollente, anche se apparentemente morta, ma il solo cercare di farlo, di ripercorrere momenti, luoghi e persone, è senza dubbio fonte di grandi, nostalgiche soddisfazioni.

Come si vede sono sempre rimasto negli “inglesi”, un po’ per caso, per inerzia e un po’per scelta.

Cani fermatori per eccellenza (un cane da ferma che non fermi è come un’automobile che non si automuova!) e, possibilmente in grado di recuperare e riportare il selvatico abbattuto (solo due dei miei ausiliari non lo hanno mai voluto fare, Maggie pointer e Ala setter inglese…irregolarmente Dafne setter irlandese).

Quando si comincia con una razza è fatale che si prosegua con quella. L’inizio con i pointer coincideva anche con un momento della loro auge; il passaggio al setter inglese, a parte la casualità del “regalo inaspettato e non rifiutabile”, è stato anche legato alla fortuna di incappare subito in un soggetto eccellente, oltre al fascino inequivocabile del movimento, della presa di punto  e della guidata di questa razza. “Mi è passata davanti che sembrava un leopardo” così descrisse Brina l’amico cacciatore africanista e collega universitario, Gianni Isetti.

Dafne-a-Vormsi

Il successivo scivolamento nell’irlandese, nuovamente casuale e decisamente non voluto, presenta dei punti discutibili ma interessanti. Lo regalò a Marco una compagna d’università; lo sconsigliai vivamente (viveva a Parma in due stanze!) e negai che potesse interessarmi. Come era prevedibile, fu trasferita rapidamente “sulla mia schiena” e mi incuriosì la sua inusuale malleabilità e la sua superba espressione in filata ed in ferma. Così divenne un cane da caccia aggiuntivo e, ad un certo punto esclusivo, in seguito alla malattia e poi all’improvvisa perdita dell’inglese ancora utile (Nina). Non sono in grado di dare un giudizio, tranne l’apprezzamento di passeggiate rilassanti con un cane “in mano” come mai ne ho avuto! Certamente con una minore presa di terreno e quindi minor numero di incontri, ma quei pochi quasi sempre sfruttabili dal fucile.

In realtà ho per lo più  avuto cani a cerca ampia, che battevano la collina, mentre io li seguivo comodamente e distanza, pronto a servirli all’occorrenza; ovviamente il metodo presupponeva un collegamento ad hoc e soprattutto attendermi in ferma fino al mio arrivo, per tanto che potessi tardare, ben sapendo che l’avrei cercati, trovati e serviti!

Oggi vagheggio un ritorno al pointer “il mio pointer ideale/fermo sulla Tua orma/ diventa un mito”, come ebbi a scrivere quaranta anni fa per mio epitaffio, poi sospeso ed ora, con l’età, assai più realistico! Tuttavia per ora l’idea “pointer” è solo sostenuta dalla constatazione pratica dell’enormità di semi di essenze spontanee “zoocore” (che affidano la loro dispersione ad animali), presenti a fine estate negli incolti, teatro di caccia, che si aggrovigliano ai lunghi e morbidi peli dei setter, con un conseguente insopportabile fastidio al cane ed una penosa e faticosa pettinatura giornaliera da parte del padrone. Ciò mi ha sempre fatto vagheggiare anche il kurzhaar, ma la sua espressione “tipo dobermann”, mi ha sempre  sconsigliato di proseguire su questa strada. Forse il griffone korthals potrebbe essere un cane interessante, ma ci vorrebbe una altro tipo di cacciatore, meno pigro di me!

Comunque i miei cani abitano rigorosamente in casa con me (nella buona stagione stando sulla porta del giardino metà fuori e col posteriore, per sicurezza, dentro!)  naturalmente con le loro cucce ed evitando eccessi di intimità….igienicamente deprecabili……anche se non riesco a vincere il vizio di vedermeli accucciati in giro alla tavola mentre mangiamo, nonostante i mugugni di Cristina che tuttavia, da parte sua, non ha mai evitato (anzi, direi ha incoraggiato) Nina a chiederle un boccone di frutta (sì, di frutta, aranci compresi). D’altra parte, proprio dal lato igienico, il passare la notte in casa diminuisce di molto rischi di contattare zanzare e pappataci, vettori di temibili parassitosi, come la filariosi e la leishmaniosi, attualmente in grande diffusione. Anche qui c’è un rovescio della medaglia, come il caso di Cinzia che non partorì avendole inibito la possibilità di farlo “sotto” il nostro letto che aveva scelto, evidentemente, per tana-nido. Si dovette ricorrere al cesareo. Dosi di ossitocina “da tigre” non le causavano la minima contrazione. Certamente un gosso imprinting “da uomo”, pur utilissimo nel legame venatorio, può comportare squilibri comportamentali, anche nel riconoscimento del partner giusto. Una volta si doveva stare attenti che una cagna in calore non venisse coperta “al volo” dal primo maschio indesiderato, ora occorre ricorrere a complessi aiuti manuali se non all’inseminazione artificiale. A mio avviso siamo di fronte ad un decadente andazzo contro natura che dovrebbe esser eliminato dalla selezione e che, invece, sta allargandosi a macchia d’olio per non perdere stalloni “di grido”, sottovalutando invece, a mio avviso, l’esigenza  della capacità di svolgere spontaneamente una primaria esigenza vitale, quella cioè di perpetuare la specie.

La morte di ogni cane è uno strappo dolente, un vuoto incolmabile che si apre e nel quale ti specchi di tempo in tempo cercando di ritrovarci qualcosa nel fondo.

Per alcuni ciò è stimolo di celebrare il proprio ausiliare con parole, prosa o poesia che sia, che galleggiano sulla dolce malinconia che straripa quando qualcosa ce li ricorda: un luogo, una fotografia, un momento, un pensiero…..

Buia.

Buia

Riporto due bellissime azioni combinate (tra Buia e me) a beccacce .

 -La prima a Mongiardino (Appennino Ligure-piemontese) il 31 ottobre 1979, una tersa giornata di sole in cui Talino non poteva venire perché invitato in riserva.

Decisi per la Castagnola, una tappa isolata, classica: una conca, o coppa, con la base a prato pascolato costellato da macchioni di rovi, e intorno il bosco che si inerpica sul monte e, dall’altra parte, svalla.

 Quasi subito Buia fermò – mi pare di vederla- e partì una beccaccia facile che incarnierai. Dopo meno di 3 minuti eccola di nuovo ferma. Pensai all’orma vecchia…ma non rilassai l’attenzione. Partì una seconda beccaccia a poche decine di metri dalla precedente che fece la stessa fine. Una sorta di doppietto dilazionato, ma perfetto!…

Lì in giro, quel giorno, c’erano altre 7 beccacce, che trovarono Talino e Gian.

-La seconda in zona collinare di Gavi, lungo il Lemme, il 26 novembre 1983.

Buia fermò nelle robinie di un boschetto golenale, partì la beccaccia che incarnierai. Ma Buia, dopo pochi passi, fermò di nuovo. Forse di sospetto sulla vecchia traccia, pensai, ma restai attento (sempre credere ai cani…il naso ce l’hanno loro!); partì altra beccaccia (che ritenni fosse la stessa, rispresasi) che comunque “incendiai”…invece erano proprio due…non ancora una vera coppiola…ma quasi.

Credevo che fosse un regalo in cambio della mia prevista operazione di appendicite (inverno 1983/84) in effetti forse è stato, molto più tristemente, un omaggio per la prossima morte di Buia!

Morì malamente nel 1984 per un’infezione all’utero non tempestivamente diagnosticata, un po’ anche per colpa mia che, avendole somministrato antibiotici, ne avevo coperto la sintomatologia.

Cinzia-riporta-gallo

Cinzia

– Un pomeriggio a Peirafica (Alpi Marittime) la trovai ferma nella parte alta del primo dei canaloni di ontano verde, dove si allarga a conca tra i rododendri radi e i larici. Era sopra di me, ci guardavamo attenti…capivo che aveva il selvatico distante, sotto di me. E cominciai lentamente, passo dopo passo, a scendere, ogni tanto voltandomi per sincerarmi cosa stesse facendo. Cinzia mi guardava interessata, alzando un po’ la testa, ma sempre immobile. Qualche altro passo e, dieci metri sotto di me, frullò un gallo dritto in discesa, che fermai di prima.

Sulla botta alzai la testa e vidi in aria un uccello strano, che sembrava una femmina, ma piccola e anomala eppoi, di profilo, aveva …un becco!!! Ecco Lei era tornata tra noi, la prima dell’anno. La cercai a lungo, ma venne notte. Trovai solo alcune femmine di gallo.

La mattina seguente, bella giornata (14 ottobre 1990) tornai verso le sette ovviamente a cercare la beccaccia. Presi la traversa da sotto e risalii quel canalone.  Cinzia avverti in fondo e, sempre sentendo decisa, cominciò a risalire. Io la bordeggiavo sul lato sinistro, più aperto e con miglior visuale. Circa a metà mi partì, da sola, la beccaccia. Cadde a pochi metri, ma lì per lì non la riuscii a vedere nonostante il pulito, con solo qualche macchia di rododendro. Impossibile. Ma Cinzia, intanto, aveva continuato a salire facendo buono. Non la vedevo più essendo entrata nel fitto dei larici giovani, poco al di sopra della conca dove la sera prima era rimasta ferma.

Buttai il cappello nel punto di probabile caduta della beccaccia e ripresi la salita regolandomi sul suono del campano di Cinzia. Il sole, ormai alto, tagliava netta la cima della conca e i larici rossi  brillavano contro il cielo cobalto. Uno svolattone …ed ecco apparire sulle cime dei larici un gallo nero che faceva ala verso sinistra. Lo fermai senza discussioni.

Cinzia riportò felice e io scattai molte belle foto.

E la beccaccia?

Tornai sul punto. Cinzia era troppo concentrata sui galli, che “aveva nel naso”: da quasi un anno non incontrava una beccaccia.

Trovai il cappello e guardai tutt’attorno. In breve la beccaccia era perfettamente infilata al centro di un fitto cespo di rododendro, completamente fagocitata dal verde.  A pochi metri, in una piazzola presso un cespo di ontani, scorsi la “fatta”. Chiamai Cinzia che ancora non si era accorta di nulla e le indicai il bianco “specchio” (i francesi lo chiamano miroir, specchio appunto) della regale cagata. Lei annusò e…cominciò a tremare leggermente, ma a tremare. Ecco, il contatto s’era verificato, la luce riaccesa e la beccaccia tornata a premere sul nostro sistema nervoso.

Comunque una giornata con i controfiocchi. Alle 8 avere già gallo e beccaccia in carniere e in quella cornice.

Salito sulla strada militare ci trovai Michel….”Hai un bel culo”, mi disse!

Nina-e-Ala-di-Spanò

Ala e Nina

-Credo fosse un giorno di novembre, di un anno che a beccacce mi andò molto bene (forse il 2001…perché non ho più tenuto un diario dettagliato?). Certamente ero a Carpeneto, nell’alta valle del Mardelloro (o Merdarolo, secondo le carte topografiche…nome forse più adatto alle abitudini alimentari della beccaccia) con Ala e Nina. Mi pare fosse l’anno in cui Nina s’era messa ad andare proprio benino. In breve, mentre ero in un piccolissimo slargo nell’acaceto e le cagne battevano la collina allargandosi molto verso l’alto, vidi una beccaccia che sfalcava verso valle, molto in quota tuttavia, evidentemente con l’intento di “rubarsi” alle cagne. Giunta quasi sulla mia verticale cominciò a fare giri, piuttosto stretti (di una decina di metri di diametro), a scendere, come se percorresse le pareti di un cilindro per almeno 5 o 6 volte, finchè scomparve dalla via vista, ma ormai molto vicina a terra, sul margine del bosco verso l’arbusteto adiacente. Aspettai in silenzio che arrivassero i cani che si bloccarono in ferma e consenso esemplari, puntando dall’interno del bosco verso la parte più aperta. A quel punto decisi di cercare di portarmi il più “fuori” possibile passando in una strettoia fra cespugli di prugnolo, rosa canina e qualche rovo! Quella volta andò bene a me, fui fuori e ben piazzato con l’epilogo di una normale fucilata e di un bel riporto di Nina.

-Era l’ultima giornata di caccia, nel dicembre 2002, una delle pochissime annate della mia vita in cui non ho preso nemmeno una beccaccia. Come d’abitudine l’ultimo giorno della stagione venatoria non portai il fucile perché ritengo orribile uccidere un animale che, per poche ore, avrebbe avuto davanti tutto l’anno a venire. Eravamo sul mezzogiorno di una bella giornata di sole che addolciva il gelo, e stavo avanzando nella valletta sotto la Caserma dei Carabinieri, tra “Cadun” e il “boschetto di Curò”; i cani Ala e Nina battevano alla grande la vigna abbandonata , ormai ampiamente arbustata, verso Cadun, quando dalla vigna stessa partì la beccaccia, si abbassò planando nella conca a pioppeto, eseguì un’ampia curva e puntò dritta su di me, passando ad una ventina di metri all’altezza del mio naso, riprese la curva e ripetè il giro. Fece questo tre volte, infine si posò nell’erba, verde scintillante di rugiada al sole, ad una quindicina di metri, osservandomi compunta. Io immobile godevo tutto il godibile. Ma le cagnine la “caricarono” e lei, leggera come era venuta, tornò nel fitto della collina

Maya

Aggiungo questo pezzo su una delle prime beccacce di Maya, questa

Maya-

setterina nata sorda, nel 2009, che per me è stata una sfida (vinta) e con la quale ormai caccio benissimo da quasi 9 anni.   Ne ho scritto a più riprese sia sul Giornale della Beccaccia di Bonasegale(entrando nei particolari e ricevendo da Bonasegale stesso un bell’epiteto per Maya: un amore sordo!) sia su Beccacce che passione. Questo è un estratto dal  Diario di Maya, che ormai tengo regolarmente e sono a pag.215, e che idealmente continua la tematica del libro “Io e i miei cani).

Fatto sta che dopo pranzato da Paolo, sfrattato dal posto occupato da detta squadra, decido di andare sotto la Cannona, cominciando però dal boschetto in faccia alla cascina di Masciullu, che al solito esplode di cani e cagnetti cazzosissimi. Facendo finta di niente arrivo nel boschetto e sento e trovo immediatamente Maya ferma, schiacciata sul posteriore in ottima espressione setter e testa alta. Mi piazzo e la beccaccia frulla dritta come una quaglia, tendendo appena a salire la spalla di bosco. Va via indenne, solo sul colmo del colle si inciampa in alcuni ramuscoli, perde un metro di quota, ma riprende volo e scompare. Sono allibito! E costernato. Mi sono “mangiato” la prima beccaccia fermata e tenuta come si deve dalla mia “sorda”!

Comincia la solita estenuante ricerca del frutto nascosto non sai dove, perché di là della cresta è pulito e la possibilità è tutta la spalla in faccia nella Val Chira (Scura) fin sotto alla Chiesa e sotto l’Era. …a meno che avesse un pallino e fosse caduta prima.

Seguo un ipotetico tragitto verso la conca a cima valle e poi prendo a scendere verso Amburin, bordeggiando la spalla boschiva ripida (altre volte in passato ve ne avevo trovato).

A metà strada manca il campano; molto agitato salgo la spondina in tempo per affacciami allo spettacolo eccitante di Maya ferma in stile, come la volta precedente. Dafne è altrove e lei è schiacciata esattamente dove il pianoro termina netto contro “il muro” di erbacce in salita verso la parte boschiva. Sono ben piazzato. Arriva a metà costa Dafne e le faccio segno di guardare giù, lei vede, consente e piano avvicina, praticamente calando in verticale sulla presunta beccaccia che…parte e sfonda sulla destra.Tiro non difficile, ma a rischio di scarsettarla mentre chiude il tragitto dietro alcuni cespugli. Mi sembra cada e vedo penne. Le cagne vanno, fanno bordello per accaparrarsi la preda, vince, giustamente, Maya che se ne va con la beccaccia in bocca, posandola ogni tanto, dando l’impressione di volersela mangiare! Mi precipito: intanto per assicurarmi che non volasse via e poi perché non la nascondesse chissà dove. In pratica se l’è goduta un po’ e infine la riesco a prendere in mano…dopo un anno di parole, scritti, speranze, timori…sono un po’ agitato. E’un maschio giovane di 340 g. Maya è alle stelle, la vorrebbe sempre, mi annusa la carniera…come dire “è mia!”.

Brina-la-grande-1972