CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

UN MAESTRO di Silvio Spanò

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Ricordi di un pittoresco personaggio della Genova degli anni ’60, cacciatore cinofilo e beccacciaio  che fu “maestro” di Silvio Spanò.

Tutti noi abbiamo avuto un amico che, in qualche modo ci ha insegnato qualcosa e che pertanto per quella determinata cosa è doveroso chiamare maestro. Nella caccia e nella cinofilia i nostri “maestri” possono esser stati diversi e anche in contrasto tra loro a seconda dei momenti, delle nostre stesse tendenze ed esigenze. Un maestro non plus ultra per qualcuno, può sembrare inaccettabile ad altri.

Ho detto nella caccia e nella cinofilia perché anche qui c’è chi ci ha iniziato ad un certo tipo di caccia (le prime sovente sono state al capanno) e poi chi ci ha allargato gli orizzonti al punto a volte da dimenticare i primi rudimenti e le prime passioni. Ad esempio io sono figlio di cacciatore, che – come molti liguri nella prima metà del ‘900 – si dedicava all’uccellame di passo e che solo in seguito divenne codaiolo con l’acquisto nel 1950 di un Pointer, regalo che fu fatto a me con la scusa del superamento della terza media, ma che in pratica papà sentiva il dovere di portare lui, accoppiando l’occasione dell’aver rilevato una quota, insieme a suo fratello, in una riserva nel Parmense, per aver ulteriore e ludico motivo di andare a trovare la sorella Enrica che in quella città era sposata. Cacciammo insieme saltuariamente col cane, ma per poche stagioni perchè papà morì a soli 53 anni, nel 1959. Avemmo tuttavia il tempo di appassionarci fin d’allora alla beccaccia: presi la prima, casualmente, l’11 novembre 1956, e poche altre riuscimmo a incarnierare cacciando assieme.

Parallelamente carissimi amici cacciatori, di un decennio più anziani di me, mi furono tutti prodighi di utili insegnamenti, a dire il vero non sempre nel filone di una caccia particolarmente etica.

L’incontro con colui che ritengo il mio vero “maestro” lo ebbi nei primi anni ’60: l’avv. Nicolò Rebori, del quale quest’anno cade il quarantenario della morte.

Mi capitava sovente a Genova, passeggiando in circonvallazione a monte, di incontrare un Grande Vecchio con una caratteristica barba bianca lievemente discriminata (ma senza baffi!), sempre accompagnato dai suoi cani, senza guinzaglio, che regolarmente portava nel suo ufficio nel palazzo del Comune. Ricordo che le prime volte si trattava di una “sorta” di pointer bianca (finemente punteggiata di arancio) e in seguito di una pointer bianco-nera e di un maschio, evidentemente un incrocio, possente, a pelo forte, di colore fulvo.

Sempre passeggiando, io avevo l’abitudine di leggere.

Quel giorno del lontano 1961, avevo in mano “Il pointer” di Arkwright e incrociando il cinofilo con la barba bianca accennai un cenno di saluto. Fermandosi mi chiese in genovese: “Zuenotto, cose scia lese?” (giovanotto, cosa sta leggendo?). Vedendo il libro, positivamente meravigliato, sentenziò “Scia u deve lese comme a Divinna Commedia!”

Fu un colpo di fulmine: mi raccontò che lui ne aveva copia, purtroppo andata perduta, con dedica dell’Autore (il Padre del Pointer!) che era stata donata dallo stesso a suo cugino che aveva cacciato beccaccini con Arkwright nelle paludi di Terracina. Più o meno c’era scritto: “Io sono un purista e lo resto, però un cane come il suo in Inghilterra non esiste!” Alludeva al fatto che, come spesso a quei tempi, dai nostri cacciatori venivano preferiti bracchi-pointer di primo incrocio che, nel primo ‘900, avevano fatto anche pensare alla stabilizzazione di una razza nell’Appennino piacentino che probabilmente ci siamo lasciati sfuggire (la creazione del “bracco piacentino” appunto; pensiamo a quante razze di bracchi esistono tuttora in Francia!)(*). La questione risiede nella constatazione che i figli di due eccellenti soggetti, di razze diverse, in prima generazione spesso presentano una combinazione delle caratteristiche genetiche dei genitori, caratteristiche che, nelle successive, tornano a separarsi.

In effetti quella “sorta “ di pointer era uno di questi incroci e si trattava della famosa “Fly” al cui proposito, lapidariamente, il compare sardo dell’avvocato, Antioco Curtu, sentenziava:

“Dire quello che era, nessuno ci crederebbe; ma dirne di meno sarebbe offendere la memoria di un cane”.

E ciò doveva bastare.Fly, bracco-pointer dell'avv.Rebori

Effettivamente Fly, che io non conobbi in caccia, aveva delle qualità superlative, come ebbi modo si constatare sul posto nelle vive e nostalgiche descrizioni dell’avvocato: ”Fly era ferma qui, sul vento, e la beccaccia era molto oltre quella sughera laggiù” e mi indicava la posizione….

Fu così che, complice l’Arkwright, l’avvocato mi invitò ad andare con lui a beccacce in Sardegna, dove egli si era recato per la prima volta nel 1918 e dove, in seguito, si era fermato in un paese degli altopiani estesi nel nord-est dell’Isola. Mi ingiunse però di non dire ad alcuno dove saremmo andati suggerendomi di rispondere, ad eventuali insistenze, semplicemente con: “Chi mi ci ha portato mi ha proibito di rivelarlo a chicchessia!”…e così per lunghi anni feci… anche nel mio interesse! Avevo allora circa 25 anni ed ero come una spugna strizzata, pronta ad assorbire tutto.

In Sardegna eravamo ospiti in casa di Antioco ove stavamo giusto la sera: non c’era acqua corrente, senza gabinetto, senza telefono, senza riscaldamento; sotto Natale – era quello il momento della nostra calata – il camino faceva solo “aria corrente” ed i 9° C in cucina erano frequenti. Passavamo tutto il giorno in campagna dietro la scia della regina, cacciando come il Signore comanda: “Fermati!” diceva l’avvocato, battendo un piede a terra “Lascia girare i cani…vuoi alzarle tu con i piedi le beccacce?!?!”. A cane fermo accennava un flautato “Cane fermoooooo!” schermando la voce con la mano sulla bocca per non spaventare la beccaccia: diceva che così l’uccello non ne avrebbe localizzato la provenienza. Poi un cenno rapido della mano, per indicare di portarmi a cerchio molto avanti e, possibilmente, lungo uno degli infiniti muretti: la beccaccia facilmente arrivava lì di pedina, per partire e rubarsi bassa al di là.

E il pranzetto frugale, al sole di gennaio, con uovo fritto, formaggio abbrustolito su forchette di cisto preparate all’uopo di volta in volta e carta musica (il pane sardo) scaldata e resa croccante al fuoco di bosco. Non mancava mai una mela e il vino. Per i cani una scatoletta di Simmenthal spalmata su pane inzuppato ad una vicina fonte. Qualsiasi tipo di campano era impensabile! È incredibile la sensazione di infinito che ho sempre avuto in quella Terra … anche se è un’isola!Alà 63-64

I contatti con l’avvocato non si limitarono ovviamente alle gite invernali sarde, ma anche a ripetuti allenamenti estivi in una vasta zona di addestramento nell’entroterra di Genova (a Creto, ove nel 1892 si svolse la prima prova cinofila italiana su quaglie liberate!): ci si andava nel tardo pomeriggio a cercare le quaglie liberate da altri ed eventualmente rimaste (rigorosamente senza fucile, ma con macchina fotografica). L’avvocato usava una moto della Guzzi (il “Galletto”) con sidecar nel quale portava i cani! Era quasi una figura leggendaria, alto, ieratico e con idee chiare. A proposito di dressaggio l’avvocato mi ripeteva sempre: “Vogliamo noi insegnare come deve cacciare ad un cane da caccia? È nato ed in più anche selezionato per questo! Tutt’al più possiamo stare attenti a non inibire l’espressione di queste sue innate qualità. La base del rapporto cane/cacciatore è la collaborazione reciproca; il cane cerca, ma deve tenere il contatto e a questo tu devi collaborare: non fischiando ogni momento (lui sa dove tu sei e fa quello che vuole), ma aspettando con attenzione che lui ti cerchi; e in quel momento devi mostrare che l’hai visto (basta un cenno della mano o sventolare il fazzoletto). E poi, ovviamente, quando è fermo e fuori vista, devi cercarlo finché non lo trovi. Non devi mai dargli l’impressione che vuoi che lui torni ad ogni costo, lasciando tutto e facendo inevitabilmente volare fuori vista il selvatico. D’altra parte ricordiamoci che esistono due categorie di cani: quelli che vogliono veder volare l’animale e quelli che hanno paura che l’uccello voli via. Se ti trovi ad avere uno dei primi …lévatelo!”.

E per finire sul dressaggio, parlando di cani esuberanti e difficilmente collegati, sentenziava giustamente: “Stancali, Silvio, stancali. Quando avranno finito di andare con i piedi, andranno col naso e col cervello”. Comunque, terminava: “Un cane, per essere un mezzo cane, deve aver visto almeno 1000 capi”!

Per questo ho sempre marcato sul diario quanti capi hanno incontrato i miei cani, però anche solo avvicinarsi ai 1000 capi è dura! Ma ai suoi tempi si poteva andare a caccia tutti i giorni ed era più facile stancare il cane.

Come quel Pointer comprato da suo cugino in Inghilterra, abituato ad essere seguito a cavallo, che lo si vedeva da un versante all’altro delle nostre vallate appenniniche. Il cugino disse all’avvocato: “Nicolino, prenditelo, sennò lo ammazzo!”.

E l’avvocato lo portò allora a inizio autunno in Sardegna a pernici: dopo qualche giorno in quel terreno infernale e con quel caldo torrido, la mattina non voleva alzarsi dalla cuccia; ma l’avvocato lo tirava su di peso e lo portava in campagna. E quel cane fu recuperato …senza beeper o collari elettrici e neppure “fucilate nel culo”, allora un sistema in grande uso.

A questo proposito, ricordo un dresseur che alla mia richiesta di non usare il flobert cal. 9 per “toc-care” la mia setter Brina esclamò: “Professore, se toglie il martello (=fucile) al falegname (= dresseur) come fa a lavorare?” Però dopo molti anni quella cagna al solo sentire il trillo del fischietto, che precedeva la fucilata nel culo, si metteva dietro e non girava più: eppure aveva una passione smisurata e mezzi nella nota della grande cerca!

L’avvocato si rivolgeva spesso alla sua Diana (l’ultimo Pointer della sua vita) chiedendole provocatoriamente: “Quante fucilate nel culo ti ha tirato il tuo padrone per farti diventare così brava?”.

E a chi gli chiedeva un commento sul cane vincitore di una qualche prova a gabbiarole (erano di cattura!) cercava di non rispondere. Dopo insistenza, sbottava: “Il più grande illuso è quello che ha preso il primo premio! Ma cosa ha fermato…una pietra! Che vengano a beccacce in Sardegna, l’università della caccia.“

Un conduttore impermalito ebbe allora a rispondergli: “Io vado sempre in Sardegna”. E l’avvocato: “Impossibile! Perché, se ci fosse stato realmente, quei cagnoli sardi con la coda girata due volte all’insù sulla schiena, avrebbero fatto pernacchie a lei e al suo cane!”.

Questo glielo dovevo all’Avvocato e forse potrà comunque esser utile ricordare, di tanto in tanto, questi eterni concetti di una sana, antica cinofilia, troppo sovente dimenticati.

(*) Nota di Bonasegale: Mi permetto di correggere l’amico Spanò: Quello dei “Bracchi piacentini” fu il tentativo – purtroppo fallito – di recuperare i Bracchi Ranza, che nulla avevano a che vedere con i successivi incroci di bracco-pointer. In effetti alcuni discendenti dei Ranza – chiamati per l’appunto Bracchi piacentini – soggetti agili, leggeri ma al 100% puri Bracchi italiani, furono i benemeriti della moderna rinascita della razza.

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1 Comment

  1. Stefano Ricci

    Bella storia di chi ha vissuto in tempi dove valeva solo la passione senza tanti fronzoli attorno

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