Foto di Luci Scaramuzza

Dopo molti cani meticci e molte delusioni cominciai a pensare seriamente al modo per farmi un cane vero. Dico “vero” riferendomi ad un cane di razza. Ma i tempi non erano carichi di splendore ed io ero uno studentello liceale. Non potevo certo pretendere che la famiglia mi regalasse una cane che poteva costare tanti e tanti soldi. A quel tempo,parlo degli anni sessanta, un buon cane da caccia appena iniziato con certificato di origine a posto costava almeno centomila e anche più lirette. Lo stipendio di un impiegato si aggirava sulle quarantacinquemila lire al mese.

Coi miei amici si facevano molti sogni e molte elucubrazioni durante le poco fruttuose battute di caccia alle quaglie o alle beccacce.

Ricordo che una mattina di fine aprile eravamo a Marina di Strongoli per una battuta primaverile alle quaglie. Allora era ammessa la caccia vagante, fino alla prima domenica di maggio, entro il litorale e a non più di 3 chilometri dalla battigia.

Ci trovavamo in parecchie centinaia di persone in quelle bellissime pianure coltivate a grano, medica, granturco, barbabietole. C’era anche molto gerbido. La massima parte erano all’aspetto delle tortore che entravano dall’Africa; molti meno andavano in giro col cane a cercare quaglie.

Verso l’alba il canto delle stesse ci faceva sognare riempiendoci di gioia. I più vecchi rammentavano i tempi passati trascorsi a cacciare e sparare con buoni carnieri.

La giornata incipiente quindi ci dava speranze; si aspettava che la guazza evaporasse per lasciarei cani. Si trattava di ignobili mezzi sangue avuti in prestito da qualche amico compiacente; acquistati con poche lire da chi era soddisfatto di battere la campagna con questi soggetti che alzavano un capo di selvaggina, qualunque fosse. Non si andava per il sottile e la ferma era un orpello più fastidio che soddisfazione. Scappava una lepre? Era buona per il fucile e se volava una quaglia era lo stesso.

Le mattinate, con quei cani, si concludevano con delusioni cocenti, fucilate veloci su voli improvvisi da erbai alti in cui i cani erano invisibili e scariche spesso infruttuose verso animali fuori tiro.

L’amico Enzo Rizzuti e il mio padrino Peppino Majo, che erano i miei compagni più anziani ed esperti, raccontavano le gesta della breton di Pietrino Cavarretta, un cacciatore di Strongoli che metteva le reti per l’aucupio delle quaglie o dello spinone dell’avvocato Ciccio Gallo che lo aveva fatto arrivare da un allevamento del nord. Tutti avevamo il desiderio di avere un cane che ci levasse qualche soddisfazione, pari e forse superiore a quei celebrati soggetti.

Enzo, in un impeto di estrema liberalità, si spinse a dire: ” Se vinco al totocalcio sarò io a regalarvi il miglior setter che si trova in Italia”. Ridemmo poichè ci sembrava una smargiassata o un pio desiderio.

Passò qualche anno. Io ero in casa mia a Verzino, intento alle mie faccende, mi sentii chiamare. Erano i due amici che scendevano dalla rossa Alfa Romeo sprint veloce di Enzo. Mi parevano raggianti più che sorridenti e mi guardavano con fare misterioso e provocatorio. Dopo i saluti di rito Enzo mi disse: “Prendi un Diana e trova l’indirizzo del miglior allevamento setter. Ordina oggi stesso il soggetto più bravo che hanno”.

Capii che c’era qualcosa di nuovo e di straordinario in quella richiesta. Peppino aggiunse:” Ha vinto alla schedina ben cinquantaduemilioni, intende onorare la promessa fatta durante la battuta di caccia”.

Mi congratulai, partirono abbracci e allusioni al posteriore. Ci concentrammo subito sui cani ordinando due setter da due canili diversi.

Uno di questi fu assegnato alle mie cure e l’altro restò a loro Here del Feltrino, detto Gyp, genealogia Brick del Rovere, già campione di coppa Europa. Si trattava di un cucciolone di 10 mesi che era stato iniziato ma che non conosceva ancora selvaggina vera. Mi fece durare molta fatica per ridurlo alla ..ragione. Correva come un dannato, ma ciò mi stava bene; però trovava gli animali e li involava disconoscendo di essere un cane da ferma. Molti amici mi dissero che non avrebbe mai fermato; qualcuno insistette a dire di restituirlo al venditore. Gli telefonai ma quel grande allevatore, di cui poi diventai amico, mi incoraggiò a proseguire con l’addestramento dicendomi che cani così sono molto meglio dei cani fiacchi che appena li sciogli attaccano a fermare e poi dopo due ore di caccia esauriscono la propria passione.

Passai tutta l’estate in montagna, nella Sila verde e misteriosa e nelle marine di Strongoli e Crotone, a scorazzare con quel benedetto cane fra i campi strabboccanti di quaglie. Sfrulli, inseguimenti, urla e imprecazioni da parte mia, però mai un colpo di frusta o una tirata d’orecchie. Legare e cambiare direzione, sciogliere e aspettare il prossimo sfrullo. Durò così quasi fino ai primi d’agosto. Una sera alfine lo vidi cambiare andatura, inquadrare la cerca disordinata in belle diagonali a favore di vento e andare in ferma a distanza di cinquanta metri. Mi sentii il cuore in gola, accorsi mettendomi a lato del cane, lo accarezzai e lo guardai negli occhi che sprizzavano fiamme. Dopo una breve accostata volarono due quaglie; mi meravigliai nel vedere che non le rincorreva ma guardò con estremo interesse dove andavano a posarsi. Lo legai e cambiai campo, andò ancora in ferma con straordinaria facilità d’incontro. Il cane era fatto.

Cosa c’entra tutto questo discorso sulle quaglie in un Blog che tratta di beccacce? Secondo me c’entra molto. Primo perché fa capire che i cani vanno fatti maturare, i cacciatori frettolosi spesso hanno rinunciato ad un gran cane o lo hanno rovinato cercando di correggerlo con la forza. Secondo perché non importa come s’inizia il cane ma importa che nel cane si crei la passione della caccia. In seguito imparerà a cacciare anche altri selvatici. Dipende poi dai suoi mezzi e dalla sua volontà la specializzazione.

Quel grande cane diventò il mio maestro di caccia alla beccaccia. Proprio così, una grande cane insegna la caccia al cacciatore.

Non gli mancava nulla: ferma, consenso spontaneo, recupero e riporto. Fra l’altro aveva un fisico armonico e quindi era un grande atleta. Molte furono le giornate che trascorremmo a battere i monti, dalle sette fino alla tre del pomeriggio. Non l’ho mai visto trottare..sempre col suo galopppo da caccia continuo ed essenziale. Mi fece felice per almeno dieci anni e cacciò con me e per me in molte plaghe: in Calabria, in Toscana e in Umbria. Oltre che sulle beccacce fu grande anche sulle starne che cacciai sulle colline umbre con il mio conoscente Donato Reggiani che ora è giudice Enci.

Quanto detto riguarda il primo anno di caccia. A novembre il cane venne battezzato anche sulle beccacce. Nel frattempo io avevo avuto il mio primo pointer di razza pura con tanto di certificato Enci. Entrambi, per quel poco tempo che ci cacciai in coppia, furono il massimo del godimento estetico e del rendimento al carniere. La pointer aveva più naso e stile, il setter più esperienza e più cattiveria nei pruni e nei rovi. Entrambi riportavano da dio. Cosa volere di più? Dovendomi trasferire, per motivi di lavoro, fui costretto a vendere la Pointer al Preside Arcuri di Crotone che me ne fu immensamente grato.