Emma flessa

Come enunciato dal titolo del Convegno, il tema riguarda la preparazione venatoria non di una qualunque razza da ferma, ma dello Spinone. Quindi per prima cosa dobbiamo capire chi è lo Spinone. Ovviamente non mi riferisco alla sua morfologia (che fra l’altro è stata illustrata tanto efficacemente poco fa proprio su questo palco dai giudici del Raduno) e neppure alle caratteristiche previste dallo standard di lavoro che – se siete appassionati di questa razza – certamente conoscete come e meglio di me. Mi riferisco invece al carattere dello Spinone che bisogna capire e correttamente interpretare. E qui è necessario fare una piccola parentesi. La capacità di apprendimento del cane si basa sulle esperienze che riesce ad accumulare che gli fanno associare determinati comportamenti alle relative conseguenze; in pratica cioè se comportandosi in un certo modo ottiene un premio…. oppure un rimprovero.

Tanto più facilmente registra l’associazione far la causa e l’effetto, tanto più il cane è intelligente. La capacità di accettare punizioni dipende dalla “tempra” del cane che il più delle volte però non convive con un alto livello di intelligenza. In altre parole più il cane è intelligente e meno sopporta le punizioni. Ovviamente queste caratteristiche sono per lo più individuali, ma in una certa misura sono anche generalizzabili per razza: ci sono razze dotate di un alto livello di tempra (cioè di sopportazione) ed altre che per la elevata intelligenza tendono a rifiutare ogni forma di punizione. Lo Spinone fa parte di questo secondo gruppo e va addestrato con dolcezza, non con la punizione. In pratica dovete dolcemente stimolare in lui il desiderato comportamento ed immediatamente premiarlo. Ricordatevelo sempre: lo Spinone non è un soldatino, ma un bimbo dolce e sensibile! (ed il suo sguardo ve lo conferma).

Emma di Mirco Peli

L’altra caratteristica particolare dello Spinone (che condivide con il Bracco italiano) è l’andatura cioè il trotto: ed un volta ancora bisogna aprire un’altra parentesi. Vi è una errata definizione che distingue le razze trottatrici rispetto a quelle galoppatrici. Ed è una differenziazione che può indurre una visione sbagliata…. perché tutti i quadrupedi sono trottatori … così come tutti i quadrupedi sono galoppatori; il trotto cioè è l’andatura di velocità intermedia fra

il passo ed il galoppo che tutti i quadrupedi adottano per risparmiare le loro energie durante lunghe percorrenze. Il trotto così inteso è stato definito “trotto di trasferimento”. Poi però esiste un altro tipo di trotto, tipico dello Spinone e del Bracco italiano, che Bonasegale ha chiamato il “trotto spinto”, molto più veloce del trotto di trasferimento, proprio in virtù della potente spinta del posteriore che crea un’evidente fase di sospensione dei quattro arti; la foto della pagina seguente illustra chiaramente cosa voglio dire, perché vedete che la spinta provoca una fase in cui le zampe non toccano terra; in pratica la velocità così prodotta è paragonabile a quella del galoppo, con però dei notevoli vantaggi, sia in termini resistenza, sia come funzionalità della cerca. Per produrre la velocità, il cane galoppatore deve spostare in avanti il peso del corpo, e per far ciò deve necessariamente allungare in avanti la testa con un continuo moto oscillatorio verticale, cioè dall’alto verso il basso e viceversa.

Emma di fronte

Invece nel “trotto spinto” il cane mantiene sempre alta la testa (perché la velocità è dovuta unicamente alla spinta del posteriore) che mentre trotta può roteare a destra ed a sinistra per captare più efficacemente le particelle odorose sospese nell’aria. Quindi il trotto spinto è:  – veloce,  – resistente,  – particolarmente funzionale a captare le emanazioni  – ed esteticamente entusiasmante!. Capire se il galoppo di un Epagneul Breton o di un Pointer è tipico richiede una conoscenza che solo chi è dotato di una particolare preparazione tecnica può avere. Invece la bellezza e la funzionalità del trotto spinto la vede chiunque. E quando lo vedete, ve ne innamorate. Ripeto che il trotto spinto è una caratteristica peculiare dello Spinone e del Bracco italiano, cioè una dote ereditaria che non può essere creata con l’addestramento. Però va esercitata così da abituare lo Spinone ad esprimere con questa andatura tutta la sua esuberanza e la sua voglia d’andare. E per questo va utilizzata la braga.

 Cos’è la braga? È lo strumento grazie al quale il giovane Spinone si rende conto di poter dar sfogo alla sua grande passione col suo trotto spinto naturale, senza doversi scomporre in un galoppo sfrenato. Quindi fin dalle prime uscite in campagna, quando lo Spinone di cinque o sei mesi verrà messo a contatto con la selvaggina, sarà necessario fargli prendere dimestichezza con la braga. La foto qui sotto vi mostra la braga indossata da un Bracco italiano, che doveva diventare un famoso Campione di Lavoro, Dumà del Boscaccio, dell’amico Bonasegale che io ho avuto il piacere di condurre in una strepitosa carriera di prove di lavoro. Però far indossare la braga ad un soggetto che non sia dotato di naturale “trotto spinto” è solo una perdita di tempo, perché quando gliela toglierete, quel cane riprenderà a galoppare. Per contro la braga non è assolutamente uno strumento coercitivo e non crea disagio alcuno allo Spinone dotato di trotto spinto; è solo un mezzo con cui impara ad esprimere tutta la sua esuberante passione nella bellissima andatura che è stata creata nelle razze da ferma italiane mediante sapiente selezione. Con ciò non si esclude la possibilità che lo Spinone possa occasionalmente galoppare (per esempio allorché passa da un terreno ad un altro o rientra per collegarsi al suo conduttore); ma quando è impegnato e concentrato nell’usare il naso, l’andatura dello Spinone tipico è e deve essere il trotto spinto.

 Fatte salve queste fondamentali differenze dello Spinone rispetto alle altre razze Continentali, i criteri fondamentali della preparazione venatoria non si scostano da quelli che vengono adottati per le altre razze e che comunque è opportuno illustrare brevemente.

Emma da dietro

Un’osservazione importante riguarda l’attitudine alla ferma.

La più frequente preoccupazione di chi vuole addestrare un giovane cane da ferma è … se ferma! Ed è una preoccupazione del tutto fuori luogo, perché se quel cane è figlio di padre e madre fermatori, siate sicuri che anche lui fermerà. La sua potenza olfattiva può essere maggiore o minore e può dipendere da come il cane impara ad usare proficuamente il naso. Ma la ferma è un meccanismo di genetica che non sbaglia mai!. E se a volte così non è, il motivo va ricercato in qualche cattiva abitudine che il cane ha acquisito, quasi sempre a causa di errori commessi da inesperti preparatori. Se magari per controllare l’attitudine alla ferma viene utilizzato un selvatico con scarse attitudini al volo, il giovane allievo che avverte olfattivamente la selvaggina prenderà il vizio di soddisfare il suo istinto predatorio cercando di abboccarla anziché fermarla. Ma ripeto: se un cane da ferma non ferma, è sempre colpa delle cattive abitudini che gli abbiamo fatto prendere. Come dire che la colpa non è sua … ma nostra. Chiarito quindi che la ferma non è mai un problema in sé, è importante stabilire quale deve essere il nostro intervento dopo la ferma. Il premio al giovane allievo per una ferma correttamente eseguita deve essere l’abbattimento del capo fermato (e se ciò non è possibile, si deve simulare l’abbattimento utilizzando un capo di selvaggina morta che l’addestratore tiene appositamente nel carniere e che fa abboccare al giovane allievo come se fosse quello che lui ha fermato). L’importante però è di non sparare alla selvaggina che il giovane ausiliare non ha fermato! A complicare sensibilmente la fase dell’addestramento successiva alla ferma c’è però la necessità di contrastare fin dai primi approcci l’impulso di inseguire e di ottenere cioè la correttezza al frullo. Ed anche in questo caso è necessario un approfondimento. L’inseguimento della selvaggina è l’esatto contrario della ferma e come tale deve essere sistematicamente contrastato. Se ciò non avviene, c’è il pericolo che il cane prenda il vizio di “caricare” il selvatico che ha fermato, senza attendere l’intervento del cacciatore. Quindi l’inseguimento al frullo è controproducente non tanto perché il cane potrebbe finire sulla linea di tiro del fucile, ma perché l’impulso all’inseguimento potrebbe indurlo a forzare la ferma. È quindi incomprensibile come e perché la quasi totalità dei cacciatori considerino la correttezza al frullo solo un preziosismo estetico di cui a caccia ce se ne può fregare. Ripeto che al giovane allievo bisogna da subito insegnare a non inseguire la selvaggina messa in volo dopo la ferma. E per questo bisogna fare ricorso alla corda di ritegno. In pratica vuol dire applicare al collare del cane una robusta corda (almeno 7 o 8 millimetri di spessore) lunga sette/ otto metri, al termine della quale fare un grosso nodo; si lascia quindi che il cane svolga la cerca trascinando la corda sul terreno. Portate con voi una specie di àncora che con la pressione del piede farete penetrare nel terreno qualche metro alle spalle del cane in ferma, quindi infilate la corda nel moschettone dell’àncora. A conclusione della ferma, quando il cane si lancerà all’inseguimento della selvaggina, la corda scorrerà nel moschettone sino al nodo terminale, per quindi bloccare bruscamente la rincorsa. L’uso dell’àncora è importante per evitare che il cane attribuisca al conduttore lo strattone che lo ha trattenuto. Se invece lo strattone provocato dalla corda di ritegno viene attribuito al conduttore, il cane vedrebbe in lui l’origine dell’intervento punitivo e – allorché viene affiancato dal conduttore – potrebbe deconcentrarsi, cosa che potrebbe indurlo a muovere la coda in ferma, o addirittura ad abbandonare la ferma. 

Questo trattamento deve continuare fino a quando il cane impara che la rincorsa gli provoca un indesiderabile strattone. Ovviamente se la selvaggina messa in volo è stata abbattuta, bisogna sganciare la corda dall’àncora per consentire il riporto; se invece non c’è abbattimento, buttate a terra un capo di selvaggina morta che tenete nel carniere e fategli riportare quello, come premio conclusivo della ferma.

Campano sotto la pancia e satellitare al collo

Un’altra fase cruciale dell’azione venatoria è la cerca. A questo proposito debbo fare riferimento al titolo del convegno, cioè alla preparazione venatoria che va distinta dalla preparazione per la partecipazione alle prove. E la differenza fondamentale è che nelle prove bisogna che il cane dia il meglio di sé nell’arco di un quarto d’ora, dimostrando fin dai primi passi il suo valore stilistico e funzionale. E ciò implica un tipo di preparazione diverso rispetto alla caccia. Per lo stesso motivo tralascio di parlare dell’addestramento per ottenere la cerca incrociata sui terreni pianeggianti ed aperti in cui spesso si svolgono le prove. Per quanto riguarda la cerca in caccia, due sono i temi da trattare: • la cerca a favor di vento • ed il collegamento. Dobbiamo sempre indirizzare la cerca del cane in modo che l’aria fluisca sulla spalla destra o sulla spalla sinistra (ed è il principio in base al quale si svolge la cerca incrociata); mai direttamente di fronte o – peggio ancora – da dietro: l’aria non deve venir da dietro perché non potrebbe portare le particelle odorose nel naso; e se invece l’aria arriva direttamente in fronte al cane, quando lui deve tornare verso di noi si troverebbe ad avere l’aria nel sedere. Quindi è importante che il conduttore si accerti dell’esatta direzione dell’aria per poter incoraggiare il cane a svolge la cerca nella giusta direzione. E siccome l’ottimizzazione dell’aria è la premessa per avvertire l’emanazione della selvaggina, il cane si abituerà ben presto a scegliere spontaneamente la direzione della cerca in funzione dell’aria. E veniamo al collegamento.

Sempre Emma

 Nella cerca, il ruolo del cane è subalterno a quello del capobranco, impersonato dal conduttore uomo. Ma rifacendoci ai comportamenti dell’antenato lupo, il capobranco era sempre silenzioso per consentire che i suoi subalterni indirizzassero verso di lui le prede che avevano scovato e che stavano inseguendo. Ed erano i sottoposti che dovevano mantenersi in contatto col capobranco … e non viceversa. Analogamente quando siamo a caccia col nostro cane, comportiamoci da capobranco, lasciando al cane il compito di collegarsi spontaneamente a noi. Coerentemente dobbiamo osservare un rigoroso silenzio. Se il cane si allontana e si sottrae alla vista, anziché chiamarlo dobbiamo cambiare la direzione di marcia ed eventualmente nasconderci per far credere al cane di averci perso e stimolarlo a mantenere in futuro un più attento collegamento. Se invece vi mettete a fischiare per richiamarlo, otterrete l’effetto contrario perché il cane interpreta quel suono come la tranquillizzante indicazione di dove voi siete e di conseguenza la rassicurazione che può continuare ad andarsene per i fatti suoi. Ed allora non bisogna mai fischiare? Diciamo che quantomeno bisogna fischiare il meno possibile, solo in tre circostanze ed in tre modi diversi: • Quando il cane è lontano ma in vista e volete richiamare la sua attenzione per indirizzare la cerca in una diversa direzione: in questo caso emetterete un fischio di media lunghezza modulato in modo ben preciso, indicandogli a gesti la nuova direzione da prendere. • Quando il cane è in vista e volete che venga da voi per interrompere l’azione venatoria (temporaneamente o definitivamente): a questo scopo emetterete un lungo fischio trillato, appoggiando contemporaneamente un ginocchio a terra come mimica della cessata attività. Appena il cane arriva, accarezzatelo e mettetegli il guinzaglio. • Quando il cane sta dettagliando col naso a terra e volete indurlo a riprendere il movimento di cerca; in questo caso emettete una sequenza di brevissimi fischi e contemporaneamente mettetevi a correre così da stimolare il cane a muoversi lui pure per emulazione. Questi sono gli unici tre fischi che si devono usare a caccia…avendo cura di usarli il più raramente possibile.

Un altro fondamentale argomento è il riporto. Nello Spinone il riporto è un comportamento naturale trasmesso geneticamente; vale a dire che in proposito non c’è bisogno di insegnargli nulla. Se invece il suo patrimonio ereditario non include il gene responsabile di questa funzione – e quindi lo Spinone non riporta spontaneamente – l’unica soluzione è di addestrarlo per il riporto a comando, che però sarebbe troppo lungo spiegare in questa sede. In tema di riporto vorrei cogliere l’occasione per fare alcune precisazioni. Spesso viene accomunato il termine di “recupero” con il “riporto”.

Beccaccia ben indicata da Emma

E sono invece due fasi ben distinte. Il recupero – che si verifica per lo più quando la selvaggina cade ferita e si allontana a piedi – è espressione dell’istinto predatorio che induce il cane ad impossessarsi della preda. Il riporto è il comportamento per il quale il cane – dopo aver abboccato la preda – rinuncia a mangiarsela e la porta al suo padrone. Si tratta cioè di due comportamenti ben distinti: non a caso ci sono cani abili nel recupero…ma che una volta raggiunta la preda se la mangiano, anziché portarla al padrone. Su questo argomento è opportuno anche analizzare il riporto dall’acqua alta che viene a volte fatto oggetto di verifica cinotecnica: quando il cane vede l’anitra cadere in acqua, e si tuffa a nuoto per andarla a prendere, esegue un’azione di “recupero” stimolata unicamente dall’istinto predatorio: dopo di che, ovviamente il cane nuota con l’anitra in bocca anche perché – qualora volesse mangiarsela – non potrebbe farlo mentre è in acqua. Il riporto vero e proprio ha inizio solo dopo che il cane – uscito dall’acqua – anziché mangiarsi l’anitra, la porta al suo padrone…. che deve attenderlo non in riva al lago, ma almeno una decina di metri più lontano. Però state attenti che alcuni cani hanno perso la capacità naturale di nuotare e che quindi è necessario metterli in acqua da cuccioli per risvegliare in loro l’originaria attitudine al nuoto.

Spero che queste mie indicazioni, necessariamente sintetiche ed inevitabilmente incomplete, siano utili. Comunque, vi ringrazio per l’attenzione