Foto di Mario Salomone

Come i bimbi, stamattina ho incollato il naso ai vetri della camera da letto nel tentativo di conquistarmi un altro pezzo d’orizzonte. Il cielo d’acciaio e il vento di tramontana li ho sentiti d’un tratto nelle carni. Il Moncerviero è bianco di neve e anche le altre montagne sono bianche. La neve ha incappucciato pure le colline che s’adagiano al paese. E’ bella, dopo tanto piovere, la prima neve di novembre.

Ho avuto una voglia pazza di mandare alla malora il vestito di tutti i giorni per la cacciatora di velluto. Oggi è giornata di beccacce. Ci ho pensato tutta la mattina mentre lavoravo. Col poeta «ho perfino dimenticato  la mia solita preghiera  al sorgere del sole ». All’uscita ho trovato il mio compagno di caccia che non mi lascia il tempo di prendere un boccone: stamattina hanno sparato forte. Noi abbiamo appena due ore di luce, al massimo tre, se facciamo presto. Ci portiamo in alto, ai margini della neve che ha perduto terreno durante la giornata. A spingersi fin là probabilmente nessuno ha pensato oggi. Con la neve le beccacce calano… Sì, ma non sempre e non tutte.

La terra scricchiola sotto i nostri scarponi. Facciamo alzare tre beccacce nelle radure acquitrinose colpite da luce più viva. Una sola, l’ultima, ha retto la ferma. A parte che è pomeriggio, con questo tempo la beccaccia ha i nervi tesi e i cani, più spesso, le narici « tappate ». Molte altre pasture hanno fatto ammattire la coppia di setter. La sera quasi ci sorprende con una sua dolcezza cristallina e malinconica. La notte, invadente e sorniona, è prossima a stringere tutto nella sua morsa di ghiaccio. Il gelo compie il suo ufficio nascosto senza aiuto di vento. Le beccacce hanno sentito che là in alto sarà dura a e si sono buttate a valle prevenendo il gelo. Ne ho vista una sfalsare sul ceduo mentre l’ultimo sole giocava a rimpiattino con una grossa chiazza di neve. Hanno il barometro nel becco, commenta il mio compagno di caccia. Questa volta non si sbaglia. Ritorneranno magari all’alba di domani, a godersi il sole che certamente avrà ancora la forza di ammollare la radura irrigata dal ruscello.

A occhio di sole

Hanno il barometro nel becco, ha detto Geronimo. Io non so se le beccacce il barometro ce l’abbiano e proprio nel becco, ma se dovessero effettivamente averlo, credo che sia di facile trasporto, preciso, dati direttamente utilizzabili. Voi chiamatelo pure istinto, causa fisiologica, prodotto di secreti ghiandolari a determinata temperatura e pressione. In questa spiccata sensibilità della nostra regina io penso che la pressione atmosferica c’entri in qualche modo, per il fatto che contribuiscono a farla variare altitudine, latitudine, temperatura, umidità dell’aria. La beccaccia è particolarmente sensibile alle precipitazioni atmosferiche, ai temporali, ai venti freddi e intensi. La burrasca, che si accompagna a rapidi moti ascendenti e discendenti dell’aria e a uno stato di forte elettricità atmosferica, la disorienta. Dalle mie parti la gente di campagna che avvista le beccacce con questo tempo dice: « Ven’ come ‘e pacc’ », letteralmente: « Vanno come pazze ». Come un apparecchio misuratore di pressione, la beccaccia avverte i fenomeni meteorici con un certo anticipo. Li fugge quando sente che la loro intensità va oltre il tollerabile. Avversario ben più temibile le forti gelate. Lasciarsi sorprendere significherebbe saltare colazione, pranzo e cena. Ma sbaglierebbe ugualmente chi ritenesse con matematica certezza d’incontrare in basso le beccacce le volte che c’è una forte gelata. Durante gli straordinari giorni di gelo del ’79 (seguiti ad un autunno prevalentemente secco e a una calata — quasi bruscamente interrotta a metà dicembre — che lasciò pochissime svernanti) incontrai alcune beccacce solo sui 700-900 metri, accasate per lo più in certe tagliate di cerro di 2-3 anni appena, ben soleggiate. Protetto dalla ramaglia e dalle foglie secche che abbandonano le piante solo verso aprile, e che con la loro tinta immagazzinano calore, e là di solito il terreno mantiene condizioni accettabili di vita e alimentazione. Un altro caso, più remoto: gennaio 1965. La neve è comparsa da qualche giorno. Una spolverata qua e là. Freddo intenso; la temperatura è sotto zero e impedisce alla neve di cadere ere a larghe falde. Il nevischio, che si alterna a fugaci occhiate di sole, che sferzante   acceca gli occhi. Parecchi hanno cercato nella valle, lungo i corsi dei fiumi e dei ruscelli senza incontrare. Noi tentiamo un uscita a quota 900. Su un cocuzzolo esposto a mezzogiorno, alle cui spalle sorge una « fontana », in un lembo poco esteso di radi ginepri,  e quercioli soprattutto, troviamo 5 beccacce, evidentemente là richiamate dall’ottima esposizione e dalla possibilità di reperire cibo nella sorgente anche durante la notte a venire. Alla stessa altitudine, in altra occasione, azzeccammo una giornata memorabile per pura combinazione. S’era sotto Natale e eravamo andati al « pantano » sperando di tirare a qualche beccaccino. Cominciammo, invece, a trovare qualche prima beccaccia nella piana acquitrinosa sotto gli ontani. Ci fu una rottura brusca dell’equilibrio termico. Un freddo tagliente e improvviso, da gelare i santi nelle chiese. Il terreno, in breve volger di tempo, divenne duro, di ferro. Uno spettacolo a me nuovo. Le beccacce, che via, via trovavamo, sembravano aver messo le radici, reggevano fino a farsi pestare. Ne levammo un numero insolito; insolito per il luogo e la stagione. Erano evidentemente uccelli di spostamento, retroguardia della calata autunnale, risospinti al sud da un’ondata di freddo che probabilmente aveva invaso altre aree. La cosa ho poi potuto verificare, in condizioni di tempo analoghe, più di una volta, ma a novembre, quando il passo era nel suo pieno. il Dopo una nevicata dissoltasi, se la notte si mantiene tiepida e il giorno che segue la temperatura si abbassa notevolmente, in epoca di discesa non è improbabile qualche notevole giornata di beccacce.

La beccaccia si sposta di giorno

In previsione di abbondanti nevicate sulle alture o su vaste aree, spesso si verificano considerevoli arrivi di beccacce. Ordinariamente più cospicui se il fenomeno interessa grandi regioni ubicate al Nord e se la migrazione verso i quartieri di sverno è ancora in atto; in minor quantità se il fenomeno interessa aree circoscritte o se si tratta in atto di uccelli che hanno già stabilito da noi la dimora. Quando la caduta di neve è preannunciata da acquerugiola fredda o da temporali intermittenti o misti a grandine, intervallati da schiarite più o  meno brevi, le beccacce si abbandonano a lunghe pedinate, dando filo da torcere ai cani, che l’avvertono male e trovano difficoltà a risolvere positivamente. Taluni ausiliari dipanano la matassa Più per esperienza che in virtù del naso. Ce lo dimostrò, nel giorno dei Santi una vecchia setter piuttosto male in arnese (andava a tre gambe). Con Claudio (e compagnia bella) avevamo inutilmente pesticciato dovei cani avevano avvertito e anche accennato, senza pervenire alla ferma decisiva. Ormai sfiduciati, ci eravamo allontanati portando via quasi a forza la setter, che ad un certo punto — evidentemente di contrario avviso — ci piantò in asso tutti per ritornare al posto di prima a fermare la beccaccia, questa volta senza lasciarsi confondere le idee. Il terreno che le beccacce scelgono con un tempo del genere direi che è’ l’optimum fra gli ambienti ordinariamente preferiti da dicembre in poi. Fustaie miste a cedui con foglia tarda a cadere, intervallati da qualche coltivato e da frequenti e ben esposte radure, meglio se derivate da terreni non più seminati. Ottimo il bosco intersecato da ruscelli che scorrono sotto salici e pruni, spineti, alberi coperti di edera, gruppetti, più o meno folti, di ginestre. A condizione che dovunque sia il prato. Il prato soprattutto! La beccaccia si rassegna, diventa trattabile se la neve non gela e il dissolvimento ne è prossimo. Ma con la neve la beccaccia può spostarsi anche di giorno; erra finché il tempo non abbia manifestato chiaramente l’intenzione di concedere tregua. Allora vi può capitare di aver battuto un posto al mattino, di avervi trovato una o nessuna beccaccia, di ripassarci per caso nelle ore pomeridiane e di alzarvi altre beccacce proprio in quegli angoli che i vostri cani poche ore prima avevano setacciato. Questo, beninteso, se appartenete a quella categoria di cacciatori che si definiscono « fortunati ». Diversamente saranno i vostri amici a far carniere dove le beccacce amano prendere il sole del pomeriggio. Quando sperimentai di persona la cosa per la prima volta, non mi piacque affatto. Era nevicato fino a giorno e verso le undici c’era un sole raggiante. M’ero spinto un po’ in alto, ai margini della neve e avevo potuto vedere così, in poco tempo, calare verso valle due beccacce. Non pensai neanche di rifare la stessa strada del mattino. Alla sera, proprio il mio compagno di caccia mi mostrò un bel mazzetto di regine uccise nel bosco che io avevo « fatto » al mattino. Sono ancora convinto che le beccacce non le avevo potuto tralasciare tutte. Il bosco non era vasto e il cane dimostrò quella stessa mattina padronanza di mezzi olfattivi; inoltre, il fenomeno è stato da me successivamente verificato in quello stesso posto. È un posto di mezza collina che presenta le caratteristiche ambientali precedentemente indicate come ottime durante le precipitazioni nevose. Altra volta, in montagna, ebbi modo di vedere un simili circostanze di tempo la beccaccia spostarsi. Fui sorpreso da una burrasca  improvvisa di neve. Cercai riparo temporaneo in una  baracca di frasche. Stavo di faccia al bosco e  vidi uscire una beccaccia che si venne a riporre nel prato poco discosto da me. Quando mi mossi per tentare un accostamento, ne frullarono con meraviglia due. Probabile che anche l’altra fosse di arrivo, ma io non l’avevo vista. Quel prato era in leggero pendio ed attraversato da un rivolo originantesi nello spiazzo stesso; qua e là qualche cumulo di rovi e ciuffi di giunco. Inoltre, posto ubicato su linea di affilo.

La beccaccia amica della neve

Ettore Garavini, nel suo volume « Beccacce e beccacciai », afferma: «le beccacce che hanno abbandonato i monti, in seguito a ragioni di forza maggiore quali il ghiaccio e la neve, per scendere nelle vallate in cerca di condizioni ambientali migliori, non vi ritornano più anche se sono scomparse le ragioni per cui esse effettuarono questo spostamento ». Per quante constatazioni ciascuno abbia potuto fare, è più difficile di quel che si possa pensare l’addivenire ad una conclusione su questo argomento. Il ritorno alle « riposte » preferite, una volta cessata la neve o il gelo, sembrerebbe possibile solo per le beccacce già ben acquartierate. Dirò solamente che in talune circostanze — andando a caccia per vari giorni di seguito — ho avuto la netta impressione che le beccacce si ritirassero in alto man mano che la neve arretrava. Un fenomeno, questo, che sembra manifestarsi più chiaramente quando alle nevicate si succedono più giornate di sole. Ma è probabile che siano uccelli che rimangano nella neve, che certamente non impensierisce la dama dal lungo becco se fa presto a dissolversi e, soprattutto, se non ghiaccia, nel qual caso l’alimentazione ne verrebbe compromessa. Spesso è dato di trovare beccacce presso chiazze di neve, dove più intensa colpisce la luce, man mano che la neve stessa si ritira. Il motivo della preferenza è di facile intuizione, evidente. In altri posti il sole asciuga il terreno, indurendolo; qui la neve lo mantiene morbido, permeabile e a grasso», favorendo le « prospezioni i della regina. Ho sezionato i ventrigli delle « arcere a prese in tali condizione d’ambiente. A confronto degli altri erano ordinariamente più forniti.

La beccaccia di ghiaccio

Nelle mattinate di gelo, quando di buon’ora vai a caccia, non di rado, dalle mie parti, capita di unirti, strada facendo, al contadino che lasciato il paese, s’avvia verso il casolare di campagna. Avvertendo vicino il tuo passo si gira  e dall’alto della cavalcatura, più che darti il buongiorno, quasi a sottolineare il freddo cane, in tono vagamente augurale ti dice: «Andiamo, andiamo, ché stamattina ce le trovi col becco appiccicato!… ».. Si riferisce alle beccacce, lui. E vuoi dire con becco imprigionato dal ghiaccio. I detti popolari hanno sempre un loro fondo di verità, che è frutto di esperienza. Ma per me questa faccenda della beccaccia che rimane prigioniera del ghiaccio ha un po’ il sapore di leggenda e forse l’avrà finché non ne avrò presa una con le mani. Così, col becco imprigionato dal ghiaccio. Tuttavia c’è chi afferma, anche al mio paese, di aver fatto questa interessante cattura. In più conservo tra le mie carte una circostanziata relazione che l’amico Gian Franco Merenda mi fece di una beccaccia presa dal ghiaccio sull’Appennino piemontese, forse sorpresa dalla rottura brusca dell’equilibrio termico. Merenda mi scrisse, perché — parlando io, in un articolo, sull’argomento — mi aveva sentito dalla parte dei suoi amici, i quali, quando raccontava della sua sorprendente scoperta, si stringevano nelle spalle. Dirò subito che il mio scetticismo di fronte a un’eventualità del genere è giustificato dal fatto che appare non facilmente comprensibile e convincente che un animale perfettamente integro e con i sensi particolarmente svegli si lasci sorprendere da eventi meteorici e, nel caso particolare, dal ghiaccio. A questo punto c’è chi mi obietta: ma gli improvvisi temporali, specie estivi, non sorprendono nottetempo, e anche di giorno, molte specie, in particolare piccoli uccelli, facendo ecatombe? Già, è successo tante volendo considerare che un temporale, un’alluvione , sono eventi metrologici, forse, di diverso peso al confronto anche di una forte gelata. Queste calamità colpiscono poi più direttamente  la fauna stanziale che non può o non è avvezza a spostarsi tanto anche  in vista di notevoli avversità climatiche. I migratori alati e la  beccaccia, non sembrano patire eccessivamente di queste angustie. Se ci fosse da coniare uno slogan per «lei», penso che andrebbe bene: «prevedere il tempo è il mio mestiere ». E la beccaccia, infatti, avverte i cambiamenti dì tempo con anticipo notevole. Anche in periodi di « manca », in previsione di nevicate, ti vedi, a esempio, comparire le beccacce inaspettatamente; come la neve e le gelate possono essere causa di spostamenti improvvisi anche di giorno. Conosco uno che ha trovato la beccaccia prigioniera del ghiaccio in un prato naturale, aperto, abbastanza umido, che s’estende tra terreni coltivati ad un’altitudine di appena 450 metri sul livello del mare. Assicura, inoltre, che l’uccello non presentava tracce di ferite; che era in buono stato di nutrizione e, apparentemente, in perfetto stato di salute. Perché — se questi casi si riferiscono a soggetti «normali» — la beccaccia sì lascerebbe sorprendere dal ghiaccio? Parrebbe lecito pensare ancora a un caso di beccaccia «prigioniera del lombrico»: una beccaccia, cioè, che per una ragione o per l’altra nelle ore precedenti è stata a corto di viveri e che ora s’attarda con la sua sonda, in una difficile e faticosa operazione di recupero del lombrico che, per sfuggire ai rigori del clima, ritiene di starsene e profondità dì sicurezza, mentre un fiato gelido e improvviso impietriste la terra. Peccato di gola, dunque, o non piuttosto un infortunio bello e buono, nel senso che il becco di « sua maestà la regina » s’è incagliato in un appiglio sotterraneo? Quest’ultimo evento sembra improbabile. Al pari di altre ipotesi suggestive che si potrebbero fare. Intanto, mi torna alla mente l’episodio dei <<cavalli di ghiaccio>> dell’artiglieria sovietica nell’ultimo conflitto mondiale, per sfuggire all’accerchiamento dell’immane incendio scoppiato nella foresta di Ràikkola, a centinaia cercarono scampo nelle acque del Là doga. Nella notte si levò il terribile vento del Nord e, per la rottura  dell’equilibrio termico, i cavalli rimasero come pietrificati una impietosa lastra di marmo. Lo spettacolo terrificante e pure meraviglioso, che apparve ai soldati che per primi lo scoprirono, ce lo racconta la virtuosa penna  di Malaparte in << Kaputt>> ). Diverso l’infortunio della nostra beccaccia.