Fotografia di Francesco Prandi

(L’irrazionalità di un divieto che colpisce al cuore l’intera disciplina della Tipica fauna alpina)

Non potevo declinare l’invito di Mirco Peli e di Silvio Spanò di scrivere qualche pezzo sulla caccia alla Tipica Fauna Alpina in un sito web che si chiama ‘Cacciatori di Montagna e di Beccacce’.

Da moltissimi anni, infatti, fino ad ottobre (e, comunque, fino al completamento del piano di abbattimento), esercito la caccia in montagna in maniera pressoché esclusiva in un Comprensorio Alpino del Piemonte. Da novembre in poi mi dedico alla caccia alle beccacce entro i confini di una Azienda Faunistico Venatoria, perché così vuole il regime legale dell’ “opzione”. La scelta della caccia in Zona Alpi consente, infatti, di cacciare in un ambiente ancora incontaminato, popolato di vera selvaggina, ma impone, come è noto, di limitare la rimanente attività venatoria alle strutture faunistiche private. Senza contare che l’esercizio venatorio in montagna è caratterizzato da stringenti limitazioni di giornate e di capi, oltre che dall’obbligo di contrassegnare l’animale abbattuto e di presentarlo al Centro di controllo per la redazione del verbale. Inoltre, ed è questa la caratteristica che la distingue da tutte le altre cacce alla piccola selvaggina, la caccia alla Tipica Fauna Alpina è consentita solo secondo piani di abbattimento approvati dall’ISPRA e dalla Regione in base ai censimenti del successo riproduttivo delle varie specie. Insomma, una serie di limitazioni che hanno scoraggiato e scoraggiano molti cacciatori ( tanto da indurre molti a cacciare solo gli ungulati) ma non hanno fatto venir meno la passione per la caccia in montagna col cane da ferma a chi ritiene di poter, ancora, trarre da tale pratica venatoria forti emozioni e grandi soddisfazioni.

Fotografia di Francesco Prandi

Ma non intendo lamentarmi in modo generico delle indubbiamente forti restrizioni cui è soggetta la caccia in montagna. La Tipica Fauna Alpina è senza dubbio un bene prezioso che va rispettato e prelevato con discernimento in base a razionali, consapevoli e sostenibili criteri di gestione che i cacciatori di montagna sono ben disposti ad accettare e, anzi, sono essi stessi, spesso, ad invocare.

Vorrei, però, fare qualche osservazione su una limitazione specifica riguardante la fauna alpina nella Regione Piemonte e cioè il fatto che in tale Regione la caccia alla pernice bianca è stata (sorprendentemente e quasi clandestinamente) vietata con un provvedimento inserito nella legge finanziaria (!) del 2015 che non ha tenuto in minimo conto, da un punto di vista giuridico, che la specie è prevista come cacciabile dalla legge nazionale e che si fonda su motivazioni che non hanno alla base alcun vero e comprovato dato scientifico ma sono solo ed esclusivamente volte a colpire la credulità popolare.

Fotografia di Francesco Prandi

Sulla vicenda pendono ovviamente, davanti agli organi competenti, i ricorsi volti a stabilire l’esatta situazione da un punto di vista giuridico. Ma la battaglia va combattuta non solo sul piano legale ma anche sul piano della trasparenza e della veridicità delle affermazioni, del corretto uso dei dati scientifici e della coerenza dei comportamenti tra le varie amministrazioni pubbliche interessate.

Va sottolineato, infatti, che se, per la Tipica Fauna Alpina, passa il principio che si può prescindere dai criteri fondamentali su cui si basa tale pratica venatoria (e cioè i censimenti, i piani di abbattimento e gli abbattimenti effettivamente realizzati) e che si può vietare la caccia a determinate specie sulla base di scelte pseudo protezionistiche non suffragate da dati incontrovertibili e scientificamente fondati, ciò farà crollare l’intero edificio su cui si fonda la caccia alle specie alpine e potrà, io credo, avere conseguenze in futuro anche su altri tipi di caccia (perché no alla beccaccia o no al capriolo?.

La vicenda della chiusura della caccia alla pernice bianca in Piemonte è sotto questo profilo emblematica:

a) tutti i censimenti effettuati, negli ultimi venti anni, confermano la costante presenza e consistenza della specie nei Comprensori vocati;

b) l’ISPRA non ha mai fatto rilievo sui censimenti ed ha sempre approvato piani di abbattimento compatibili con la presenza della specie;

c) gli abbattimenti sono sempre stati consentiti in una percentuale (10/15% della consistenza estiva) estremamente prudenziale;

d) gli abbattimenti effettivamente realizzati hanno sempre confermato la correttezza dei censimenti e dei piani. La circostanza che la caccia è stata spesso chiusa dopo poche giornate mostra semmai una sottovalutazione della presenza della specie (dovuta, a mio avviso, alla obbiettiva difficoltà di effettuare i censimenti in molte località difficilmente raggiungibili nelle poche ore e nelle poche giornate che si possono dedicare al monitoraggio).

Ciò nonostante, come si è detto, la caccia alle bianche in Piemonte è stata chiusa senza vere e apprezzabili motivazioni, ed anzi con comportamenti istituzionalmente contradditori tra Regione, ISPRA e Stato.

Fotografia di Francesco Prandi

In valle gira la battuta che la pernice bianca è stata vietata solamente perché è “bianca”, da persone che non l’hanno “mai vista nella loro vita” e che non la saprebbero “distinguere da un piccione”.
Ma lasciamo da parte tali battute e ribadiamo il fatto che è veramente incredibile che un divieto di caccia possa colpire una specie sottoposta ad una gestione estremamente regolamentata, soggetta a prelievi molto restrittivi. Una specie, mi sia consentito sottolinearlo, che, tra l’altro, si difende molto bene da sola per l’ambiente che abita e per le difficoltà meteorologiche e altimetriche che i cacciatori incontrano. Incidentalmente, mi limito ad osservare che altrettanta prudenza per quanto riguarda numero di capi abbattibili, giornate, periodi di caccia e attenzione alle situazioni meteorologiche non è neppure lontanamente adottata per la gestione della beccaccia.

Voglio solo aggiungere, infine, che se proseguirà il divieto, verrà meno l’incentivo ad effettuare i censimenti in estate con i cani da ferma ed i cinofili che faranno dei monitoraggi personali si guarderanno bene dal comunicare i dati alle autorità competenti, le quali potranno vantarsi di aver “salvato” la bianca ma non disporranno di alcun dato ufficiale e scientifico della sua presenza e consistenza nelle nostre amate montagne.