
Foto-di-Giorgio-Peppas
Di recente ho partecipato ad una battuta alle beccacce in un paese baltico, con due amici carissimi e provetti beccacciai, e all’origine di queste note c’è un confronto tra tecnica venatoria attuale e quella dei miei tempi. La caccia alla beccaccia (che ho praticato per una ventina di anni, a partire dal 1953, nei boschi cedui collinari dell’Alto Lazio) è, a mio avviso, la più sportiva ed appassionante delle cacce perché solo un’arcana “possessione” può spingere il cacciatore a marce faticose in ambienti ostili per la ricerca aleatoria di un selvatico raro, imprevedibile e misterioso.
Nel bosco che, ricorda l’ambiente primigenio, senza i filtri della civiltà, il cacciatore torna a percepire il respiro profondo della terra, a misurare il tempo sulle ore di luce e la distanza sulla forza delle gambe; gli stimoli della fame, della sete, della stanchezza, tornano ad essere autentiche necessità fisiologiche e, alla fine della battuta, il loro soddisfacimento procura inedite sensazioni di benessere psico-fisico.
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