(imprevedibilità della beccaccia e relative “leggende metropolitane”)
Nei primi anni ’80, poco più che ventenne e senza precedenti in famiglia, iniziai a dare sfogo alla mia grande passione per la Caccia. Dopo aver divorato tutto quel poco che allora c’era di pubblicato in materia venatoria ed essermi abbonato a “Diana – La Rivista del Cacciatore”, con tanta confusione in testa in materia di vita, migrazione, luoghi di pastura, di soggiorno e di modalità di caccia dell’arciera, mi ritrovai di sera ad ascoltare, nel circolo cacciatori del paese dove mi ero da poco trasferito, i racconti più strani e i motti correnti sugli incontri con la Regina del bosco. Ascoltavo defilato, ma con molta attenzione gli anziani ed i loro aneddoti di caccia cercando di selezionare un filo logico per approcciare quel selvatico tanto agognato!
Un detto su tutti, mi aveva colpito: “Nel terreno coperto da falasco non pascolano neanche i somari, figuriamoci la beccaccia!”; infatti, come noto, essa predilige terreno senza fogliame, con qualche cespuglio rado, non gradisce il bosco molto folto e sporco e cose del genere…
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