Il foraggiamento deve essere un mezzo per migliorare la qualità dei caprioli e non per aumentare la quantità degli stessi!
Il fieno deve essere di buona qualità, ben conservato e tagliato sul posto o in zone simili (ad esempio, in montagna non si deve distribuire fieno di pianura!) e distribuito in ampie greppie a rastrelliera.
Le somministrazioni “dirette“ alle foraggere comprendono barbabietole da zucchero, mele, avena, mais, ghiande, topinambur e mangimi bilanciati.
Tali somministrazioni iniziano a metà ottobre e proseguono fino a quasi la fine di aprile, nel periodo di ricostruzione del trofeo e del rapido sviluppo dei feti.
Ciò indipendentemente dalla quantità della neve, perché devono apportare qualità e non quantità.
Spesso, purtroppo, la Forestale esercita la gestione dei boschi senza tener conto delle esigenze della selvaggina, praticando la monocultura di abete rosso e pulendo il sottobosco per timore di incendi, così arrecano un notevole danno al biotopo capriolo. Anche il periodo del taglio delle piante ha notevole importanza: se viene eseguito in tardo autunno-inverno, gli alberi abbattuti e lasciati sul posto per un certo periodo forniscono un ottimo integratore naturale del pascolo invernale (soprattutto l’abete bianco è molto appetito dai caprioli, camosci e cervi).
Occorre non dimenticare il sale; è molto utile metterlo a disposizione durante tutto l’anno in apposite saliere.
Si può usare il sale pastorizio in rulli, il sale marino (il comune sale da cucina), misto in parti uguali con l’argilla, e pure il salgemma in blocchi.
Il sale apporta necessario completamento nutritivo al metabolismo del capriolo, lo fa bere di più, cosa molto utile in inverno quando il selvatico assume molto cibo secco e fibroso, facilitando processi digestivi quelli di formazione delle corna.
Fulvio Ponti – Il Patrimonio Capriolo – Carlo Lorenzini Editore, 1992
Silvano Mattedi
Foraggiare e salinare è un assurdo biologico e gestionale.