Uscirono dal bosco e si ritrovarono sopra un campetto di granoturco.

Il setter incrociò per qualche metro e si immobilizzò: l’enorme libellula dalla lunga coda, dal grosso petto e dalle larghe ali, il collo verde scuro tutto teso nello sforzo; uscì allo scoperto e lo sparo l’arrestò un attimo in aria. Poi rovinò a terra come un fagotto di stracci. Mentre il cane lo riportava un altro si sollevò a destra, dal granturco e anche quello fu fermato dalla canna corta del cacciatore.

Su tutto era caduto il silenzio e il cane incrociava come impazzito. Il cacciatore lo richiamò, e mentre a forza se lo teneva vicino per farlo riposare e calmare, davanti ai loro occhi esplosero uno, due, tre, quattro, cinque maschi. Tanti e tanto grandi tutti insieme disegnarono nel cielo chiaro un ricordo di antichi arazzi orientali, tanto rumorosi  da sgomentare.

Spararono tutti e ne caddero due. Gli altri sprofondarono nel bosco. Il cane, le gambe anteriori tese in avanti, la testa abbassata nello sforzo del balzo, quelle posteriori distese dalla spinta, sembrava volare, ma un fischio del padrone lo trattenne.

Rientrarono nel bosco. Il cacciatore non  aveva gettato la sigaretta. Sapeva che ancora c’era tempo e che tutto, ancora una volta, si sarebbe svolto secondo le regole. L’altro aveva gettato la cicca e camminava svelto, il fucile impugnato con entrambe le mani in avanti: la canna leggermente in alto a sinistra, la destra sull’impugnatura. A sparare non avrebbe impiegato certo troppo tempo.

Il terzo aveva il fucile in spalla :

  • Che fagiani, ragazzi ! Che fagiani ! Mai visti….Hai visto che CODE ?

  e sorrideva beato inseguendo i compagni con la voce.

 Il cane andava svelto, ma non di corsa. La testa era alta e il naso sembrava leggere nell’aria, guidando il suo cammino sicuro.

Negli occhi aveva una luce nuova.

Si divertiva.

Piero Pieroni  – Il Cacciatore delle colline  – Ed. Olimpia, 1978