Su un articolo di “Roma Venatoria” a firma di Corey Ford, cacciatore americano, si parla della caccia al tacchino selvatico degli U.S.A., magnificandone la difficoltà per la furberia  di questo selvatico: “Il tacchino ha l’udito acuto della pecora, l’olfatto dell’orso, la vista dell’aquila, la velocità dell’antilope e l’astuzia della pantera…”. Poi viene raccontato un episodio di caccia al tacchino descritto come difficilissimo, faticosissimo, estenuante, perché fatto all’aspetto all’alba…

Sarà, ma…

..Nel 1934 era mio Ministro alla Legazione d’Italia a Vienna S.E. Gabriele Preziosi, appassionato cacciatore. Spesso andavamo a caccia insieme nella nostra indimenticabile riserva di Zurndorf.

Un giorno mi disse: – Sai Venezia, ti faccio una bella sorpresa; ho il permesso per noi due per una cacciata al tacchino selvatico.-

– E come si fa ?- chiesi.

– Ce lo diranno sul posto. Portati cartucce da lepre.

Dopo colazione si partì in auto verso le ore 14 ed in circa 30 minuti eravamo in riserva, accolti con sobria deferenza e gentilezza dal capo-guardiacaccia. Un calesse a 4 posti a cui erano attaccati 2 cavalli era già pronto. Io ed il Ministro sedemmo sui sedili posteriori, a cassetta erano il cocchiere, il capo-guardia ed un bel kurzhaar. I cavalli si incamminarono di buon trotto per una strada che attraversava un bosco non molto fitto di alberi di alto fusto.

Dopo aver percorso qualche Km. scorgemmo avanti a noi un branchetto di 5 o 6 tacchini selvatici che in fila indiana correvano avanti al calesse ad una distanza di un centinaio di metri. Il guardia disse qualcosa all’orecchio del cocchiere, che fece accelerare al massimo la velocità della corsa dei cavalli. Cominciò una gara molto interessante e sul principio ebbi la sensazione che i tacchini dovessero avere la meglio sui cavalli, ma dopo una decina di minuti la distanza fra noi e gli uccelli incominciò a diminuire, riducendosi alla fine di una trentina di metri. Fu allora che il capoguardia  diede un comando energico al cane, il quale si lanciò da calesse verso i tacchini. Il bracco toccato il terreno fece un capitombolo, ma si rialzò e scagnando inseguì i selvatici. Quando mi sembrò che fosse sul punto di abboccarne uno, ed io e il Ministro Preziosi ci guardavamo con un sentimento di pietà, essi volarono di colpo per posarsi quasi sulla cima degli alberi, in un raggio di un centinaio di metri. Il Calesse si fermò ed il capoguardia ci invitò a scendere ed a sparare a nostro piacere. Le povere bestie non sembravano nè spaventate nè diffidenti, anzi dirò che ebbi l’impressione che ci guardassero con curiosità. E’ chiaro che il tiro si presentava molto facile.

Sparò per primo S.E. Preziosi  ed un maschio che poi risultò di 5 kg., venne giù come un sasso. Gli altri rimasero fermi a guardarci. Sparai io ed un altro tacchino rotolò al suolo. Il capo guardia invitò ancora il Ministro a sparare, ma egli con un lieve quasi impercettibile sorriso ironico, che io ben conoscevo, declinò l’invito.

L’automobile ci riportava velocemente verso Vienna con due tacchini nel bagagliaio..Nessuno di noi due per un pezzo parlò, poi S.E. ruppe il silenzio ed in buon napoletano avellinese proferì:

– Né Venè, ti sei ammosciato ? Hai ragione, nun è stata na soddisfazione. Chesta ca’ nun ‘è caccia, ma comme se dice a Napule, “mozzarella e ova”.

Ernesto Venezia  – Andando a caccia – Ediz.Enc.d.Caccia-Milano, 1956