CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

EMOZIONI DIPINTE -Ritorno sotto la pioggia-

Eccoci di fronte ad un vero e proprio “classico” di Lemmi, forse all’opera più conosciuta mai partorita dal nostro sommo pittore fiorentino. Questo “Ritorno sotto la pioggia”, datato novembre 1966, è infatti una composizione onnipresente, in quanto riproposta in molte occasioni editoriali e presentata sotto numerose angolazioni nell’iconografia generale della stessa arte cartacea venatoria.

E questo non tanto perché essa sia un’opera pittoricamente eccezionale, visto che tecnicamente risulta essere abbastanza scarna sotto il profilo soggettistico e non esaltante neppure da un punto di vista cromatico, quanto per il fatto che forse mai come in questo caso Roberto Lemmi riuscì a materializzare non la solita emozione palpitante pur destinata a rimanere impressa nella memoria, bensì un insieme di semplicissime sensazioni….. Ed allora: le emozioni, sempre uniche, rimangono a lungo in noi mentre le sensazioni si provano numerose ed omogenee; le emozioni si desiderano nuovamente, le sensazioni si vivono e basta; le emozioni sono sempre rare e salienti, le sensazioni sono comuni e gratuite; per provare nuove emozioni si fa qualsiasi cosa mentre le sensazioni vengono da sole….. Anche la vita umana più incolore e monotona, ipoteticamente vissuta all’interno di una campana di vetro e quindi tutt’altro che emozionante, è costellata di sensazioni, in quanto esse appaiono ed accompagnano l’uomo di pari passo lungo il cammino della propria vita, forgiandone forse il suo stesso bagaglio di esperienze.

E quest’opera di Lemmi ha proprio il romantico pregio di condurci a velocità fantastica verso un retaggio di sensazioni stravissute da ognuno di noi, alla stregua di quelle ingiallite fotografie incollate sull’album dei ricordi più cari della nostra vita. Quante volte si è tornati a casa dalle nostre rispettive mogli, madri e sorelle, fradici di pioggia, scolando l’ombrello come un canale in piena, mentre il nostro cane ha zampettato fango sul tappeto di casa? Quante volte abbiamo maledetto quella pioggia che ha rovinato la nostra giornata di caccia, pur sapendo che la prossima volta, nonostante le classiche minacciose “nubi a pecorelle”, si ripartirà di nuovo? E quante altre volte, sotto un rovinoso acquazzone, ci siamo sprofondati nelle nostre più personali e solitarie riflessioni all’interno di un incerato impermeabile lungo la via del ritorno verso casa? Queste sono le più intime e primordiali sensazioni che si vivono nel coma piacevole di quella “malattia della caccia” che nessuno potrà mai guarire.

Fa parte della natura sognatrice del cacciatore, solitario eroe delle sue imprese, muto spettatore dei suoi successi ma triste ed autocritico in occasione delle proprie sconfitte, quando sfinito, sudato, quasi assiderato o fradicio di pioggia come in questo caso, trascina uno dietro l’altro nel fango i passi dei propri stivali, sotto quell’ombrello che lo ripara sì da quella torrenziale avversità atmosferica, ma che nulla può nei confronti della propria passione, dei propri desideri, della propria curiosità e della propria voglia di “vivere” in una dimensione che anche se talora inclemente, pur sempre lo avvince e lo attrae a sé come una calamita irresistibile.

Questo microcosmo di sensazioni fa parte della nostra stessa vita, nei momenti in cui questa è in grado di concederci le opportunità più squisitamente personali di poterlo provare . Non è importante infatti quel rovinoso temporale; non è importante l’eventuale malanno che rischiamo di buscarci e non è importante neppure la concitazione delle nostre congiunte alla vista di tutta quella pioggia e di quel fango che sicuramente porteremo sul pavimento di casa. L’importante, sembra dire Lemmi, sono quelle tre beccacce appese ai laccioli. Ed è solo per rincontrare esse che il cacciatore nuovamente sfiderà gli elementi…… e sé stesso.

Remigio “Remo” Venturini

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1 Comment

  1. Tito

    Sempre bellissimi i quadri di Lemmi

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