CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

EQUILIBRIO ECOLOGICO – BIODIVERSITA’ DI ENRICO FENOALTEA -3/6-

foto di Mario Salomone

In generale non si può negare che un prelievo venatorio incontrollato può causare l’estinzione di una specie ma in Italia negli ultimi quaranta anni si è verifica­to un fatto nuovo, diverso dalla pressione venatoria, che ha provocato l’estinzione definitiva e irreversibile di molte specie faunistiche alcune delle quali mai cacciate.

La estinzione in Italia della selvaggina nobile stanziale non può essere imputata alla pressione venatoria, per le seguenti ragioni: a) sono in via dì estinzione anche alcune specie faunistiche mai cacciate o cacciabili (rapaci, rondini, passera­cei, pipistrelli, cuculi, usignoli ecc.); b) !a scomparsa delle specie faunistiche è avve­nuta anche nelle aree che non hanno mai conosciuto il fucile, perché la caccia vi è da sempre vietata (oasi, parchi, zone di ripopolamento, zone di rispetto, ecc.);

c) in questi anni, in alcune zone di ripopolamento e in alcune riserve di caccia private, è stato sperimentato ogni possibile mezzo per ricostituire il “ceppo” naturale di selvag­gina nobile stanziale, con immissione di capi riproduttori di cattura, e con coltivazioni “a perdere”, ecc., senza alcun risultato, nonostante divieto di caccia; d) sono estinti o in via di estinzione anche insetti, rettili, rospi, vermi, grilli, farfalle, bruchi, formiche, coleotteri ecc. che nulla hanno a che fare con la caccia.

In realtà chi è immune dal virus dell’ideologia (o si informa senza precon­cetti) sa che la vera causa di estinzione della fauna naturale è stata l’antropizzazione del territorio, conseguente l’agricoltura intensiva e meccanizzata che per produrre sempre più su superficie minore ha messo a coltura ogni lembo di territorio, con eh­minazione di zone boschive, stagni, zone umide, siepi, fossi, scoline, incolti; con uti­lizzo di fertilizzanti, anticrittogamici e diserbanti; con arature precoci, pesticidi, con­cimi chimici, incendi delle stoppie e delle sterpaglie; con lame raso-terra di falciatrici e mietitrici veloci; con la monocoltura; con la dilatazione pervasiva delle strutture ur­banistiche e industriali; con gli scarichi sia industriali che degli allevamenti intensivi del bestiame e con la pressione eccessiva della pastorizia.

l prodotti chimici usati in agricoltura hanno sterminato tutti gli insetti (ali­mento proteico dei gallinacei); hanno avvelenato i semi e le erbe (intossicando e ren­dendo sterili gli uccelli); il territorio non è più in grado di offrire ai gallinacei nè prote­zione nè cibo; i ritmi agrari hanno assunto una velocità non più compatibile con quelli della natura.

La popolazione delle starne in Polonia è crollata quando gli antiparassitari hanno eliminato le dorifore dalle patate (anni ’80). Chi volesse un riscontro oggettivo a ciò può consultare i siti internet della FAO o gli Enti Internazionali che studiano la fauna.

Tutte le istituzioni scientifiche hanno riconosciuto impossibile il ritorno al passato: ed è molto incerto se gli sforzi potranno evitare il peggioramento dell’oggi.

E’ vero che l’accelerazione impressa alle modifiche dell’ambiente naturale in questo ultimo secolo è impressionante, ma questo non è un fenomeno nuovo: l’e­voluzione dell’uomo è fin dalla preistoria causa di modifica dell’equilibrio ecologico.

In proposito occorre tener presente che le scienze naturali hanno eviden­ziato che l’equilibrio tra le specie viventi e tra queste e l’ambiente è precario e dina­mico, per cui ogni variazione (anche dovuta a cause naturali come alluvioni, siccità, ecc.) provoca “a cascata” una serie di mutamenti.

Tuttavia il maggiore responsabile di alterazioni è sempre stato l’uomo, perché il successo biologico della specie umana (padrona della terra) è derivato dal­la sua capacità intellettuale che gli ha consentito prima di conoscere le leggi della natura, e poi di “violentarla”, per migliorare le sue condizioni di vita.

Il cacciatore è stato nomade (fino all'”invenzione” dell’agricoltura e alla domesticazione del bestiame) perché il nomadismo è una necessità indotta dall’impo­verimento dei terreni di caccia, sottoposti ad eccesso di pressione venatoria.

Con l’invenzione delle armi e degli strumenti da caccia, l’uomo divenuto predatore, (da preda che era) ha rotto l’equilibrio naturale, perché ha avuto la possi­bilità di esercitare un prelievo venatorio che in breve tempo supera la capacità ripro­duttiva della selvaggina.

Quando con l’agricoltura (circa 16.000 anni fa) l’uomo cacciatore nomade è divenuto sedentario-agricoltore, la situazione è peggiorata perché, come tutti sanno, l’agricoltura non solo è la prima nemica della fauna naturale ma anche incide for­temente sulla biodiversità e sull’ambiente.

Infatti, l’agricoltura oltre a operare profonde trasformazioni del suolo (ara­tura, deforestazione, irrigazione irrigimentazione delle acque e delle piogge), si avva­le di imponenti modificazioni genetiche: solo grazie all’ibridazione e alla pressione selettiva genetica, l’agricoltura e il bestiame domestico sono divenuti una risorsa ali­mentare.

Migliaia di specie vegetali e animali si sono estinte nei millenni e il feno­meno non potrà essere arrestato: lo sviluppo compatibile, se concretamente attuato, potrà solo ritardare questi fenomeni.

E dunque, oggi che in Italia la fauna cacciatile è tutta prodotta in alleva­menti intensivi (finanziati solo dai cacciatori), la caccia non sottrae nessun bene alla collettività e non lede la biodiversità, perché gli animali allevati artificialmente non so­no comunque in grado di riprodursi (privati dei mangimi arricchiti con proteine, vitami­ne, ormoni, antibiotici sono sterili e non sopravvivono all’inverno).

In queste condizioni oggettive, vietare la caccia non varrebbe a ricostituire la biodiversità (impossibile per le ragioni esposte), ma avrebbe solo l’effetto di far chiudere gli allevamenti, e dirottare all’estero i cacciatori italiani, con danno economi­co per il paese.

Unico modo per ricostituire l’ambiente naturale rimpianto dagli ecologisti (e solo parzialmente perché molte specie sono estinte), sarebbe di riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, riducendo la popolazione attuale (quasi 7 miliardi di anime) al miliardo scarso della fine dell’ottocento, con simmetrico abbassamento della qualità e delle condizioni di vita!

Anche i riferimenti degli ecologisti alla normativa che tutela l’ambiente agro-silvo-pastorale sono inappropriati perché questa ha ad oggetto la salvaguardia della selvaggina naturale (quella che è ormai scomparsa) e non può riguardare gli animali di allevamento che sono fuori dai cicli naturali (come gli animali da cortile).

Analogamente la normativa che tutela il paesaggio visibile (spazio e am­biente) riguardai beni collettivi primari (acqua, aria, suolo, ecc.) solo sotto l’aspetto della prevenzione di danni alla salute, cioè cose che non hanno nulla a che vedere con la caccia.

Vedi anche gli articoli che seguono

 

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1 Comment

  1. scaramuzza lucio

    SONO SOSTANZIALMENTE D’ACCORDO CON IL FATTO CHE LA CAUSA PRINCIPALE DELL’ESTINZIONE DI MOLTE SPECIE ANIMALI SIA L’ANTROPIZZAZIONE.
    Mi domando però visto che buona parte dell’Appennino é stato completamente abbandonato dall’uomo e l’unica cosa che sta crescendo è il bosco ,non si potrebbe pensare di ripristinare un po’d’ambiente adatto alle specie animali che una volta lo popolavano?
    Tentativi molto ristretti e poco significativi hanno dato risultati interessanti .
    Esistono migliaia forse milioni d’ettari abbandonati e quindi disponibili ad essere “coltivati” per produrre selvaggina, certo la cosa più facile sono gli ungulati di qualsiasi genere,ma secondo me esiste anche la possibilità di ripristinare un ambiente adatto a reintrodurre sia la starna sia la pernice rossa. a condizione che diventi un prodotto di proprietà esattamente come tutti i prodotti “coltivati” sui terreni
    SI TRATTERREBBE DI UNA GRANDE SCOMMESSA DIFFICILE DA VINCERE, MA NON IMPOSSIBILE

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