-Ho bisogno di un fagiano per questa sera, ho gente di riguardo! – e sorrise come sapeva sorridere maliziosamente lei, rintuzzandomi tutti i “ma” ed i “se” che mi venivano a fior di labbro.

Un fagiano? E dove potevo trovarlo? Era il primo anno che cacciavo con la patente, ma ancora non ero andato più in là del merlo e del tordo e di una leprottina che avevo spadellato proprio sulla strada maestra.

Come spinto da una forza maggiore, m’incamminai verso Poggio Asciutto, la riserva di caccia più prossima e che era ben fornita di nobile selvaggina; giunto al primo sbarramento dei cartelli, presi a destra, tenendomi fuori con speranza di far volare qualche fagiano dai boschetti di confine. Cacciavo con un vecchio venti e con cartucce a pallini, fatte da me senza precisione e senza cura e sostituivo il cane, che mi mancava, con il continuo lancio di sassi sulle macchie di verruche e di quercioli, ma nulla. Solo qualche merlo ogni tanto schizzava via dai forteti, facendomi sussultare dall’emozione. Ero avvilito: che figura avrei fatto con la Licia che forse mi stava aspettando, seduta sul muricciolo del ponte in dolce riposo?

Assorto in questi pensieri, ero intanto penetrato senza accorgermi nella bandita e mi stavo accostando a una radura. Ancora sassi, fra scheggiamenti: ad un tratto un cococòcò  poderoso, proprio tra i piedi ed un violento fruscio d’ali.

Un bel maschio s’era inalberato magnifico contro i raggi del sole, tremante imbracciai, cercando nervosamente i grilletti, che tirai quasi contemporaneamente. Uno scoppio in mille echi risuonò sotto la volta degli alberi. Il fagiano colpito di fianco, solamente ferito ad un’ala, fece una lunga parabola ed andò a cascare , in un ripiano seminato, sopra la radura. Appena toccato terra si rialzò sulle zampe e pedinando velocemente a collo ritto, andò a rimettersi in una piccola fossa isolata, coperta da due ceppaie di ginestre. Era mio. Saltando come un capriolo fossi, macchioni, tronchi d’alberi, raggiunsi il punto dove l’avevo visto nascondere, ansante lo cercai tra il groviglio delle radiche, lo trovai, lo toccai, lo ripresi, mi fuggì via per la discesa ad ali aperte, trascinando la superba coda, senza quasi toccare il seminato; per fortuna avevo già ricaricato e due colpi bene aggiustati lo fecero ruzzolare a zampe per aria, tra un nuvolo di penne dorate. Lo raccattai con voluttà, lo soppesai, gli passai una mano dalla testa alla coda, per ricomporre le penne fuori posto, per la caduta violenta ed il passaggio veloce del piombo.

Ero veramente felice, lo passai dietro alla schiena, nella larga tasca della cacciatora e mi mossi per tornare indietro. Ma ohimè ! sulla poggiata di faccia, da dove ero venuto, una figura ben nota mi agghiacciò il sangue: il Guardia. Ero in un serio pasticcio.

Come finì?

Romano, vi rimanda alla prossima puntata…

Aldighiero Batini  – In bocca al lupo  – Editoriale Olimpia, 1941