L’amico Moreno con un cane che non scorderà.

Il cane è stato il primo animale ad essere domesticato per la straordinaria capacità di adattamento ereditato dal suo progenitore (probabilmente il lupo) e per la sua plasticità neuronale che, essendo assai sensibile alla pressione selettiva, consente di produrre individui adatti all’uso voluto.

Il cinofilo allevatore amatoriale del cane da ferma da lavoro, nella selezione non può che seguire criteri pragmatici: accoppiamenti tra quei soggetti che da confronti sul campo risultano più dotati, e controllo successivo sull’esito dei prodotti attraverso altre prove sul campo fino ad individuare i migliori riproduttori.

Poiché la prova comparativa sul campo è l’unico sistema attendibile per verificare la “resa venatoria” dei cani, è essenziale che l’ambiente faunistico nel quale essa si svolge, sia ampio, omogeneo, con starne naturali presenti (ma non abbondanti) e nel quale sia possibile ripetere tutti gli esperimenti necessari.

Oltre ad essere un laboratorio per verifiche, sperimentazioni e confronti, l’ambiente faunistico ha un’importanza determinante per l’iniziazione e la maturazione (precoce) dei giovani cani, perché la loro tecnica venatoria sarà più o meno raffinata a seconda delle difficoltà ivi incontrate.

In Italia le condizioni descritte sono venute meno con l’estinzione della starna italica, e io come allevatore amatoriale, dopo molte delusioni, solo negli ultimi venti anni ho trovato nelle sterminate steppe dell’Est Europa una grande riserva che è stata quanto di meglio potesse desiderare un cinofilo.

In quell’ambiente vasto ed omogeneo, quasi privo di vegetazione, con starne naturali diffidenti ed irregolarmente sparse, l’iniziazione dei cuccioloni risulta sorprendentemente rapida e costruttiva, le prove e i confronti in condizioni ideali consentono di individuare velocemente e con sicurezza i soggetti più dotati (in base al rapporto tra ferme realizzate da ciascuno ed errori commessi, quali sfrulli o trascuri).

In questi lunghi anni ho potuto fare colà delle esperienze altrove impossibili, e la qualità dei cani allevati ne è risultata significativamente migliorata.

Tra i fenomeni che colà ho potuto constatare, mi pare interessante segnalare quello che definirei come “ferma utile”, cioè uno speciale modo di fermare i selvatici da parte di alcuni (pochi) cani tale da “obbligarli” alla difesa passiva dell’immobilità a terra, senza involarsi o pedinare, come spesso avviene prima dell’arrivo del cacciatore, consentendo a quest’ultimo di portarsi a distanza utile per concludere l’azione venatoria, che chiamerei “ferma utile”.

Mi rendo perfettamente conto dello scetticismo che susciterà questo fatto (ma i cani dotati di questo talento riescono a fare queste ferme con percentuali statistiche costanti superiori alla media di altri cani, confermate in più volte e nelle più varie condizioni), perché ciò mette in crisi il diffuso convincimento che la reazione del selvatico successiva alla ferma non dipende dal cane, obbligando a ripensare il concetto stesso di ferma.

A mio parere occorre prendere atto che la ferma non è solo una reazione automatica del cane all’emanazione del selvatico, percepita attraverso la potenza olfattiva, ma è l’esito di un processo assai più complesso, rivelatore di un talento, ancora poco conosciuto, che consente a chi ne è dotato di INFLUENZARE il comportamento del selvatico fermato.

Poiché la “ferma utile” esalta la “resa venatoria” del cane da lavoro, mi sono sforzato di capirne il meccanismo per cercare di stabilizzarla ereditariamente con una pressione selettiva (accrescitiva o direzionale), ma non sono riuscito a conseguire alcun risultato concreto.

Solo in negativo, posso dire che questa dote non dipende dalla potenza dell’olfatto, né dall’esperienza, né dalla distanza alla quale viene fermato il selvatico, né da altre condizioni contingenti (vegetazione, vento, stato del selvatico).

Aggiungo che essa è assai poco sensibile alla pressione selettiva, perché si trasmette per via ereditaria, ma in modo capriccioso e imprevedibile.

Ipotizzo che possa trattarsi di una forma particolarmente sviluppata dell’istinto venatorio comune a tutti i cani (in varia misura), analogo al senso del selvatico, o al senso dell’orientamento.

Poiché nell’intelligenza del creato nulla avviene per caso, è plausibile ipotizzare che essa vada ricondotta al rapporto che corre in natura tra predatore (antenato del cane) e preda, le cui rispettive tecniche offensive e difensive sono improntate a criteri di compatibilità, finalizzati alla sopravvivenza di entrambe le specie che spiegano la coevoluzione simmetrica di valori adattativi.

In questa ottica il cane che possiede talento riesce a modulare la propria azione in modo da vanificare le normali tecniche elusive e difensive della preda determinandone la reazione nel senso voluto dell’immobilità a terra.