CACCIATORI DI MONTAGNA, DI BECCACCE E BECCACCINI

Il più felice non è assolutamente chi ammazza di più ne tantomeno chi trova di più e neanche chi ha i cani migliori, il più felice è semplicemente colui che trae il maggior godimento e divertimento nel trascorrere il tempo nel bosco o in montagna dietro la coda del proprio cane inseguendo le prede desiderate…….."magari in solitaria nel più alto rispetto di chi e di cosa lo circonda"

Finita! di Adelio Ponce de Leon

ADELIO-PONCE-DE-LEON

C’è un momento triste nei tuoi giorni in cui ti dici… Ho superato i novant’anni e comincio a sentirmi vecchio. Una notte nel letto, prima di chiudere gli occhi, mi sono detto: “È finita!”. Mi sono sempre ritenuto un cacciatore secondo a nessuno. Ma ora ho superato i novant’anni e improvvisamente mi sono sentito vecchio. Al Palazzo di giustizia, durante una delle ultime arringhe, mentre stavo difendendo un imputato avevo tra le mani il codice e mi accingevo a leggere una di quelle massime della Cassazione scritte in corpo piccolissimo in calce agli articoli.

Non distinguevo i caratteri e, sorpreso, ero riuscito a leggere solo quando un collega mi aveva passato occhiali con potenti lenti. Per me, abituato a vedere un moscerino a cinquanta metri, era stato un duro colpo. La sera dopo, nel circolo degli amici cacciatori parlando di una eventuale apertura a coturnici nelle Alpi Marittime, in tema di scommesse mi sono trovato davanti a un giovanottone di venticinque anni, un atleta che sprizzava forza e vigore da tutto il corpo, il giovane Zanetti.

Guardandolo mi sono sentito vecchio. In settimana avevo avuto notizia da Alfredo De Sanctis da Valencia che aveva fatto un ottimo carniere di pernici in un pjeo a Talavera della Reina nella vecchia Castiglia, e dall’amico Romano Pesenti che nelle Alpi bergamasche aveva centrato un forcello districandosi tra i rododendri. Cacce amate, ma per me ora solo un sogno. “È proprio finita. – mi sono detto – Non potrò più competere con tipi come quelli lì. I muscoli, l’occhio, i riflessi non sono più quelli di un tempo” e mi sono avvilito. Mi sono specchiato e mi sono sentito decrepito.

Sì, cammino ancora, tento di penetrare nei boschi, mi trascino dall’alba al tramonto, ma l’agilità per inerpicarmi sulle vette o saltare un fosso dove la ritrovo? Proverò ancora le sensazioni delle attese, delle battute, dei tiri, dei tramonti e delle aurore, del freddo pungente o del caldo opprimente, della natura nascente o morente? Vivrò solamente di ricordi. Chi avrà più la forza di fare due o tre volte il giro del laghetto di Bardello per ribattere un beccaccino alla borrita, di imbracciare il fucile all’alba e di tenerlo così fino al tramonto, senza nemmeno fermarsi, senza mangiare, come facevo con mio fratello Eustachio negli anni d’oro della giovinezza nella riserva di Tradate? Oggi mi commuovo dinanzi a un animale ferito, preferisco ascoltare i canti e i versi degli abitanti dei boschi piuttosto che cacciarli, amo più fotografare che uccidere, mi eccita più il lavoro del cane che la conclusione tragica dell’azione. A novant’anni è finito l’atleta cacciatore, è finito Mitraglietta, è finito Grilletto Facile che aveva conquistato gli appellativi sul terreno di caccia. Quando si comincia a raccontare, a scrivere, a ricordare che la caccia è proprio finita. Mi sono rimasti tanti ricordi che portano solamente con loro una punta di tristezza. Si può essere ed essere stati? Posso solo rivivere tutte le ore vissute a caccia. Anch’io avrò la rassegnazione di chi caccia ancora malgrado la vecchiaia che tarpa le gambe e vela gli occhi? È arrivata l’ora sinistra, quando rileggerò le mie avventure con sguardo triste e vacillante, gli occhiali sul naso, i piedi nelle pantofole, una papalina in testa e l’animo tutto martoriato di rimpianti, di sconforti, di invidie. Appena ci penso mi rattristo perché in fondo un cacciatore cosa rimane a fare al mondo, se non potrà più cacciare?

È un pensiero che mi pongo spesso con rabbia. Purtroppo è arrivata l’implacabile vecchiaia; quando il fucile sarà troppo pesante altre mani lo porteranno per me. Nei mattini freschi di ottobre, a pernici, quando i miei doppietti di un tempo non saranno che vecchi ricordi, andrò a vedere i giovani, nascosto in un fossetto dietro una siepe.

Vorrei ancora andare a beccaccini per vivere accanto a un giovane, con il pensiero, le cacce d’un tempo, per consigliarlo secondo il vento, la pastura più giusta, la direzione, per vederlo rientrare la sera con il carniere pieno, il passo stanco, ma lo sguardo felice.
Non mi resta che aspettare nella vecchia casa avita quel profumo della caccia che conobbi, quando ero in fasce, cullato dalle donne di casa, perché gli uomini erano partiti per il fronte subito dopo il passaggio del Piave il 24 maggio.

Ma è proprio finita? No, non è così. Una telefonata di Sergio Senesi, famoso white hunter africano, mio compagno di avventure nelle savane e nelle foreste, invitandomi ad un safari in Namibia al leopardo ha svegliato il bacillo del mal d’Africa che mi aveva avvinto dai tempi della giovinezza.
“Perché proprio al leopardo?” chiesi a Sergio.

“Thomas Verner, il farmer concessionario della caccia nella sua tenuta, qualcosa come quarantamila ettari, mi ha telefonato che il leopardo, protetto negli anni, è aumentato a dismisura facendo strage di gazzelle, impala, kudu, zebre, gnu e anche di piccoli di pachidermi, tanto che il Governo gli ha concesso la caccia al felino in una severa e giusta selezione. Coronerò il mio sogno di aggiungere ai miei trofei quello del leopardo. Prepara il passaporto, ti prendo io il biglietto. Partenza tra 15 giorni”.

“Ma, come faccio alla mia età con le gambe sempre più pesanti?”.

“Basta non rompere! Thomas mi ha imposto di portare anche te, il suo caro old friend con il quale ha passato tante gioiose giornate”.

“Sai che in tanti safari non ho mai sparato al leopardo, anche quando mi è venuto a tiro perché mi sono sempre rifiutato di sparare a un felino così nobile e soprattutto raro”.

“Piantala. Thomas ti isserà su una postazione durante la battuta mentre i safaristi seguiranno nella foresta la muta dei forti molossi dietro al leopardo in fuga. Non preoccuparti per l’arma, Thomas ti consegnerà un 300 Weatherby che i professionisti chiamano familiarmente ‘fermatutt’. Sai, se per ogni evenienza ti si avvicina un animale feroce”.

Quando mostrai il biglietto per la partenza mia moglie, furente, mi gridò: “Se vai in Africa, malridotto come sei, cambierò la serratura della porta di casa e tu troverai un posto al neurodeliri”.

Ma il richiamo dell’Africa era troppo forte e partii.

tratto da “IL CACCIATORE ITALIANO 02/2009”

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1 Comment

  1. fulvio brioschi

    la èassione è iò vero motore della vita, vissuta,

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