
Pernice rossa. Fotografia di Marco Marchetti
Lo scorso anno causa pandemia a caccia ci siamo andati poco, e questo ha consentito la sopravvivenza di qualche capo di selvaggina stanziale, immessa la scorsa primavera. Partendo da questo aspetto e tenendo in considerazione che quest’anno questi superstiti hanno prodotto un paio di covate, con alcuni amici abbiamo cominciato a ragionare che se all’apertura andiamo ad abbatterle non rimarrà più niente, fatto consueto da almeno 50 anni, ma che sarebbe opportuno e tempo di provare qualche scelta diversa.
Partendo da questi presupposti, la settimana scorsa abbiamo fatto un incontro con una ventina di giovani cacciatori. Abbiamo parlato di questi aspetti, partendo dal sottolineare di quanto sia complicato creare un ceppo di selvaggina ben ambientata nel territorio, che dopo la liberazione riesca a sopravvivere ai predatori naturali, falchi, volpi ecc. Quando poi si ha la fortuna di avere una nidiata, distruggerla in un paio di giorni di caccia è veramente un perpetuare un rito che tutti conosciamo e che ha portato solo all’evolvere verso lo pseudo selvatico pronta caccia.
Il confronto dei risultati, perdita di capi liberati a causa delle difficoltà di ambientamento, “fame e nocivi”, hanno convinto molti che è più produttivo cacciare selvaggina liberata dalle cassette cinque minuti prima, cosi che non subiscano perdite per fame e predatori e i capi risultano tutti sparabili, piuttosto che fare quel notevole investimento di tempo e denaro per liberarla nel territorio a caccia chiusa. La soddisfazione certo, lascia molto a desiderare.
Purtroppo, questa mentalità di “consumo” si è diffusa tra i cacciatori in quanto non c’è stata anche da parte delle associazioni venatorie una corretta educazione al rispetto e salvaguardia della selvaggina, e tuttora perpetuano il lancio pronta caccia, consolidando la mentalità del “ tanto la settimana prossima ne liberano ancora, e poi se non l’ammazzo io lo fanno gli altri”.
Ma i tempi stanno cambiando e la mentalità sulla conservazione della natura, del territorio, è ora un bene comune diffuso nella società e se vogliamo che la caccia continui a coesistere serve un cambio di mentalità che tutti dovrebbero sostenere.
Cosi dopo una buona pizza, abbiamo cominciato la serata impegnata, partendo dalla considerazione che liberare selvaggina di allevamento nel tentativo di farla diventare selvaggina vera è un’impresa difficile che comporta un notevole impegno e normalmente produce scarsissimi risultati.
Infatti per ripopolare un territorio, la selvaggina d’allevamento innanzitutto, dovrebbe essere scelta in allevamenti che la crescono in maniera mirata allo scopo di produrre selvaggina che dovrà ambientarsi sul territorio e riprodursi, ma spessissimo l’obiettivo dell’allevatore è invece rispondere al mercato, che chiede “selvaggina pronta caccia”.
Faccio un paio di esempi per evidenziare come servirebbe allevare, per avere selvaggina destinata ad ambientarsi e riprodursi: intanto ai giovani pollastri in allevamento, oltre al mangime solito, servirebbe somministrare anche delle crusche e mangimi ricchi di fibre in maniera tale che quando vengono liberati lo stomaco e l’intestino siano già abituati a digerire ciò che è reperibile in natura, altrimenti sconteranno un periodo di deperimento; poi, parlando di fagiani costretti a vivere sempre per terra in allevamento, sono differenti da quelli abituati a dormire sui posatoi. Mi spiego meglio: quelli abituati a dormire sui posatoi, in natura cercheranno da subito di dormire sugli alberi, quelli allevati a terra, ci metteranno un po’ a capirlo e quindi, stando a terra la notte sono facile preda delle volpi, soprattutto in questo periodo che hanno anche la prole da allevare. Bisogna quindi, scegliere selvaggina da allevamenti dove si alleva con questi criteri e non tutti gli allevatori hanno le conoscenze appropriate, o l’interesse per farlo.
Immettere in natura nel periodo fine del mese di giugno, dei giovani che abbiano superato i cento giorni dalla nascita, è la scelta più opportuna perché sul territorio è presente il massimo dell’alimentazione che per i pollastri in questo periodo è composta soprattutto di proteine, “ insetti e primi semi”; inoltre, hanno più capacità di adeguarsi al nuovo habitat. Importantissimo è poi, scegliere terreni dove l’acqua sia facilmente reperibile.
Ovviamente, è indispensabile non braccarli da subito con i cani in quanto cambierebbero subito zona e non si ritroverebbero più dove sono stati liberati.
Spiegati questi aspetti abbiamo introdotto la proposta di astenerci dallo sparare alle covate nate in un determinato territorio e che hanno già superato gli aspetti dell’ambientamento, facendo per contro un’altra proposta, ovvero utilizzare questo territorio solo per addestramento cani e poi a caccia aperta, individuata un’altra zona andare a cacciare selvaggina, che sarà presente perché autotassandoci potremmo immetterla, nei prossimi giorni.
Con mia grande sorpresa e soddisfazione, la ventina di persone che hanno partecipato a questo incontro, erano tutte d’accordo. Abbiamo quindi, deciso di raccogliere del denaro per immettere in un’altra zona ulteriori fagiani da destinare all’abbattimento, rispettando la zona delle nidiate di quelli immessi lo scorso anno che si sono nel frattempo, un po’ inselvatichiti.
Non so esattamente come si evolverà questa situazione ma essere già d’accordo sul fatto che bisognerà evitare abbattimenti nella zona delle nidiate lo considero già un ottimo risultato.
Forse qualcosa sta cambiando nell’ambiente dei cacciatori… e se ciò succede nel Bresciano è possibile ovunque
Mirco Peli
Marco posarelli
Per ambientare selvaggina di allevamento credo che le Zone di Rispetto Venatorio, dotate di voliere ,poste all’interno di recinti di ambientamento, siano la via giusta. Ovviamente occorrono risorse finanziarie e volontariato da parte dei cacciatori, per i ceppi selvatici invece la strada più giusta sono le Zone di Ripopolamento e Cattura, ovviamente anche le ZRC vanno adeguatamente gestite e per questo occorrono sia risorse finanziarie che volontariato da parte dei cacciatori.
Nicola
Ottimo, però con cacciatori provenienti da altre zone/regioni come vi la mettete?
Maurizio mattei
Sono pienamente daccordo…..occorre una nuova strategia che tenga conto in prima battuta della salvaguardia del territorio. La gestione del territorio e della caccia come si fa in francia rappresenta un esempio da seguire……che da soddisfazioni a cacciatori e cani nel rispetto e nella piena conoscenza della preservazione delle diversita biologiche.
Dobbiamo far appassionare i giovani puntando in primis sulla cinofilia e poi sul motivo di fondo… cacciare di piu uccidendo di meno…..
Saluti
carlo aloisi
Non sparate alle femmine.a fine stagione un gallinaccio lo trovano