parata

Parata

 Venerdì pomeriggio, valloni di calanchi a sbalzo tra Bologna e Modena. Sono alla posta al cinghiale nel contesto di una “girata di piano di controllo”, su un poggio che domina la pianura padana a perdita d’occhio. La cacciata non è delle più fortunate e passo la giornata ad ascoltare via radio gli insulti dialettali tra due fazioni di fosforescentissimi canai che hanno perso definitivamente i loro ausiliari chissà dove, oltre l’invalicabile confine provinciale! Nel frattempo un bel sole mi scalda il sangue ed in maniche di camicia, mi godo, seduto sotto una quercia, il panorama e l’arrivo definitivo della bella stagione.

Quando ripenso a quella giornata, catalogo automaticamente le avventure e le immagini indelebili, tra i ricordi legati alla caccia invernale, eppure nonostante la fredda apparenza, ci trovavamo alla fine di un caldo, fiorito e profumatissimo mese di maggio.

A conferma di ciò appare un fagiano nel pieno del colorato corteggiamento e subito sparisce guardingo e vanitoso in mezzo ai fiori, poco lontano dai miei stivali. Più in là un giovane capriolo in corsa, rosso e già completamente “pulito”, mi da la conferma che l’estate è ormai vicina. La sera stessa, imbustato il fucile senza aver nemmeno sporcato la canna, cambio velocemente l’attrezzatura e passo da quella da spini a quella in loden in meno di un minuto, lanciandomi alla volta di Verona, dove l’amico Federico mi aspetta trepidante per andare in Austria. Lo accompagno per cercare di prendere il suo ambìto gallo forcello, entro la chiusura imminente, sperando, in cuor mio, di riuscire a scattare anche qualche bella fotografia. Abbiamo aspettato l’ultimo momento perché fino alla settimana scorsa le notizie dal territorio di caccia non erano entusiasmanti ed i tetraonidi non avevano ancora iniziato a “rugolare” come si deve! Tra me e me penso guidando “Non sarà freddissimo” a giustificazione del fatto che, per la fretta, nel borsone sono stato un po’ leggerino, con la faccia ancora bollente dalla tintarella presa al pomeriggio! Con due-tre storie africane del mio vecchio amico, mai stanco di progettare nuovi avventurosi viaggi, passiamo il Resia e tra un bufalo ferito e un leopardo scomparso tra le rocce… arriviamo ancora una volta nella casa di caccia alla base del ghiacciaio del Kaunerthal. Ci troviamo in uno spicchio di montagne molto ripide, tra la Svizzera e L’Italia, precisamente nella regione di Landeck: montagna vera al 100% con un bell’affaccio su un grande lago alpino che rende ancora più suggestivo il tutto. Il posto oramai lo conosco bene anch’io, nelle stagioni passate “il Fede”, come lo chiamo io, non ha risparmiato inviti e ci siamo spesso divertiti insieme. Non dimenticheremo facilmente i nostri due camosci nella neve di cui uno recuperato a notte fonda con il cane, qualche bel tiro al capriolo e alcune giornate estive ad attendere che le marmotte uscissero timidamente dalle tane, piazzati tra le rocce come degli autentici snipers! Un pizzico di nostalgia per quegli anni, perché è la sua ultima stagione in questa riserva, motivo per cui ho deciso di seguirlo nuovamente e di poter condividere anche la sua ultima preda, prima che scada definitivamente il contratto. Alla sera, preparando l’attrezzatura, non facciamo caso alle condizioni meteo, che tutto sommato non sembrano male e ci infiliamo nei tipici piumoni quadrati cercando di riposare un paio d’ore, visto che com’è noto, la sveglia in maggio per andare a galli suona impietosa tra le due e le tre in base a quanto si deve camminare per raggiungere la quota desiderata… Al mattino la sorpresa! Sta nevicando da ore e la coltre bianca di dieci centimetri e più ha ricoperto ogni cosa! Arriva Oussy a prenderci, esperto cacciatore locale, con la sua perennemente accesa sigaretta, addormentati ed increduli come siamo, immaginiamo che ci congedi presto con il suo classico “Tempo kaputt: schlafen” mimando con la mano il cuscino! Oussy invece con una smorfia quasi di sfida sentenzia “Pronti? Lets go!”. Noi ci guardiamo in faccia “Ve bene…lets go!” Sul sentiero, chino sotto lo zaino particolarmente appesantito dall’attrezzatura fotografica e sotto al grande poncio da pioggia, oggetto che ho sempre detestato per la sua capacità di farti bagnare di più all’interno che all’esterno, osservo il cammino silenzioso dei miei due compagni. I fiocchi pesanti e bagnati cadono incessantemente in un’atmosfera ovattata e surreale. Oussy davanti cammina col passo di un generale, mi arrivano le zaffate della sua senza filtro bagnata direttamente nei polmoni. Federico più intelligentemente di me è bello avvolto nel suo mantellone di loden custodendo all’asciutto la piccola Mauser in 22 Hornet, pronta a fare il suo dovere. Non posso non ripensare, come del resto ogni volta che percorro un sentiero di montagna, seguendo i passi silenziosi e carichi di speranza di chi mi precede, a quante migliaia ormai ne ho imboccati e ri-discesi di questi stretti percorsi tra la valli, tutti apparentemente uguali e tutti diversi. Ma ce ne fosse uno non faticoso? Ma ce ne fosse uno che non devi continuamente dirti “Arrivati lì su… poi ci siamo!” Non posso nemmeno non sorridere, rimembrando le gesta epiche di quei due amici comuni che dopo una camminata di tre ore, in condizioni analoghe alle nostre, si sono ritrovati nella buca circondata da cinque stupendi galli, a cercare di inserire le piccole munizioni calibro 22 dentro una carabina in 30.06, presa per errore dall’armadio al mattino, complice sì l’ora, ma indubbiamente anche la grappa della sera! Nel buio delle soste sibiliamo con l’accompagnatore a gesti. Vogliamo capire se secondo lui con tutta questa neve il canto dei galli non si sia arrestato e soprattutto se ne ha visti nei giorni precedenti. Lui fa “Ok” con le dita e ripartiamo su e su per un costone che sembra non finire mai. Alcuni stambecchi ci fanno strada nella neve per un breve tratto, poi risalgono più al sicuro nei loro territori. Arriviamo col fiatone nei pressi dell’arena, con un occhio rivolto sempre al cielo per evitare che l’alba ci sorprenda ancora fuori dal capanno. Lì un’altra buona notizia: con il peso della neve il riparo accuratamente preparato ieri da Oussy si è sfondato! Niente da fare, dobbiamo nasconderci alla meno peggio ognuno sotto ad un piccolo larice e… che Dio ce la mandi buona. Nemmeno il tempo di posizionarsi, ormai fradici fino alle ossa, che con le prime luci, le femmine (le “galline” come le chiamiamo in Trentino) cominciano, con canti d’amore, a svolazzare sopra le nostre teste, proprio sui rami degli alberi che ci offrono riparo. Il problema è che quando sono troppo vicini non ci si può più muovere, basterebbe un solo sfrullo per mettere fine a tutto questo incantesimo, che ci sta accerchiando magicamente, non facendoci più nemmeno sentire il freddo. Finalmente anche i maschi iniziano ad arrivare alla spicciolata con i loro potenti soffi, salti, combattimenti a mezz’aria e tutte quelle parate d’amore che avevo visto solo nei documentari, le ho ora davanti al naso! Belli, belli, belli come sono: neri e rossi stagliati sul bianco candido della neve appena caduta! Io sono senza parole per l’unicità del momento, mi rendo però conto che mi è impossibile muovere lo zaino per prendere il teleobiettivo e, il cominciare a scattare foto, sarebbe una vera pazzia! Pazienza. Oussy, dal canto suo è dovuto stare più di dieci minuti senza fumare e questo è già un evento che è valso l’intera giornata! Con la mano infreddolita girandosi di sbieco fa il cenno a Fede dell’indice sul grilletto come per dire: se riesci… “Schiessen!!”. Inizia la manovra dell’agile Federico che non è senz’altro la prima volta che si trova a dover togliere velocemente la sicura e fare fuoco. Ora però non si tratta più di abilità venatoria: è secondo me, davvero impossibile muoversi! Io stringo gli occhi per la paura che i suoi fruscii siano troppo bruschi, penso: “O non ho ancora capito niente dei forcelli, oppure tra poco voleranno via tutti. Infatti, da lì a un niente due femmine decollano veloci e nervose verso la sponda di fronte e dietro a loro tutta la combriccola di maschietti arrapati! Peccato. Era tutto bellissimo, ma la luce è ormai aumentata e le nuvole si sono un po’ alzate, sicuramente da lì non possiamo più muoverci se non per tornarcene a valle con le pive nel sacco. Lo sguardo di Federico è sconsolato. Quasi si scusa per avermi fatto fare tutta quella strada, senza rendersi conto che per me l’essere lì con lui immersi in quell’azione di caccia è già più che sufficiente. Chiaro che il gallo bagnato a questo punto l’avrei accarezzato volentieri, almeno per aggiungere al mio album dei ricordi un altro prezioso e sudato tassello. Oussy fuma nervoso, sbinocolando e pensando al da farsi. Osserviamo per un po’ l’arena sulla costa di rimpetto e ne approfitto, solo ora, per immortalare tre galli su una slavina che si contendono una femmina, ma molto lontani. A un certo punto però, la giornata ormai quasi finita, ci regala una sorpresa che ci ricambia della fatica e di quel pizzico di delusione per non aver incarnierato questo sofferto pennuto di montagna. Ecco che un altro maschio arriva in volo da un canalone e si rimette, dopo una lunga planata ricognitiva, su un panettone proprio sopra di noi. E’ un adulto che, facendo bella mostra della grande coda aperta, appunto a “forcella”, sembra voglia raggiungere l’arena, credendola probabilmente ancora dov’era rimasta prima del nostro invadente arrivo. Inizia a camminare sulla neve sospettoso ed emettendo rauchi fischi, dimostra tutta la sua potenza facendo vibrare minaccioso il bel piumaggio cangiante. Prende la nostra direzione arrestandosi alla bellezza di 160 metri telemetrati. Così di punta, il tiro è ancora più insidioso e nel 6×42 della piccola carabina, il bersaglio non è molto grande! “Tolta la penna ci resta sì e no una pallina da tennis da colpire!”, dice sempre mio padre. Per questo motivo si tentano generalmente tiri nel raggio massimo di ottanta-cento metri, anche perché le piccole palle 5,6 mm, oltre quella distanza calano vertiginosamente di traiettoria e  perdono parecchio potere d’arresto, ferendo inutilmente animali così resistenti e spettacolari come quelli. Fede non ne vuol sapere di stare ancora a guardare, si sdraia deciso nella neve: non mi da l’idea di aver intenzione di volersi scusare nuovamente per non esser riuscito a tirare! Oussy lo osserva come per dire “Se vuoi provare…siam venuti fin qui, prova” ma nel suo sguardo ci leggo, senza essere uno psicologo, un tantino di diffidenza nei confronti del giovane ed ora agguerrito cacciatore! Il tiratore non demorde, sistema ancora una volta l’appoggio posteriore e fa i suoi – non facili – conti: tra distanza, palla impiegata, taratura ed angolo di sito c’è un po’ da ragionare prima di tirare semplicemente il grilletto. Personalmente ho già visto in passato il mio compagno fare notevoli operazioni ”chirurgiche” alle marmotte, proprio con quel fucilino e so che posso ancora sperare bene, anche se questo tiro, in particolare, è davvero molto impegnativo. L’emozione è tanta e ci si mette pure il fagiano di monte a non stare fermo un attimo, esibendosi in salti ed acrobazie che avrei volentieri immortalato anch’io con la mia reflex! Alla fine di un volteggio eccolo che si arresta a terra impettito come un tacchino con la testa bassa verso la neve in una sorta di inchino: dai Fede ora è il tuo momento! Pam! Senza esitazione. La piccola esplosione, così attutita dalla fitta coltre di neve, nemmeno appare mortale, gli attimi sembrano arrestarsi, come per vedere l’esito di cotanta precisione, quasi-quasi ti sembra anche di vedere la palla che lenta ed inesorabile arriva, seguendo un filo invisibile, a destinazione… ed il gallo che scompare dietro alla collinetta in una nuvola di piume e neve, senza più apparire dalla buca dove è scivolato inerme, colpito perfettamente nel dieci! Bravo Fede! Ancora una volta Weidmansheil! Qui si dice davvero così! “Oussy offrimi una sigaretta che ‘sta volta fumo pure io, sempre che riesca a tenerla con questa mano ibernata e tremula!” Dimenticavo…ma non era quasi estate!?

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