Esercito la caccia alla beccaccia nell’Appennino tosco emiliano da oltre 45 anni ed ho cacciato con quasi tutte le razze da ferma con esclusione delle razze Continentali italiane, non perché queste siano inferiori alle altre, ma semplicemente perché non ho mai avuto occasione di possedere un soggetto appartenente a queste razze. Negli ultimi anni ho cacciato assiduamente con gli Epagneul Breton, una razza che allevo ed ho condotto in prove con successo, laureando diversi Campioni di lavoro, vincendo nel 2003 anche il secondo premio del prestigioso trofeo allevamento ENCI per le prove di lavoro.

L’Epagneul Breton – se di buona genealogia e bene addestrato – nella caccia allo scolopacide non è secondo a nessuno; è infatti una razza che bene si adatta al terreno boscoso, che con intraprendenza affronta gli spinai, è ottimamente collegata, ha grande venaticità ed è instancabile (può cacciare anche per più giornate consecutive). In questa razza ho notato grande intelligenza, dote indispensabile per avere un buon cane specialista. Come ho detto poc’anzi, se è di buona genealogia, ha una ferma solida e sicura. Oltre a ciò è facilmente addestrabile, dote grazie alla quale senza grandi difficoltà si riesce a distogliere dall’interessamento per selvaggina da pelo come il capriolo e il cinghiale, che specialmente nelle zone dell’Appennino sono abbondanti. Il riporto naturale – e soprattutto il recupero – nell’Epagneul Breton sono caratteristiche peculiari della razza.

Non credo che il cane da beccacce di oggi sia diverso da quello di quarant’anni fa: l’unica differenza, sta nella diminuzione delle specie cacciabili e nella reperibilità del selvatico, a causa di una caccia spietata e del disturbo continuato da parte di cinghialai che frequentano la pastura della beccaccia, che per potersi difendere, è costretta a nascondersi nei punti più impenetrabili del bosco. Ecco perché è indispensabile un soggetto che affronta con coraggio roveti e spinai, così come l’Epagneul Breton è naturalmente portato a fare.

Sicuramente la razza preferita dalla massa dei cacciatori è il Setter inglese, una razza antica, nella quale, nel corso degli anni, sono stati forgiati soggetti molto validi, ma spesso preferita dal neofita semplicemente perché – consultando materiale pubblicitario, trasmissioni televisive o cassette sulla beccaccia – vede quasi esclusivamente filmati di Setter Inglesi. Nelle poche riprese televisive per Continentali, vediamo Epagneul Breton riportare tordi e colombacci, mentre i Kurzhaar non si vedono quasi mai, come d’altronde le razze da ferma italiane, quasi fossero sotto-prodotti delle razze da ferma. Senza nulla togliere perciò al valore dei Setter, dobbiamo sfatare la convinzione che siano migliori delle altre razze come cani da beccacce. Personalmente posso comunque testimoniare di aver posseduto Epagneul Breton beccacciai, che mi hanno consentito di divertirmi e di fare carnieri invidiabili. Posto quanto ho già detto sulle qualità geneticamente ereditate di un buon cane da beccacce, altro fattore decisivo è la qualità del suo preparatore, che deve a sua volta essere un grande cacciatore, che riesce in tal modo a far immagazzinare al suo ausiliare un cumulo di esperienze formative che faranno di lui uno vero “specialista”. Accadrà così che anche in giornate particolari e dove la presenza del selvatico è scarsa, il cane riesce a fermare anche le più difficili. Analogamente l’intelligenza venatoria del buon cane da beccacce gli farà immagazzinare l’esperienza su dove reperire la “rimessa”, che – ripeto – non è solo frutto di potenza olfattiva ma di un quasi “sesto senso” che guida lo specialista là dove il classico tracciato di volo a “sette” ha determinato la rimessa.

Con ciò vorrei inoltre sottolineare che il grande “specialista” a beccacce si dimostrerà estremamente versatile anche in altre caccie. Sempre sul tema della versatilità dei cani da beccacce, oltre quarant’anni fa ho conosciuto Savino Pedrazzoli, allevatore di Pointer di Castelnovo né Monti, giudice ENCI, titolare dell’affisso di Bismantova che cacciava le starne nel Casarola e con gli stessi soggetti nel periodo autunnale cacciava le beccacce nell’Appennino Tosco emiliano a Montecagno e nel Ventasso. Ho potuto ammirare durante le prove a beccacce di Burgio, una femmina di Pointer condotta da Maccaluso: Miura della Porpora, il sogno di ogni cacciatore di beccacce; ebbene lo stesso soggetto in Andalusia, vinceva la batteria con il CAC e successivamente CACIT su pernici.

Per concludere, ritengo non vi sia una razza più adatta di altre per la beccaccia, ma solamente individui più predisposti. Per avere un buon cane, è basilare che nel bagaglio genetico di ogni singolo specialista vi sia intelligenza, venaticità, collegamento spontaneo e generosità nella cerca, che deve essere impegnativa anche in terreni duri e accidentati, ferma solida e sicura con recupero e riporto naturale di altissimo livello. Personalmente sono contrario a marchingegni elettronici, che hanno il solo scopo di fare abbattere qualche capo in più e non consentono di vivere quelle emozioni, che un soggetto trasmette nel periodo che precede la ferma: ma forse questa è solo la nota nostalgica di un cacciatore che – anche se con il passare del tempo non ha più la capacità uditiva di un giovane – prova ancora grandi emozioni nel sentire il campano da bosco tintinnare, fermarsi, ripartire, rallentare, per poi nel silenzio assoluto udire un battito d’ali, che rincuora il vecchio cacciatore e fa palpitare il cuore del neofita. – Relazione del Luglio 2011
TAVOLA ROTONDA IL CANE DA BECCACCE OGGI LA PROSPETTIVA MODERNA DEI COMPORTAMENTI DEL CANE SPECIALISTA