603491_371979132872913_206072864_nTutti i giorni il carniere annuale di un cacciatore italiano medio. Eccezion fatta, naturalmente, per chi caccia in riserva dove il carniere può viaggiare parallelo al portafoglio.

Il fatto è che il mattino, quando fa luce, se ti trovi in larghe sconfinate di pianura libera alla caccia in compagnia di decine di auto in ogni angolo e gli occupanti di quelle che ti guardano come se tu fossi un marziano, una ragione ci deve essere. Claudio è conosciuto, poco capito e discretamente snobbato; vederlo prepararsi alla battuta in territorio libero con una splendida doppietta finemente incisa, il doppio fischietto al collo e quattro setters scalpitanti al guinzaglio, non tranquillizza nessuno. Il quadro è composto da distese sconfinate di terre arate, intervallate da medicai già bruciacchiati dal primo freddo, qualche argine di canale, bordi di carraie e piccoli gerbidi a tratti parzialmente allagati.I cacciatori portano a spasso la pancia, lungo gli argini alti, in rigorosa fila indiana oppure procedono a rastrello, a cinquanta metri uno dall’altro, lungo le terre arate in compagnia di simpatici cani visibilmente imbarazzati dal contesto. Nessuno nei medicai.

Tutti molto lontano dal Claudio affiancato, si fa per dire, da quattro setters che galoppano indiavolati a distanza media di duecento metri da lui e tra loro, ignorandosi spiccatamente l’un l’altro.

Ti vien voglia di chiederti che roba è, visto che le tue quaranta licenze dovrebbero aiutarti a capire.
– Perché due pallettoni del tre in canna, da chi devi difenderti?
– Vedi – risponde – in questa situazione sparo solo sotto ferma; per inserire due cartucce dell’otto e servire i cani ho almeno cento metri di spazio: ho tempo ed è un gioco! Nel mentre, molto occasionalmente, può capitarmi di sparare una lepre che qualcuno ha messo in movimento e mi può sfiancare lontana; per questo giro con pallettoni in canna.

Taccio perché non ho voglia di rimarcare la mia coglionaggine ed osservo.

La ragione per cui sono qui è la curiosità di verificare se è vero quanto qualcuno mi aveva raccontato.

Lo spettacolo è veramente grandioso e la concentrazione all’inizio è fortissima. Come si fa a controllare quattro furie scatenate?

Tardo poco a capire.

Nulla di più facile; infatti tutti fermano sul serio e tutti consentono sul serio. Sono loro che ti segnalano dov’è il cane fermo, con sicuri ed espressivi consensi plurimi.

Se non vedi non capisci.

Cosa fermano? Qualche rarissimo quagliastro rimasto, un beccaccino, un voltolino o un frullino, naturalmente tutti rigorosamente selvatici e, raramente, un fagiano od una starna immessi quest’estate dall’ATC e sopravvissuta miracolosamente.
Selvaggina che non c’è, naturalmente, per gli altri e per coloro che per saccenza neanche si premurano di verificare.

Sono le nove del mattino e la rugiada incomincia ad asciugare; è l’ora di cambiare calzature, di consuntivo e di scambiare due chiacchiere. Sei quaglie, due beccaccini, due voltolini, uno precedentemente ferito ed un germano intestarditosi tra le canne; una quindicina di ferme con altrettanti spettacolari consensi plurimi ed una ventina di bossoli; sicuramente il triplo degli altri cinquanta cacciatori insieme. Adesso che hai visto capisci che non solo è possibile e vero, ma giusto e razionale anche sulle basi delle tue esperienze venatiche e cinotecniche; ti sovviene che la teoria deve fare i conti con la pratica ed è quando questa manca che metti in dubbio anche la teoria più logica. Di chi la colpa?
– Quando cacci in Argentina o in Spagna – bleffo – come fai?
– Così! – ribatte – e poi lo sai; non hai cacciato molte volte con me in Marocco o in Romania?
Ci pensa lui a togliermi dall’imbarazzo. – Piuttosto, hai tempo per un paio d’ore ancora? – mi apostrofa; – No, guarda – mentisco – alle 11 devo essere a casa ma vai che ti osservo ancora dieci minuti dall’auto.

Nessuno spazio per i convenevoli perché, intanto che noi cazzeggiamo, un cane e’ caduto nuovamente in ferma, là in fondo sulla sinistra e gli altri si sono snocciolati in consenso in ordine sparso. Osservo che va in là, armeggia con le solite due cartucce, parla ad alta voce, supera un cane dopo l’altro in consenso, gli si rivolge con complimenti e buffetti sulle orecchie, si piazza ai duecento metri su quello fermo e, dopo qualche attimo, vedo il fuoco della fucilata in controluce precedere di un istante il colpo. Gesticola ed immagino che parli ad alta voce con Radentis Dido o Volpina intanto che porta, mentre gli altri arrivano precipitosamente a tentare di contendere inutilmente qualcosa. Metto in moto, aziono fragorosamente il clacson e mi avvio.

Lungo gli argini osservo qualche cacciatore che deambula ancora, giustamente sconsolato, davanti al suo cane deluso;- sempre meglio di me – rifletto che oggi porto a spasso una penna biro.

Quanto è vario il mondo; quanto è difficile capire; quanto è bella quella caccia che pratico sempre meno.