Quando i primi bianchi giunsero nell’America del nord incontrarono popolazioni che avevano della vita un’idea completamente opposta alla loro. Nella cultura materiale ciò era particolarmente evidente nella concezione della caccia. Nella varie zone del continente l’agricoltura era abbastanza sviluppata ma sicuramente, all’arrivo dei bianchi, la maggior parte degli indiani viveva di caccia e raccolta, integrando a volte il loro nutrimento con prodotti degli orti e dei campi. Generalmente l’uomo cacciava e la donna l’aiutava macellando l’animale, conservandone la carne e conciandone le pelli; le donne, che erano anche le proprietarie delle abitazioni e dei beni, raccoglievano i prodotti del bosco o curavano gli orti e i campi coltivati.

Naturalmente questa suddivisione dei compiti non era così rigida, in quanto a volte gli uomini si occupavano di aratura, scavi e irrigazioni, soprattutto nei territori aridi del sud ovest. Gli indiani cacciavano per la carne e per le pelli che, prima dell’arrivo dell’uomo bianco, costituivano la totalità dei loro indumenti.

Il continente americano a nord del Messico era abitato da circa 8/10 milioni di persone, che si spartivano un territorio immensamente ricco di risorse venatorie. Prima dell’arrivo dell’uomo bianco, la quantità di selvaggina era praticamente inesauribile e le tribù, composte anche da migliaia di persone, vivevano in una grande abbondanza. In seguito, però, quando la pressione dei bianchi e il continuo restringimento delle zone di caccia si fecero più pressanti, le tribù di cacciatori cominciarono a suddividersi in piccole bande composte da alcune famiglie, per avere più possibilità di trovare le prede durante la stagioni favorevoli.

La selvaggina cacciata differiva dall’ambiente e dalle latitudini. Nella zona del nord est era composta da alci, caribù – nelle parti più settentrionali – cervi, castori, procioni, scoiattoli, topi muschiati, moffette, orsi e bisonti delle foreste. Nel sud est bisonti, orsi, tacchini e una grande varietà di uccelli selvatici finivano nelle pentole degli indiani, assieme anche a numerose tipologie di pesci. Nelle pianure, invece, la selvaggina più importante era il bisonte, presente in decine di milioni di esemplari; gli intrepidi cavalieri delle praterie, che ebbero il cavallo solo verso la fine del 1600, e che fino ad allora avevano cacciato il grande animale a piedi, a volte facendo precipitare grandi mandrie in profondi burroni, non disdegnavano neppure le antilopi, i grandi alci americani presenti nelle verdi vallate dei fiumi, e gli orsi, cacciati solitamente da individui isolati.

Negli aridi territori del Grande Bacino si cacciava il cervo, l’antilope e la lepre nord americana (jackrabbit), e molti altri animali di piccola taglia come moffette, pecari dal collare, serpenti e lucertole. Nel sud ovest degli odierni Stati Uniti, gli animali preferiti dai cacciatori indiani erano il cervo, l’antilope, il coniglio, il tacchino e nelle zone marginali orientali ancora il bisonte. Nei grandi altipiani del nord ovest, prima dell’arrivo dell’uomo bianco si cacciava il bisonte, presente sporadicamente ma in grande numero nelle valli; l’alce americano, le antilocapre, le capre di montagna, il grizzly, i castori, i lupi, le lepri e molti altri piccoli mammiferi, oltre a innumerevoli razze di volatili. Infine, gli ingegnosi cacciatori-raccoglitori della California e delle alte sierras cacciavano cervi, conigli, quaglie e altri volatili, mentre più a nord i popoli del totem cacciavano balene, leoni marini, foche, focene e lontre marine dalla preziosa pelliccia, spingendosi sin nel mezzo dell’oceano Pacifico.

Per i nativi la terra e tutti i suoi doni, animali, minerali e vegetali, non erano soggetti ad una proprietà univoca ma erano essenzialmente di utilizzo comune. Naturalmente esistevano diritti di caccia delle rispettive tribù e nazioni in un dato territorio; e anche diritti di bande e clan sul territorio di una stessa tribù: ma la terra non appartenne mai, se non in tarda epoca, a singoli individui. Quando l’accerchiamento dei bianchi cominciò a ridurre i territori indiani, anche la selvaggina cominciò a sparire e la distruzione della fauna americana raggiunse vertici impensabili e catastrofici. I bianchi alterarono completamente la cultura nativa e la caccia, attività predominante per centinaia di nazioni, fu la prima a mutare. Prima dell’arrivo dei bianchi i cacciatori indiani utilizzavano armi primitive e cacciavano essenzialmente per nutrirsi e vestirsi. Con l’arrivo dei mercanti bianchi l’equilibrio si spezzò e gli indiani cominciarono a cacciare per scambiare pelli con i manufatti europei, soprattutto armi e attrezzature per la caccia, in una spirale sempre più distruttiva per la selvaggina. Inoltre, sin dai primi anni della conquista europea quasi ovunque, tranne che nelle aree più marginali, cominciarono a scomparire anche le ritualità ancestrali e sacre con le quali si erano avvolte le procedure e le tecniche della caccia.

I cacciatori indiani, per l’attività venatoria, usarono nella loro storia una pletora di armi e utensili, che variarono secondo la situazione culturale delle rispettive tribù e la relativa diffusione spazio temporale. L’arco, ad esempio, un’arma che in epoca storica era utilizzata praticamente da tutti gli indiani, penetrò nel nord America molto lentamente, in un arco di tempo che va pressappoco dal 3000 A. C. all’800 della nostra era; penetrò negli odierni Stati Uniti dal Canada intorno al 500/600 dopo Cristo e si diffuse nel continente nord americano da nord a sud soppiantando per la caccia e la guerra l’atlatl, il micidiale lanciatore di derivazione meridionale.