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“baièti” o latrati nelle Pertiche di Valle Sabbia da la Caccia nel Bresciano di Carlo Sabatti

Parlando delle Pertiche, lo storico Ugo Vaglia nel 1947 riferì la stória dei baièti o latrati, collegati a misteriose battute di caccia. U. VAGLIA, Curiosità e leggende valsabbine, pp. 156-158.

Piccoli casolari pastorizi si vedono per le coste montane e fin sotto le vette, ma sono abitati solo dai mandriani nei tre mesi dell’estate. D’inverno, quando la montagna è tutta bianca, le pozze sono di ghiaccio e il vento ti gela la faccia, tutti ritornano nel paese ove con la terra e le case si preparano alla lotta consueta contro l’imperversare della stagione. Si tappano nelle stalle e pare che là dentro impigriscano in minuti trastulli […].

Il lavoro dei campi e dei monti è finito; la casa è fornita di farina, di castagne e di formaggio, e l’occupazione invernale, più che un mezzo di campare la vita, ricrea la breve giornata e la sera più lunga. Le donne lavorano all’aspo e tessono ed orlano; gli uomini riparano le avarie della casa, riassettano gli ordigni, perfezionano le loro capacità. Fanno mestole, forchette, cucchiai, zangole per sbattere il burro, ciotole ed aspi. […l Non di rado la serena e pacifica occupazione è interrotta e turbata da latrati che giungono in lontananza. “Sono i baièti!” Le ragazze si fanno smorte; altri ridono. Ma in paese i “baièti” sono molto radi. Più frequenti, specialmente per l’addietro, nelle notti dall’agosto al dicembre, si udivano presso cà Selva sopra Gardo, e presso la palazzina di Forche, in territorio di Presegno. Si dice e si crede che molti secoli fa in Gardo e in Forche alcuni signori, in compagnia di vaghissime donne, trascorressero in bagordi e licenze l’autunno e parte dell’inverno, alternando gli ozi di un’incantevole villeggiatura con lunghe partite di caccia. Quando morirono, i loro spiriti vennero condannati alla pena sul luogo dove avevano peccato, ed ancora oggi pagano il fio di tanti libertinaggi. Una giovane sposa, pernottando un anno nella palazzina di Forche, mentre cullava il suo piccolo sentì, lontano lontano, i “baièti”. Fischiò per chiamare i cani e subito due uomini alti come il soffitto le si posero ai fianchi minacciosi. “Sei fortunata, dissero, che hai questo bambino vicino a te; altrimenti verresti anche tu con noi.” E quasi quasi moriva di paura. Un quarant’anni orsono il signor Lorenzo, trovandosi in Selva per ragioni di lavoro (era la notte fra il 14 e il 15 agosto) sentì in lontananza una battuta di caccia. Si affacciò alla finestra e lanciò un fischio con le dita per rispondere ai latrati dei cani. In men d’un baleno la cascina veniva circondata da un numeroso gruppo di cani guidati da tre cacciatori armati di tutto punto con cappello a forma di cilindro sul capo. Rimase un poco ad osservarli, poi si ritirò, passando minuti d’angoscia finché la caccia non fu ripresa. Di giorno i “baièti” non si odono. Mistero? Ma, forse neppure! E in questa alternativa trascorrono quei montanari la vita che è fatta di povertà e di sacrificio immenso: e la dimenticanza in cui fu lasciata questa placida zona montana logorò forse la fibra dei robusti alpigiani e intimidì i loro spiriti. Fuori l’inverno crea scene fantastiche di sogni, visioni argentee e smaglianti di immacolata perfezione”.

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