Un’analisi delle condizioni in cui viene esercitata la funzione olfattiva del cane da ferma e le variabili che la influenzano. Lo schema genetico di trasmissione della potenza olfattiva. I dubbi sull’ esistenza di altre capacità sensoriali sconosciute.

Nello svolgimento della funzione olfattiva, il cane da ferma ha un comportamento finalizzato alla percezione delle molecole di odore sospese nell’aria (*), che il vento trasporta da una fonte più o meno lontana. Il suo sviluppato apparato olfattivo gli consente di avvertire tracce d’odore che la distanza da cui provengono ha reso rarefatte. Volendo fare un parallelo con la funzione visiva, il buon naso del cane da ferma è l’equivalente di una lente d’ingrandimento. Se il selvatico, fermato dal cane, si sottrae a piedi, le particelle d’odore presenti nell’aria diventano più rarefatte perché la loro fonte si è allontanata; il cane allora si muove per ricollocarsi dove l’aria contiene ancora un’intensità di odore tale da dargli certezza della presenza del selvatico. Questa azione – ovvero “la guidata” – viene svolta autonomamente come diretta conseguenza della percezione olfattiva del cane ed è assurdo esigerla a comando, come alcuni pretenderebbero.

Sarà invece rigorosamente a comando “l’accostata”, cioè l’azione che deve indurre a prendere il volo la selvaggina eventualmente restia a palesarsi. Quando un cane perviene in prossimità di dove un selvatico si è recentemente involato, ferma perché, inspirando, avverte le residue molecole d’odore lasciate nell’aria. Le successive inspirazioni segnaleranno però l’affievolimento dell’emanazione che scompare del tutto malgrado il tentativo di guidata. Il cane ha allora la certezza che la fonte d’odore è venuta meno e riprende la cerca, risolvendo così spontaneamente “la ferma in bianco”.

La volatilità delle molecole d’odore varia a seconda del tipo di selvaggina. La lepre, per esempio, emette particelle odorifere poco volatili (forse più pesanti?) per cui la sua emanazione è ben avvertibile a terra, ma si propaga scarsamente nell’aria circostante. Questo è il motivo per il quale, prima di mettersi al covo, la lepre ingarbuglia le sue tracce e spicca un salto di diversi metri per interrompere la pista, confidando nel fatto che dal covo il suo odore si irradierà per un raggio molto limitato. Ecco perché, generalmente, una ferma su lepre a covo è a distanza breve. É questa una delle forme di difesa dai predatori che Madre Natura ha fornito alla lepre. A che altezza da terra sono sospese le particelle d’odore emanate dal selvatico? Posso fare solo illazioni basate su empiriche osservazioni: nell’immediata vicinanza della fonte aleggiano vicino al suolo, ma per effetto della brezza si diffondono nello spazio in una fascia che va da circa 20 centimetri a circa un metro da terra. Forse vanno anche più in alto, ma in tal caso il cane non riesce più ad avvertirle. Sta di fatto che i cani, per captare odori provenienti da una fonte lontana, tendono ad alzare la testa. Quando invece fermano un selvatico vicino, tengono la testa più bassa. La sospensione delle particelle d’odore dal suolo dipende anche dalle condizioni atmosferiche: ci sono mattine in cui i cani, per avvertire la selvaggina, devono portare la testa particolarmente bassa perché evidentemente l’odore non si eleva da terra. Se c’è molto secco i cani non sento no un accidente perché probabilmente l’umidità atmosferica è funzionale per trasportare e sostenere le particelle d’odore nell’aria. Quando invece c’è troppo vento le molecole odorose vengono spazzate via, da cui il proverbio “quando forte tira il vento, cacciator non perder tempo”. Fermo restando che nel cane l’olfatto è uno dei sensi più sviluppati, vi sono soggetti che hanno una potenza olfattiva maggiore rispetto ad altri, la cui quantificazione oggettiva è però estremamente problematica perché nel cane da ferma la percezione delle emanazioni della selvaggina dipende da una somma di circostanze di cui la maggiore o minore sensibilità olfattiva individuale è solo una delle molte variabili. Malgrado ciò, sentiamo spesso sentenziare che “quel cane ha naso corto” oppure “quell’altro tira delle ferme a trenta metri” e son discorsi dai quali si sarebbe tentati di configurare la funzione olfattiva di un cane da ferma alla stregua di un fucile la cui gettata è maggiore o minore a seconda delle strozzature delle canne. Ed invece è solo un apparato ricevente, più o meno sensibile. A questo punto mi pare utile esaminare tutte le variabili che influiscono sulla funzione olfattiva del cane: ♦ L’intensità dell’odore emesso. Produce un odore più forte una quaglia o un fagiano?. Probabilmente l’odore della quaglia non è molto intenso ed infatti un ferma su quaglia non è mai molto lunga. Il fagiano ha certamente un odore più forte, ma non per questo è necessariamente avvertibile a grande distanza. ♦ La diversa natura delle particelle di odore che possono essere più o meno volatili.

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Ho già citato l’esempio della lepre, come esempio di selvaggina che produce odore poco volatile. Al contrario le starne parrebbero produrre un odore fatto da particelle che si disperdono molto più facilmente nell’aria e che quindi il cane avverte relativamente più da lontano. Ciò vale in ancor maggior misura per il beccaccino. La distanza a cui si trova la fonte dell’odore, che spesso è inferiore a quanto appare perché magari il selvatico prima d’involarsi ha camminato. Ho già menzionato l’influenza delle condizioni atmosferiche (l’aria contenente un alto tasso di umidità è miglior conduttrice degli odori rispetto all’aria secca – e questo potrebbe essere uno dei motivi per cui le ferme su beccaccino, generalmente in terreni bagnati, avvengono a maggior distanza dal selvatico) nonché la direzione in cui spira il vento, la sua velocità ed intensità.

Ci sono magari altre variabili che però sfuggono alla mia capacità raziocinante ovvero odori che si sentono più intensamente da lontano che da vicino. È il caso del profumo dell’olea fragrans che dappresso è poco percettibile e diventa un trionfo di piacevolezza alla distanza di una ventina di metri ed oltre. Il perché francamente non so. Non mi pare però esistano fenomeni analoghi nel repertorio della selvaggina. Quindi solo a parità delle condizioni sopra elencate, la sensibilità olfattiva del cane diventa la variabile grazie alla quale alcuni cani sono in grado di avvertire particelle odorifere rarefatte e deboli provenienti da una fonte lontana che altri cani non riescono a percepire. La valutazione della sensibilità olfattiva del cane è poi ulteriormente complicata dalla maggiore o minore selettività nella percezione, ovvero la capacità di distinguere l’emanazione proveniente da selvaggina oggetto di caccia, rispetto a quella proveniente da uccelli vari e da altri animali che il cane non deve fermare (vedi allodole, merli, corvi, storni, topi, nutrie, ecc.); la valutazione sarà resa ancor più complessa dalla necessità che il cane distingua le particelle odorose provenienti da un tipo di uccello, rispetto alle sue “pasture”, ovvero rispetto alle particelle odorifere lasciate in loco dalle deiezioni dell’uccello, non più presente.

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Avendo chiarito la difficoltà oggettiva di quantificare “il naso” di un cane rispetto ad un altro, resta il fatto che la potenza olfattiva è comunque una qualità naturale geneticamente trasmessa, che come la gran parte delle caratteristiche quantitative è l’espressione di un fattore poligenico senza dominanza. A titolo esemplificativo, si tratta cioè dello stesso comportamento genetico della taglia, oppure dell’intensità del pigmento, o della lunghezza delle orecchie, ecc. Tendenzialmente quindi la potenza olfattiva di un soggetto si colloca in una posizione simile alla potenza olfattiva dei suoi genitori, fermo restando però che si potranno occasionalmente verificare posizioni estremizzate in un senso o nell’altro. Buona regola è di utilizzare riproduttori entrambi dotati di buon naso così da ridurre quanto più possibile i casi di progenie con naso scarso. Ma le sorprese sono sempre possibili (allo stesso modo con cui da due genitori mulatti può occasionalmente nascere un figlio di pelle perfettamente bianca o scura come quella di un negro; altro esempio – restando in ambito cinofilo – è quando da due Bracchi italiani roano marrone color tonaca di frate nasce occasionalmente un roano marrone molto scuro o molto chiaro). In altre parole è estremamente difficile fissare genealogie di soggetti di “gran naso”, proprio perché la quantificazione dei caratteri “senza dominanza” è casuale. Resta poi il fatto che ci son cani con naso magari non eccelso, ma che lo usano così bene da ottenere risultati decisamente migliori rispetto a soggetti più dotati di loro. Ma sono le eccezioni che confermano la regola …e per un cane da ferma la potenza olfattiva resta una dote irrinunciabile.

Ma un cane da ferma reagisce esclusivamente in funzione della capacità olfattiva o c’è un “sesto senso” aggiuntivo che interviene ad ispirare il suo comportamento? È un dubbio che non riesco a togliermi. L’ho già scritto in un capitolo del mio libro, parlando di “Emanazioni indefinibili”. Una starna rotta d’ala va via veloce di piede fra le alte erbe secche; la cagna trova la passata e si impegna nel recupero che conclude felicemente in fondo al campo 200 metri da dove ho sparato. Mentre torna con l’uccello ancor vivo in bocca, ferma un branchetto di starne che, per l’appunto si era rimesso nei pressi. Come ha potuto la cagna sentire l’odore del branco ad una quindicina di metri, avendo una starna viva in bocca?. La stessa cosa a suo tempo mi hanno fatto la bisnonna di quella cagna ed il suo trisavolo. ❁Altro caso inspiegabile: sto attraversando una grande stoppia recentemente cosparsa di liquame ed il puzzo è terribile; malgrado ciò la cagna ferma un voletto di starne nel bel mezzo della stoppia. Era letteralmente impossibile avvertire l’odore delle starne in quel puzzo. E allora come ha fatto a fermarle? ❁ Normalmente un cane avverte un’isolata fresca di rimessa a 10/15 metri; una morta appena abbattuta viene sentita a non più di 5/6 metri; una starna ferita che si schiaccia immobile fra le paglie non viene avvertita a più di due metri e a volte per trovarla il cane deve letteralmente calpestarla. Ma se è solo questione di odore, come si spiegano queste differenze?.

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Son tutti interrogativi a cui non so dare risposta, ma che mi fanno sorgere dei dubbi: il cane ferma le starne solo in virtù del suo naso e del loro odore? Oppure ci troviamo di fronte ad un fenomeno più complesso e che non conosciamo fino in fondo? Il naso ha certamente un ruolo primario, prova ne sia che per ottimizzare i risultati, il cane deve mettersi a buon vento. Però forse c’è anche qualche altra componente nella percezione della selvaggina da parte del cane da ferma: qualcosa che non so, ma che forse c’è! E l’idea è confortata dall’osservazione di alcuni comportamenti della selvaggina che qui descrivo.

Trovo un volo di starne e ne butto giù una: sette vanno non so dove ed una sbrancata si rimette lontano sul pulito; vado a ribatterla ma lei parte lunga, compie un ampio semicerchio, poi vira di 90 gradi e si butta decisa in un verde di erba fitta. Ed esattamente là ritrovo lei assieme al resto del branco. Cose del genere a starne accadono tutti i giorni, più volte al giorno. È come se le sbrancate captassero delle radiazioni, forse onde magnetiche, emesse dal branco in virtù delle quali ad esso immancabilmente si ricongiungono. Il richiamo sonoro, il cirlecchìo, serve per richiamarsi quando sono sparpagliate a terra, forse perché da terra non riescono a captare le “radiazioni misteriose”; ma quando sono in volo c’è qualcosa che guida le sbrancate nel ritrovare subito le compagne. Almeno questa è la mia convinzione, fintantoché qualcuno mi spiegherà il fenomeno altrimenti.

A questo punto forse si potrebbe formulare un’azzardata ipotesi: E se il cane percepisse le “misteriose emanazioni” che ho ipotizzato le starne captano per ricongiungersi al loro branco? Forse non tutti i cani le avvertono……ma lo starnista forse si: misteriose o non misteriose, qualcosa mi dice che i cani – almeno certi cani – hanno delle percezioni che trascendono l’olfatto.

(*) a differenza del segugio il cui comportamento è finalizzato alla percezione delle molecole di odore lasciate sul terreno da animali in transito.

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