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Mi aveva levato di sentimento. Lui che cacciava beccaccini con la sua kurzhaar Nanà, nelle piane di Neto, voleva venire a beccacce sui monti della mia Sila. Era troppo amico per dirgli di no ma sapevo anzi indovinavo che non aveva la stoffa del beccacciaio. Almeno, ancora non l’aveva. Beccacciai, per la maggior parte, ci si nasce. Non si può diventare beccacciai solo perchè si ha una doppietta che spara un cane che forse le trova e delle cartucce che forse le fermano. L’arte della caccia alla beccaccia è altra cosa. E’ sentimento nell‘estraniarsi dal mondo,tensione nel seguire il campano del cane,sintonia col bosco e i suoi ospiti,ritmo nello sparare. Comunque dovetti acconsentire.

Gli dissi di venire una domenica. Mancava poco a Natale. Le settimane antecedenti in genere sono buone,foriere di tempeste di neve e di tramontana il vento freddo che spinge le regine a saltare il breve tratto di mare d’Albania. Le colline joniche le accolgono nel loro mimetico mantello invernale, con le foglie morte e l’humus vivo, tra le radici gonfie dei temporali autunnali pregne di larve e di lombrichi.

Le vacche podoliche brade hanno aperto sentieri e stradelli nelle macchie di ceduo. Farnie e roverelle, alte due metri, intanto perdono la chioma . Il generale inverno le ha tosate sbuffando raffiche di vento sui rami alti. L’amico disse che avrebbe portato un accompagnatore con un setter senza carte. Mi disse che,si, le trovava ma non guidava. “Ma almeno ferma?” Mhhmm, si, però!!….”. Insomma capii che se aspettavi a raggiungerlo le buttava via. Hai Hai ! Siamo già messi maluccio. Io che avevo un setter giovane da tenere a freno e un pointer con gli “stivali” temevo per i risultati che prevedevo mosci. Il mio solito compagno di caccia avrebbe portato solo il fucile. Era diventato un buon tiratore da quando gli avevo suggerito di segargli la canna per evitare padelle. Lui ne aveva fatto un mozzicone da cinquantadue e con le Maionchi le arrostiva; nel senso che quelle cartucce ci lavoravano benone. Vennero quindi una domenica e arrivarono ben equipaggiati. Secondo loro. L’amico sfoderò una doppietta da “piccione”,un romasei che scansati. Disse che gli cascava a puntino e che ci aveva fatto dei miracoli sui beccaccini. Mi stava venendo da piangere. Mica per il fucile che stimavo e avrei voluto nelle mia rastrelliera al posto d’onore. Ma, a beccacce, con un romasei canne settanta due stelle e una stella ? Porco…. dieci! Bofonchiai dentro di me. “Cosa?” “No, nulla! Mi chiedevo se hai delle cartucce col dieci.” La scusa mi sembrò buona;non capii se lui la bevve dato che mi aveva visto scuro. Ma l’amicizia passò sopra l’inesperienza del mio amico. “Porcccc…o dieci”-mi ridissi- ma qui non siamo mica a beccaccini!” Andammo. L’auto si arrampicò per il selciato della carrozzabile inarcata a schiena d’asino dal peso delle macchine da lavoro che andavano nei campi. Traballava come una vecchia diligenza. Pensai ai cani accoccolati nel baule, sopra uno straccio;troppo stretti. Mah, tanto è vicino, mica andiamo sulla luna. Ci fermammo a quota 1200, a Serra Ammarrata. Scendemmo,scrutai il cielo mentre nuvoloni neri lasciavano presagire il peggio. Attaccammo i campanacci ai cani che sganciammo sotto strada in una valletta mista di pini silvestri e latifoglie. Era ben riguardata dal vento di levante, mi sembrò un posto buono per cominciare la giornata. Era ormai giorno ma non chiaro poiché le brume ingrigivano il paesaggio. Il pointer Gyp, il capitano,andò subitaneamente in ferma. Si bloccò come un ariete che si schianta contro la porta di una fortezza scozzese. Il giovane setter Charlie consentì, bontà sua che il sangue era di quello buono. Era un figlio della mia Alba che era figlia di ch.Artù. Il cane marinello degli amici fece scuotere il suo campano, sventolò le sue belle frange bianco arancio e sorpassò. La beccaccia frullò rumorosa mentre venivano giù i primi goccioloni. Spararono tutti, io mi astenni. Ero lì per fare divertire e per fare provare emozioni forse d’esperienza positiva. Che diamine!Ma se ne accorsero che avevo ingoiato a vuoto. La beccaccia scollettò, un pallino disgraziato però lo aveva avuto. Forse in una delle remiganti e quindi si resse bene ma lo aveva. Chissà mai come lo aveva avuto perchè nessuno dei tre mi sembrò né pronto né concentrato. Bestemmiarono e si agitarono, con commenti e giustificazioni, gridando ai cani. Qua Res qua Charlie. Pioveva. Li invitai a rientrare, tanto la Beccaccia, se era ferita, sarebbe rimasta sul terreno. Con calma l’avremmo ricercata col solo cane che meritava tale appellativo. In quel momento. Piovve che Dio la mandava,in macchina si attenuò,assieme a molte sigarette, l’ansia e l’amarezza. Dopo un’ora buona Giove decise di addormentarsi e smise di piangere; cambiò il vento e scese la temperatura. Il cielo si fece più plumbeo, si alzò un refolo gelido ma non pioveva più. Il mio amico crotonese mi guardò con aria supplichevole. “Cosa dici? Andiamo a vedere se abbiamo colpito quella Beccaccia?” Acconsentii. Mi misi i paramacchia impermeabili,la giacchetta cerata e scesi. Anche gli altri mi avevano imitato. Il Pointer si comportò da par suo. Quattro sciabolate nella macchia e non lo sentimmo più. Li invitai a raggiungere il cane e,ove mai, a sparare con calma…veloce. Insomma a sparare diritto. Non ce ne fu bisogno perchè la beccaccia entrò nelle fauci,poco tolleranti, del Gyp. Pace e bene, ossa molto cariche di carne a lui, là dove riposa assieme ad altri campioni beccacciai. Pablito era raggiante,non finiva di magnificare il tiro. Ma di chi? Avevano sparato in tre e la regina era anche andata via quasi indenne. Insomma un quasi goal. Ma tant’è. La bellezza della caccia è proprio lì, ti da tanti stimoli e eccita il midollo spinale. L’adrenalina scorreva a mille. “Dove andiamo ora?” Ehm Ehm..mica facile indovinare con quel cambiamento improvviso di tempo dove si fossero rifuggiate le Beccacce. Ragionai,parlammo. Decisi di scendere per cercare rifugi più boscati e temperature più calde. Feci bene perché, nel percorso a ritroso,la strada cominciò a imbiancarsi e sul parabrezza si spiaccicò qualche farfuglio di nevischio. Ci fermammo a quota ottocento. A “Pizzichino”, sulla serra “Jaconianni“. Chi conosce il posto sa che il paradiso delle beccacce non è in Russia ma lì. Quanti ricordi e pallini seminati fra le rade macchie di ginestra e le boscaglie di quercioli. Scendemmo dalla macchina,ci avviammo a mano sinistra coi cani un po’ più”corti”.Ormai avevano sfogato le loro agitazioni e, da bagnati, ragionavano un po’ meglio. I cani battevano la macchia coscienziosamente,l’avvenimento sembrò solenne. Non so se bestemmio ma mi sembrò che avessero capito la situazione. La concentrazione e la serietà era obbligatoria. Due ore di cerca minuziosa ci portò fino al fondo valle. Ci affacciammo su un roccione a sbirciare il fiume Senapite là dove nasce, sotto le manche dello “Spineto” e di “S. Marina”,zona di divieto per antiche tabellazioni sui terreni demaniali. Una vera riserva per beccacce e cinghiali brinati e lungonasuti. Restai di sasso quando arrivai a quel capolinea. Pablito e compagni mi guardarono con fare interrogativo. “E allora? Come mai non ci sono Beccacce? Dai, tu sai dove trovarne qualcuna!!” Era un’affermazione che sapeva di preghiera e, giuro che, se le avessi potute comprare tre o quattro a peso d’oro, lo avrei fatto. E le avrei liberate per la gioia del mio amico. Feci spallucce e invocai le condizioni cangianti del tempo. Le variazioni,si sa, le Beccacce non le amano e fuggono prima. Suggerii fra i denti,mentre mi mordevo la lingua, di rientrare. Ci voltammo per tornare sui nostri passi, mesti come per un funerale. Non ci sorrideva né l’idea dei panorami stupendi né l’afrore dei pascoli stabulati dalle vaccine. Eccole laggiù, tre o quattro stanno accovacciate e ruminano. Beate loro! Mi soffermai a guardarle e pregai. Con forza e convinzione. Pregai il mio spirito guida,mio Padre, di farmi alzare almeno un’altra Regina per la gioia del mio amico, perchè facesse davvero un Santo Natale. Un vero Santo Natale da cacciatore di Beccacce. All’improvviso vidi staccarsi da terra, lontano fra le vaccine al rumine, una grossa foglia. Sembrava d’acero,rossa e vibrante. S’involò e ristette,cabrò senza rumore e filò verso di noi lontana ancora sessanta e più metri. Restai allocchito. Sterzò improvvisamente verso sinistra e attraversò la radura pulita, verde e marrone, mista di erbe in parte vive in parte morte per il freddo. “La beccaccia,la beccaccia!”; urlai come un forsennato, come se non fosse la mia milllesima beccaccia avvistata ma la prima. Tutti si girarono e qualcuno fece anche la mossa di mettere il fucile alla spalla. Cosa che prevenni con un perentorio:”Non sparate, fermi, non sparate” E feci bene perchè si rimise, con un breve sette, nel boschetto di fronte,a nostra vista, come fosse una provocazione. O un invito. I cani lontani accorsero al fischio. Il Pointer, detto il capitano,avventò in aria dove aveva sterzato bassa, appena a un metro da terra. Andò galoppando, con strappate di quattro metri, verso il boschetto di fronte e bloccò sicuro. La Beccaccia era in suo potere. L’odore della beccaccia era alla sua portata a circa 20 metri. Partimmo di volata e in silenzio io e Paolo. Lui a sinistra io a destra del cane. Restammo fermi un attimo per prendere fiato mentre arrivava il setterino di dieci mesi che completò il capolavoro con un consenso in piedi ma molto espressivo. La Beccaccia partì e si ebbe una rabbiosa fucilata del mio Franchi caricato con una azzurra Sidna del numero otto. Le pennucce ancora frullavano per aria e ne partì un’altra mentre i due cani erano rimasti immobili,fermi come le Cariatidi. Anche la seconda assaggiò il piombo Monteponi & Montevecchio. A quel punto il setter ruppe e partì. Felicitazioni, abbracci di tutti a tutti ma con la coda dell’occhio vidi ancora tutti i cani in ferma poco lontano verso la calata del Nepitetto. “Ma che lavoro é codesto?” Cacciammo e sparammo. Ne prendemmo otto in tutto. Era quasi l’una. Mentre la neve ormai si faceva fitta decidemmo di rientrare. Paolo aveva fatto un paio di centri, sparando al pulito col suo fucile da pedana, a due Beccacce che spaesavano. Fu un bel Natale, lo giuro. Così come lo auguro ad ogni vero, intenso, bruciante beccacciaio.