Primo su beccaccia

Quel pomeriggio di gennaio, lasciai il posto di guida a Gaspare, stanco della lunga consueta passeggiata che, qualche anno e chilo in più, rende sempre più faticosa, appagato da due regine riposte sulle mie gambe che, da più di un’ora lungo le innumerevoli curve che ci riportavano a casa, accarezzavo e lisciavo ricomponendo le morbide piume tanto scomposte da vili fucilate e meravigliosi riporti.

Grande fu’ il piacere di salutare il mio antico compagno, saltuario autista, pregustando un meritato riposo, ma ciò non prima di averlo invitato a regolare la sveglia per le sette dell’indomani; tanto quel posto era nostro e non a rischio di visite mattutine di arrapati concorrenti.

Rifocillata la mia Bora, la risvoltai stentatamente sul dorso e, vincendo le sue ritrosie, le spalmai sui polpastrelli, arrossati e scorticati da rovi e rocce arenarie, quell’empirica pomata che il buon farmacista ancora oggi mi prepara, e che non teme confronti con tutti i preparati della medicina moderna: zolfo, vasellina e altri componenti segreti scaturiti da una ricetta del nonno speziale che, ai tempi, con essa curava cani, cavalli e umani.

Erano circa le 9.00 quando superati quei 150 km di curve, ci ritrovammo per quell’irto sentiero, il cui silenzio era rotto dal mio ansimare e dal rumore di un ruscelletto che lo affiancava, alla conquista del nostro paradiso. Giunti in cima, iniziammo a sistemare bubboli e infernali beeper cui difficilmente si rinuncia in quell’intrigante bosco che sovrasta rovi e macchie. Gaspare sistemò su Byron un’artificiosa bretella da lui creata su cui erano collocati beeper e campano, mentre io misi al cinto della sorella Bora il campanaccio e sul collo un leggerissimo beeper. Solo allora i due setter cominciarono a fremere e agitarsi, abituati sin dagli inizi della loro vita, a uscire in coppia, dopo aver indossato quei paramenti .

Fummo da subito, inseguiti da coraggiosi raggi di sole che a stento riuscivano a filtrare fra chiome di aghi di pini e fronde di sugheri, presi dal piacevole godimento di un paio di guidate eseguite dai due fratelli in perfetta simbiosi su due imbirbite regine padrone del territorio, già scampate ai nostri e agli altrui precedenti assalti di una stagione piena di emozioni e che ora arruffate, giacevano nella cacciatora di Gaspare.

L’ennesimo silenzio del campano, rotto da un beep direzionale, ci indicò dove Bora stava per avviare un nuovo agguato e tutti e tre ci avviammo verso quel suono metallico con molta cautela.

Sì, io a destra e Gaspare a sinistra seguivamo Byron che come noi attratto dal suono, precedendoci a mo di guidata, lentamente, in punta di piedi e con passo felpato, alzava il collo per scorgere dove la sorella avvertiva sua maestà. Fatti circa cinquanta metri e scorta la sorella s’irrigidì e si lascio sorpassare, mentre Bora, a occhi di fuoco girando lentamente il capo, ci guardò invitandoci a sistemarci avanti ai suoi lati; solo dopo averla affiancata, cominciò a guidare con alle spalle il fratello che viste le sue difficoltà, pacatamente la raggiunse, dividendosi quell’usta a noi umani fortunatamente negata. Così continuammo fin quasi la fine del bosco, quando invitai Gaspare ad accelerare per mettersi su uno stradello che lo delimitava; in quell’istante i setter persero l’usta e tornarono indietro, con indomito vigore, alla ricerca di un eventuale fallo.

Assistetti allora a qualcosa d’indimenticabile; stanco dalla prolungata passeggiata, mi appropinquai al mio compagno fermo sullo stradello. Di fronte al quale si ergeva una ripida parete rocciosa, ricoperta di spini e macchia mediterranea; qualche minuto dopo, a seguito di attenta perlustrazione, dal bosco, venne fuori Bora, e giunta sullo stradello rimase ferma, eretta e a testa alta rivolta verso un punto imprecisato dell’irta parete. Più in là, da un centinaio di metri, scendeva Byron che avvicinatosi alla sorella,  rimase in consenso fin a un suo cenno; essa ammiccatolo ritornò a fissare lo stesso punto di prima. Ebbene fu’ solo allora che Byron con uno splendido gesto atletico spiccò un balzo e con grande solerzia andò a ispezionare con molta oculatezza la parete di fronte, mentre la sorella, rimase in quella posizione, insieme con noi, in attesa del silenzio di quel meraviglioso batacchio che saliva e scendeva per quelle macchie. Passarono almeno dieci minuti prima che Byron ridiscendesse e affiancando Bora ripresero la cerca dentro il bosco.

Sì, la mia Bora sfiancata da giorni di caccia e da qualcosa che scoprii dopo, comunicò con lo sguardo al fratello “quello, è il posto, dove può essersi rifugiata, ma io non c’è la faccio vai tu che io ti aspetto qua”!! proprio così!!!! Questo percepimmo in quella circostanza in cui l’unione d’intenti di due setter  e di due esseri umani si congiunge in perfetta armonia.

Li richiamammo e li mettemmo al guinzaglio, soddisfatti ed emozionati, custodi di segreti che vanno vissuti per essere giustamente apprezzati, indi riprendemmo la via del ritorno. Lasciai guidare nuovamente lui, ma questa volta sulle mie ginocchia non lisciavo e baciavo le due beccacce ma una vera grande regina, la mia Bora !!!! e suo fratello Byron.

Fu’ quello l’ultimo giorno di caccia per quell’anno, infatti, all’indomani portai Bora dal veterinario che gli diagnosticò una ancor minima presenza di maledetta leishmania, ma  immediatamente curata, essendo la malattia a uno stato iniziale, si risolse quasi tutto con soltanto una grande paura. A distanza di tre anni da quell’indescrivibile episodio, la mia Bora, mi continua a dare la possibilità di vivere tanti altri intensi momenti di grandi emozioni, con la pur sempre vana illusione che tutto non abbia mai fine.

Dedicato a tutti coloro che avendo perso il desiderio di predare, sono appagati da emozioni più grandi.